J

J [s.f.] Nona lettera dell’alfabeto mesorachese, con valore consonantico e semiconsonantico. Questo segno alfabetico non costituisce una lettera a sé dell’alfabeto latino o italiano, ma è una variante grafica della i, introdotta nella scrittura latina medievale come forma allungata in basso di i, I: la minuscola come variante di i dopo altre lettere con aste verticali (i, m, n, u) e specialmente in fine di parola o di numero (iudicij, xiij), la maiuscola come variante di I in posizione iniziale. Soltanto dal sec. 16° j fu adottato per indicare la funzione consonantica o semiconsonantica (VT).

Jaccalànu [agg. s.m.] Tontolone, ingenuo, baccalà.

Jaccàre [v.tr.] 1 Spaccare, tagliare, rompere, es.: jacca due zomme ppe stasira ‘spacca due ceppi per stasera’; guarda anche jacchera. [v.intr.] 2 Avere fortuna in un gioco, es.: te jacca stasira! ‘ti va stasera!’ (c’hai culo stasera!). [v.intr.] 3 Calzare bene, aderire, essere molto pertinente, andare a fagiolo, cadere a proposito, es.: ce jacca ‘ci sta a pennello’; guarda anche assettare.

Jaccariàre [v.tr.] Frequentativo di jaccare.

Jaccatìna [s.f.] 1 Ferita da lacero-contusione. 2 Spaccatura, fessura. 3 Di rado il termine è riferito al sesso femminile.

Jacchèra [s.f.] Sinonimo di deda.

Jacciàre [v.tr. v.intr. v.intr.pron.] Ghiacciare, gelare.

Jacciòlu [s.m.] Ghiacciolo.

Jàcciu [s.m.] Ghiaccio.

Jàlinu [agg. s.m.] Giallastro, pallido, ma anche il colore giallo, da cui il poco usato jalinùsu ‘giallastro’ ‘pallido’; guarda gialinusu.

Jammejà [inter.] Espressione di probabile origine napoletana diffusa in tutto il Meridione, contrazione della frase jamm bell ja ‘andiamo bella/o andiam’, usata per esortare o incitare una o più persone ‘su andiamo!’, in paese, sempre con funzione incitatoria, è usata anche la forma eh gghjamme! traduce ‘e andiamo!’ ‘sbrighiamoci’ ‘diamoci una mossa’; viceversa, usata in un contesto in cui risulta difficile muoversi, l’espressione sottolinea che si è fatto il contrario, che nessuna esortazione ci avrebbe fatto muovere, una bonaria sconsolazione, vuoi per maltempo, ubriachezza, mancanza di voglia di incontrare una persona, esempi: jammeja! (anche nella forma jamme ja!) ‘andiamo forza!’, eh gghjamme! ‘eh forza!’ (oppure ‘sbrighiamoci’, o ancora ‘alziamo il culo’), jamme jà?! Va movate tu a chidde condizioni ‘forza su?! Muoviti tu a quelle condizioni’ (e chi ci’aveva voglia di muoversi?!).

Janchinàstru [agg.] Biancastro, di colore vicino al bianco.

Janchiscìre [v.tr.] Far diventare bianco qualcosa, sbiancare.

Jancu [s.m.] Il colore bianco.

Jardìnu [s.m.] 1 Giardino, orto. 2 Località di campagna e contrada più a valle della località denominata Casalini, compresa dentro la località chiamata Princivalle. 3 Località di montagna a metà strada, in direzione sud-nord, tra il villaggio Fratta e il villaggio Principe.

Jascu [s.m.] 1 Fiasco per il vino, da cui jascarieddu ‘fiaschetto’. [pron.pers.] 2 Traduce la frase ‘io, il sottoscritto’, anche in senso autoironico, es.: chine c’era chidda notte? Jascu! E nessun’atru! ‘chi c’era quella notte? Il sottoscritto! E nessun altro!’.

Jatàre [v.intr.] Fiatare, respirare, alitare, es.: jata, famme sentire s’e fumatu ‘alita, fammi sentire se hai fumato’.

Jatu [s.m.] Fiato, alito, esempi: le manca u jatu ‘le manca il fiato, te puzza u jatu ‘ti puzza l’alito’, è nu jatu suverchju ‘è un fiato soverchio’ (spesso si premette ad argomenti che hanno un certo peso per l’interlocutore, ma chi la usa vorrebbe farli capziosamente passare come leggeri).

Jazzàre [v.tr. v.intr.pron. v.intr.] Ghiacciare, nevicare fitto, congelarsi, da cui jazzàta ‘ghiacciata, brinata’, es.: quannu a gatta se lava a faccia, o chjova o jazza ‘quando la gatta si lava la faccia o piove o ghiaccia’.

Jazzi [s.m.pl.] Punti del materasso cuciti equidistanti tra loro usando la zaccurafa e lo spago; tali punti, trapassando da parte a parte creano piccoli avvallamenti e conferiscono alla superficie la forma di un reticolo regolare; hanno lo scopo di non fare deformare il materasso dopo averci dormito.

Jazzu [s.m.] Ghiaccio, nello specifico ghiaccio da gelata, brinata; vedi anche jacciu.

Jelatìna [s.f.] Letteralmente ‘gelatina’, ovvero carne, cotiche e grasso del maiale, ossia i resti delle frittule; secondo la tradizione la jelatina andrebbe preparata solo con la carne proveniente dalla testa del maiale, per molti una ghiottoneria; guarda anche frittule e risimugghja.

Ingredienti: testa del maiale, un po’ di lardo e cotenna, aceto, sale q. b., alloro.

Procedura: salare e fare bollire la testa, la cotenna e il lardo per un’ora e mezza circa, dopodiché togliere i pezzi dalla pentola per trasferirli in un contenitore ampio per farli raffreddare; la fase successiva consiste nello scarnificare la testa e tagliare tutto a piccoli pezzi; successivamente si preleva qualche mestolo di suzu (acqua, grasso e piccoli resti che sono rimasti nella pentola dove ha bollito la carne), metterlo a bollire insieme ad un bicchiere d’aceto e otto foglie di alloro (a seconda della tradizione si può aggiungere un peperoncino piccante o in polvere e dell’aglio liofilizzato); appena inizia a bollire unire i pezzi di testa, cotiche e lardo; fare cuocere ancora per mezzora, spegnere e a caldo travasare il composto in vasetti di vetro o terracotta, quando si sono ben raffreddati chiuderli e riporli in dispensa, si può gustare già dopo una nottata.

Jemma [s.f.] Gemma, bottone ma anche giovane ramo della vite.

Jènatu [s.m.] Coraggio, vigore, spirito vitale, es.: u nn’ha de nente jenatu ‘non ha per niente forza’; il termine deriva dall’atto di esaminare l’uovo della gallina per controllare se è stato fecondato; l’operazione consiste nel sollevare delicatamente l’uovo e metterlo controluce dalla parte meno appuntita, se si intravede una specie di filetto (jenatu) l’uovo va riposto sotto la chioccia per completare la covata.

Jenca [s.f.] Giovenca, vacca giovane.

Jennàcca [s.f.] Catenina, collana, tradizionalmente fatta a mano con ago e filo, con pezzi di recupero.

Jènnaru [s.m.] Genero, il marito della figlia.

Jennàru [s.m.] 1 Gennaio, primo mese dell’anno, variante gghjennaru quando preceduto dalla preposizione a, esempi: (loc.) jennaru siccu u massaru è riccu ‘gennaio secco il massaio è ricco’ (vuol dire che la semina di novembre prosegue bene), (loc.) dicempre nné friddu nné fame, a gghjennaru friddu e fame ‘dicembre né freddo né fame, a gennaio freddo e fame’ (dopo le feste natalizie iniziano a scarseggiare le scorte fatte in estate e magari anche i soldi, inoltre il freddo a gennaio si fa più pungente). 2 Il nome Gennaro.

Jermànu [s.m.] Segale, Secale cereale L.; gli steli di questa graminacea in passato erano usati per fare l’imbottitura rigida dei basti.

Jestimàre [v.intr.] Bestemmiare, imprecare, es.: jestima i santi tui e lassa stare l’Acciomu ‘bestemmia i tuoi santi e lascia perdere l’Ecce Homo’.

Jestìgna [s.f.] Bestemmia, variante jestìmma o jestìma.

Jestimàta [s.f.] Letteralmente ‘bestemmiata’, p.p. di jestimare, sfogo, sfilza di bestemmie.

Jestimatùre [s.m.] Bestemmiatore, empio.

Jetta [s.f.] Fichi impilate su un pezzo di canna (vedi ncannatedde) oppure su una foglia di giunco spinoso (Juncus acutus L.) che ha lunghe foglie cilindriche munite di aculeo finle, con quest’ultimo, chiamato anche vruddu, si possono fare delle trecce di fichi; infine, la jetta viene cotta al forno.

Jettàre [v.tr.] 1 Gettare, buttare, abbattere, affibbiare, sprecare, mangiare/bere qualcosa di cui si ha voglia, buttare l’occhio (osservare, studiare), è usata la forma dura (gghjettàre) in svariati casi (e con eccezioni), quando la parola è preceduta dal verbo avere (ha, ho – forma contratta di hanno, avia, averra) o essere (tu/e si, è, s’è, su, se su, forra), i pronomi le (gliele) ed e (le) (fa eccezione il verbo avere/dovere e), la negazione u (non), esempi: jetta a palla subitu! ‘getta la palla immediatamente!’, jetta chiddi giornaletti ‘butta (via) quei fumetti’, u (ggh)jettare nente ‘non buttare niente’, va jettate! ‘buttati via!’, jettamu u muru viecchju ‘abbattiamo il muro vecchio, l’ha gghjettatu quattru scaffi ‘gli ha mollato quattro schiaffi’, ha gghjettatu tre anni e scola ‘ha sprecato tre anni di scuola’, me jiettu n’atru piattu e pasta ‘mi butto un altro piatto di pasta’ (mi faccio un altro piatto di pasta, si intercala quando si ha più fame del previsto), se su gghjettati cinque litri e vinu in due! ‘si sono bevuti cinque litri di vino in due!’, (loc.) jetta l’uecchju ‘butta l’occhio’ (controlla se c’è qualcuno che ti interessa; l’espressione spesso è riferita a persone in cerca di un partner; molti anni fa, storia vera, un pastore un po’ tonto fraintese il senso della frase, capì che bisognava gettare degli occhi veri addosso alla ragazza scelta; convinto di una simile assurdità, cavò gli occhi a molti animali del suo gregge, la domenica all’uscita della messa, alla Nużżiata, gettò addosso alla malcapitata un sacchetto intero di occhi!). [v.rifl.] 2 Lanciarsi, buttarsi via (abbandonarsi), lasciarsi cadere (saltare), sfociare, esempi: ha (ggh)jettatu nterra u patre! ‘ha gettato a terra il padre’ (si è scagliato contro il padre), (loc.) jettate a tozze e jettate ari tui ‘buttati a tozzi (di pane) e buttati ai tuoi’ (nel fare ciò, chiedi ai tuoi parenti), m’aju jettatu all’arculu ‘mi ho (sono) abbandonato all’alcol’, me jiettu du ponte ‘mi getto dal ponte’, pue se jetta intr’u Tacina ‘poi sfocia nel Tacina’. [v.tr.] 3 Colare il cemento, erigere, es.: domane jettamu u solaju ‘domani gettiamo il solaio’. 4 Dare l’anima, il sangue per qualcosa, buttare, gemmare, esempi: jettare u sangu ppe l’olive ‘gettare il sangue (lavorare sodo) per le olive’, è jennaru e u cerasu a già jettatu! ‘è gennaio, e il ciliegio ha già buttato!’. 5 Fornicare, scopare, starci, visione terra terra dell’uomo troglo-moderno, esempi: jettalilu quannu a vidi ‘gettaglielo quando la vedi’ (scopaci quando la incontri), chidda s’u jetta ‘quella se lo getta’ (quella lì ci sta), lil’ha gghjettatu tutta a squatra ‘gliel’ha gettato tutta la squadra’ (se la sono fatta tutta la squadra).

Jettatùra [s.f.] 1 Influsso malefico che alcune persone, dotate evidentemente di poteri paranormali o infernali, possono esercitare verso altre persone, animali o cose; per estensione, iella, malasorte; cfr affascinare. 2 Alla lettera “buttatura” ossia il buttare delle piante, il germogliare, gettare, ricrescere; guarda anche tagghjatura.

Jettatùre [s.m.] Persona pericolosissima che è meglio non avere a che farci, dotato di potente suggestione è capace di affascinare, o comunque produrre sfiga, costui porta iella lanciando il malocchio, es.: m’aju accattatu nu cuernu a Napuli, così si l’affruntu sugnu protettu! ‘mi ho comprato un corno a Napoli, così se l’incontro sono protetto!”. 

Jettùne [s.m.] Pollone, succhione già un po’ cresciuto; guarda anche palastrune e jiettu.

Jìermitu [s.m.] Grosso fascio di spighe di grano.

Jìettu [s.m.] Getto, germoglio.

Jìffula [s.f] 1 Matassa di lino. 2 Schiaffo, ceffone, di giusta intensità, anche di rovescio, per qualcosa di intensità superiore si usa jiffulùne; guarda anche fantalata, pellaru e cinquelire. 3 Cimice, Nezara viridula L. e da poco tempo anche Halyomorpha halys Stål (cimice asiatica), es.: si piatu da jiffula ‘sei aggredito dalle cimici’ (figurativamente, una persona che si sta ammalando).

Jimmu [s.m.] Gobba, es.: tena u jimmu ‘ha la gobba’.

Jimmurùtu [agg. s.m.] Gobbo, persona con la gobba.

Jinò [s.m.] Località di campagna di Mesoraca, in posizione nord-est rispetto al comune.

Jinòstra [s.f.] Ginestra, Cytisus scoparius L. per farne scupuli e Spartium junceum L. per farne lighere.

Jinùecchju [s.m.] Ginocchio, variante gghjinuecchju quando la parola è preceduta dalla congiunzione e (e) ma non dall’articolo e (le), al plurale jinòcchja o jinòcchje, esempi: me dola u jinuecchju ‘mi duole il ginocchio’, è cunzatu mussu e gghjinocchja ‘è messo muso e ginocchia’ (in posizione fetale, la frase può essere impiegata anche per riferirsi ad una persona impaurita, traumatizzata).

Jippùne [s.f.] Sottoveste, corpetto di donna.

Jippunìeddu [s.m.] 1 Piccola giubba, parola spesso adoperata per indicare le marsine dei bimbi. 2 Vestito corto, giubbotto piccolo di taglia, che per motivi economici si indossa comunque.

Jire [v.intr.] Andare, proseguire, spesso il termine al suo inizio acquisisce il gruppo gghj quando è preceduto dalla preposizione a, dalla negazione u, dal verbo essere è (ma non dal verbo avere/dovere e) e, di rado, quando è usato all’infinito (sola gghire ‘suole andare’), esempi: maniate ca ni nn’ame jire ‘sbrigati che ce ne dobbiamo andare’, (loc. scioglilingua) jiennu veniennu buttuni cugghjiennu e allanninucchjuni cugghjiennu buttuni ‘andando e venendo bottoni raccogliendo e inginocchiato cogliendo bottoni’ (naturalmente in italiano non rende come nel dialetto), vavatinne due mammata ‘vattene da tua madre’, jiu due a sueru ‘andò dalla sorella’, vieni ca pue jamu ara Fratta ‘vieni che poi andiamo alla Fratta’, va e bbena mò mò ‘vai e torna subito’, jisti ara jumara? ‘andasti al fiume?’, va vida due cazz’e jire ‘vai a vedere dove cazzo devi andare (sottinteso “vattene affanculo”), jire mmacante ‘andare a vuoto’, a quantu vanu i tritrueli? ‘a quanto vanno (quanto costano) i cetrioli?’, va’ ad uecchju ‘vai ad occhio’ (senza tanta precisione), (loc.) iddu u fatiga e iu u fazzu nente, cuemu la casa mia po gghjire avanti? ‘lui non lavora ed io non faccio niente, come la mia casa può andare avanti?’ (guarda anche cuemu per una versione diversa del proverbio), u gghjati cchjù? ‘non andate più?’, (loc.) a prima d’aprile duve te mannanu u cce jire ‘il primo d’aprile dove ti mandano non ci ire’; guarda anche annare.

Jiritàle [s.m.] Ditale, es.: passame u jiritale e uessu ‘passami il ditale di osso’.

Jiritàta [s.f.] Ditata, impronta, esempi: (loc.) ccu na jiritata e mele ricueggjhi tante lape, ccu na jiritata e fele ricuegghji velienu ‘con una ditata di miele raccogli tante api, con una ditata di fiele raccogli veleno’ (se parli bene raccogli bene), è chjinu e jiritate ‘è pieno di impronte’.

Jiritìeddu [s.m.] Ditino, indica le dita dei bambini e, in generale, il mignolo della mano o il minolo del piede, es.: u jiritieddu da/du manu/pede ‘il dito piccolo della/del mano/piede’; nella parlata mesorachese non sono contemplati i nomi delle dita; guarda anche jiritune.

Jiritu [s.m.] Dito, plurale jìrita o jìriti, es.: (loc) nn’averra nu jiritu cacatu e mammasa! ‘ne avesse un dito cacato di sua mamma’ (proverbio che si interpone in un dialogo mentre si parla di una terza persona, il senso è ironico e/o sarcastico, talvolta accompagnato da naschiata, il significato è ‘ne fosse preso anche solo una minima parte di sua mamma! – anche la più brutta, sarebbe una persona più dignitosa’); guarda anche jiritieddu e jiritune.

Jiritùne [s.m.] Ditone, indica il pollice della mano o l’alluce del piede, es.: u jiritune da/du manu/pede ‘il dito grosso della/del mano/piede’; nella parlata mesorachese non sono contemplati i nomi delle dita; guarda anche jiritieddu.

Jocatùra [s.f.] 1 Rotula, la parte della gamba dove si compie il ‘gioco’ dell’articolazione. 2 Giocatrice, atleta. 

Jocatùre [s.m.] Giocatore, calciatore, es.: aru buenu jocature u linne dare corda longa ‘al buon giocatore non dargli corda lunga’ (al giocatore bravo non bisogna dargli tempo).

 

Jocarìeddu [s.m.] 1 Giocattolo, gingillo. 2 Oggetto di poco conto, di scarso valore. 

Jocca [s.f.] Chioccia, es.: cumu na jocca ccu ri puricini ‘come una chioccia con i pulcini’.

Joculiàre [v.intr.] Giochicchiare, gingillarsi, variante jueculiare.

Joih [inter.] Esclamazione adoperata per amplificare una richiesta d’attenzione, è intercalata in varie circostanze, per chiamare qualcuno, per sottolineare un momento di tragicità o disperazione, variante juih, esempi: joih! ‘ehi!’, joih compà, e vue aviti ancora u bicchieri chjinu ‘compare mio, ma voi avete ancora il bicchiere pieno’, joih e cadutu torna! ‘(mio Dio) è caduto di nuovo!’, joih mamma cchi paura! ‘mamma mia che paura!’.

Joimmà [inter.] Come joih, spesso adoperato in coppia con ih, esprime meraviglia, stupore, paura, è usata anche la forma joimmèdda, esempi:  ih joimmà! ‘mamma mia!’, joimmà ppennu cada! ‘Vergine Maria santissima fa in modo che non cada’, ih joimmedda cchi mm’è capitatu! ‘mammarella che m’è capitato’.

Jucàre [v.intr.] 1 Giocare, gareggiare, trastullarsi, variante jocàre, esempi: a cchi ura jocamu? ‘a che ora giochiamo?’, ti l’è jucata ‘te la sei giocata’, jucamu are carte ppe passare u tiempu ‘giochiamo a carte per passare il tempo’. 2 Scommettere, es.: quantu ti cce juechi? ‘quanto ci scommetti’.

Jucchjabròdu [s.m.] Alla lettera ‘soffiabrodo’, ovvero perditempo, buono a nulla; guarda anche spedicinapassule.

Jucchjalùru [s.m.] Guarda ucchjalùru.

Jucchjàre [v.intr.] 1 Soffiare, variante di ucchjare, es.: jucchjace aru fuecu ‘soffiaci al fuoco’. 2 Mangiare o bere qualcosa, sbafare, esempi: jucchjate na vrasciola ‘mangiati (sbafati) una polpetta’, m’aju jucchjàtu nu mienzu litru e vinu ‘mi sono bevuto mezzo litro di vino’.

cchjule [s.f.pl.] Pezzetti di cenere svolazzanti ancora in parte accese, diverse dalle spissule.

Jùecu [s.m.] Gioco, giocattolo, svago.

Jùegghju [s.m.] Zizzania, loglio, Lolium temulentum L.

Jùernu [s.m.] Giorno, varianti jurnu e gghjùernu, esempi: ne vidimu domane ccu ru juernu ‘ci vediamo domani col giorno’, (loc.) na cosa e jurnu ‘una cosa di giorno’ (modo di dire che si intercala quando si vuole comunicare fretta all’interlocutore), cchi gghjuernu bruttu ch’è statu ‘che giorno brutto che è stato’, (loc.) u ddorma a notte ppe penzare chiddu c’ha dde fare u juernu ‘non dorme la notte per pensare quello che deve fare il giorno’, (loc.) du jurnu da nanna ‘dal giorno della nonna’ (modo di dire ‘molto tempo fa’; guarda anche manebarbone), (loc.) u juernu e tutti i santi a nive e si canti canti ‘il giorno di tutti i santi la neve di questi canti canti (in questo caso canti è da intendere sinonimo di montagne).

Jùevi [s.m.] 1 Giovedì, quarto giorno della settimana. 2 Il monte Giove e relative località, come Juevi e Giùesimu (o Juevi e Bova) e Juevi e Macrì castagneti che si trovano alla base della montagna (dai cognomi dei proprietari), o mparu e Juevi luogo pianeggiante di Giove (guarda anche mparu), o ancora manca e Juevi castagneto posto sul versante nord della montagna.

Jugu [s.m.] Giogo, ossia dispositivo usato come mezzo di attacco per bovidi.

Juih [inter.] Guarda joih.

Jumàra [s.f.] Fiume, fiumara, da cui jumarèdda ‘fiumiciattolo’; in paese quando si dice Jumara si sottintende il fiume Vergari, esempi: vaju ara Jumara ‘vado al fiume (Vergari)’, a Jumara canta a Jumara sona ‘il fiume canta il fiume suona’ (intercalare), a menzagustu eramu ara jumaredda e Ritorta ‘a ferragosto eravamo al ruscello di Ritorta’, ara Jumara passàvamu tutta a staggione, chidde sì ch’eranu ferie! ‘alla fiumara (al fiume) passavàmo tutta la stagione, quelle sì che erano ferie!’; guarda anche Vergari, vuddu e jumme.

Jumènta [s.f.] 1 Giumenta, Equus caballus L. 2 Donna giunonica, cavalla, es.: a sueru e nna jumenta ‘la sorella è una figona’.

Jumme [s.m.] Canale, fiumiciattolo, ruscello; antico nome per indicare il Vergari.

Jummìcitu [agg.] Taciturno, calmo, parola composta da jumme e citu, cioè ‘fiume silenzioso’, ma pericoloso, es.: (loc.) a jummicitu u gghjire a piscare ca ti le ffa tramutare i culuri ‘a fiume silenzioso non andare a pescare che ti fa mutare i colori’ (non stuzzicare la persona silenziosa perché potrebbe esplodere, ovvero è meglio non fidarsi delle persone che hanno l’apparenza di essere buone e tranquille).

Juncàta [s.f.] Piccolo formaggio fresco ovino o caprino, normalmente non salato, fatto con latte rappreso, che si mette a scolare in cestelli o su piccole stuoie di giunco o di felci.

Juncìa [s.f.] 1 Gengiva. 2 Prima persona singolare participio passato indicativo del verbo juncire, se l’accento è sulla u jùncia allora è prima persona singolare presente indicativo.

Juncìre [v.tr.] 1 Congiungere, unire, varianti jùnciare e gghjuncire (generalmente quando preceduta da vocale), esempi: e juncire i dui capi ‘devi unire le due estremità’, (loc.) munti ccu munti u sse juncianu, ma cristiani e cristiani sì ‘monti con monti non si uniscono, ma persone e persone sì’ (prima o poi si restituisce il torto o la mancanza che ci è stata fatta); mettere da parte qualcosa, accumulare, ad esempio dei soldi, fino ad arrivare alla quantità desiderata, es.: m’aju junciutu i sordi ppe partire ‘ho risparmiato i soldi per (poter) partire’. 2 Frequentare, bazzicare una persona o un gruppo, esempi: u tti cce juncire ccu chiddi ddà ‘non frequentarti con quelli la’, (loc.) junciate ccud unu cchjù miegghju e tie e fallicce a spisa ‘frequentati con uno più meglio (migliore) di te e fagli (anche) la spesa’ (se hai stima verso qualcuno tienilo stretto, perché dà buoni consigli), (loc) su gghjunciute a fame e ra site ‘hanno stretto società la fame e la sete’ (versione locale de ‘il gatto e la volpe’); guarda anche mmiscare.

Juncu [s.m.] Giunco, Juncus acutus L., es.: (loc.) vasciate juncu c’a jumara passa ‘abbassati giunco che il fiume passa’ (lascia perdere le provocazioni, falle scivolare come fa il giunco col fiume); in passato pianta molto adoperata per costruire contenitori destinati a accogliere ricotte fresche e altri tipi di formaggi; guarda anche fiscedda, juncata e vruddu.

Junnàre [v.intr.pron.] Allungare le mani, a volte furtivamente, verso qualcosa di ghiotto, ma non necessariamente, assalire, avventarsi contro qualcuno, esempi: junname na vrasciola ‘allungami una polpetta’, junnaticce, piatinne ancora! ‘avventati (lanciati), prendine ancora’, s’è gghjunnatu ccu ru frate ‘s’è scagliato contro il fratello’.

Junta [s.f.] Manciata, pugno, es.: na junta e olive ‘una manciata di olive’.

Juràre [v.intr.pron.] Giurare, dare la propria parola, esempi: juratinne subra a mamma c’u ssi statu tu ‘giura sulla mamma (che non c’è più) che non sei stato tu’, (loc.) u cridare ara donna quannu jura, quannu davanti a ttie ciancia e suspira, te fa lu giuramentu cuemu Giuda e ra sua mente le vota e le gira ‘non credere alla donna quando giura, quando davanti a te piange e sospira, ti fa il giuramento come Giuda e la sua mente le volta e le gira’ (la donna sa essere furba e te la gira come vuole).

Jure [s.m.] Fiore, infiorescenza, esempi: jure e finuecchju ‘fiore di finocchio’ (selvatico, Foeniculum vulgare Mill.), jure e trigghja ‘fiore di tiglio’ (Tilia chordata Mill.), jure e maju ‘fiore di maggio’ (fiore del sambuco, Sambucus nigra L., guarda savucu), jure e timpa ‘fiore di timpa’ (Centranthus ruber L.).

Jurìeddu [s.m.inv.] Località vicina all’Acqua Frisca, famosa per la viuzza piena di curve, diciamo pure che è la viuzza piena di curve per antonomasia.

Jurìre [v.intr.] 1 Ammuffire, andare a male, guastarsi, assume la forma gghjurire sostanzialmente quando la parola è preceduta dal verbo essere è e dalla negazione u, esempi: u pane è (ggh)jurutu ‘il pane è ammuffito’, (loc.) aru cavulu jurutu chiddu chi le fai c’è tuttu perdutu ‘al cavolo andato a male quello che gli fai è tutto perso’ (ad una persona incattivita tutte le gentilezze che gli fai sono perse), u pane e na vota u gghjuria mmai ‘il pane di una volta non ammuffiva mai’. 2 Fiorire, sbocciare.

Jurìtica [agg.] Varietà d’ulivo semi-selvatico dalle foglie più piccole e dai frutti più duri, buoni per farne olio, ma non per essere mangiati; le olive di questa varietà sono molto resistenti alla caduta e non temono né il freddo né il caldo, è una pianta ben adattata, difficile anche da innestare.

Jurnàle [s.m.] Tutti i tipi di formaggi freschi prodotti in giornata, mozzarelle e ricotte ne sono un esempio.

Jurnàta [s.f.] Giornata, giornata lavorativa, esempi: cchi (ggh)jurnata e mmerda! ‘che giornata di merda!’, (loc.) a matinata fa a jurnata ‘la mattinata fa la giornata’, n’amu abbuscatu a jurnata ‘ci siamo guadagnati la giornata’ (la frase è da leggere in senso beffardo-canzonatorio, spesso si intercala in occasione di una spesa improvvisa o eccessiva, come una multa, una bolletta, un guasto; guarda anche abbuscare).

Jurnu [s.m.] Guarda juernu.

Jusca [s.f.] La pula, cioè l’involucro che riveste il chicco del grano.

Jussu [s.m.] Diritto acquisito, obbligo di passaggio, talvolta anche usucapione.

Justèrna [s.f.] Cisterna, serbatoio.

Jusu [avv.] Sotto, nel piano inferiore, es.: va jusu e piame e patate ‘vai giù e prendimi le patate’.

Jultima modifica: 2022-03-13T10:50:48+01:00da mars.net