A

A [s.f.] 1 Prima lettera dell’alfabeto mesorachese, corrispondente alla prima lettera dell’alfabeto latino e di quasi tutti gli altri alfabeti, derivata, come la maggior parte delle altre lettere, dall’alfabeto fenicio, attraverso quello greco; il suo nome greco alfa non è che l’adattamento della parola fenicia ’ lp “toro”; fonema vocalico, caratterizzato dall’articolazione centrale e dalla massima apertura orale (VT).

A [art.d.] 1 Articolo determinativo femminile ‘la’, esempi: a guagliuna ‘la ragazza’, a pampina ‘la foglia’, a sira sira cce finisci ‘la sera sera ci finisci’ (nel senso di fare qualcosa un po’ per volta in un momento della giornata, in questo caso la sera); guarda anche ra. [pron.pers.] 2 Pronome personale ‘la’, esempi: a sienti ‘la senti’, a vue ‘la vuoi’, (loc.) quantu a paghi vala ‘quanto la paghi vale’ (o quanto meno così dovrebbe essere in generale, il giusto valore alle cose). [prep.] 3 Preposizione semplice ‘a’, esempi: vaju a ddurmire ‘vado a dormire’, (loc.) durmire a sette cuscini ‘dormire a sette cuscini’ (non avere preoccupazioni). [v.tr.] 4 Terza persona singolare presente del verbo avere ‘a’, esempi: iddu ha ‘lui ha’, (loc.) ha calatu a scala ‘ha calato la scala’ (ovvero ha deciso); la lingua (a parrata) mesorachese non contempla il suono della lettera acca nel verbo avere, per evitare confusioni nel resto del vocabolario la seconda e terza persona singolare del presente indicativo (tu ai e iddu a) verranno scritte come in italiano, mentre la prima singolare (aju) e l’ultima plurale (anu) non subiranno modifiche; guarda aju, ai, avimu, aviti e anu. [pref.] 5 Prefisso che si ritrova nella quasi totalità dei verbi che iniziano per ‘a’ con raddoppiamento della consonante iniziale come abbaddare, attirrentare, arrivulare e così via.

Abbaddàre [v.intr. v.tr.] Ballare, danzare, variante bbaddàre, es.: (loc.) cuemu me sueni io t’abbaddu ‘come mi suoni io ti ballo’ (in base a come mi parli io ti rispondo).

Abbaddatùru [s.m.] Ballatoio, balcone, pianerottolo.

Abbalìre [v.intr.pron.] Avvalersi, disporre, servirsi, giovarsi di qualcosa, es.: u mmi nne puezzu abbalire e nente e fratitta ‘non posso avvalermi per niente di tuo fratello’.

Abbampàre [v.intr. tr. v.intr.pron.] Prendere fuoco, bruciare, avvampare, incollerirsi.

Abbannunàre [v.tr.] Abbandonare, trascurare, lasciare in disparte.

Abbannùnu [s.m.] Abbandono, squallore.

Abbàsci [s.m.] Orli inferiori dei pantaloni.  

Abbastàre [v.intr.] Bastare, essere sufficiente.

Abbàstu [s.m.] Il necessario, ciò che serve, ma anche la parte importante, quello a cui non si rinuncia, esempi: (loc.) sulu ccu l’abbastu ‘solo con l’essenziale’ (in economia), abbastu u joca are carte ‘l’importante che giochi alle carte’. 

Abbattaràru [s.m.] 1 Venditore di fiammiferi. 2 Persona dalle mediocri capacità intellettuali. 

Abbàttaru [s.m.] Fiammifero, zolfanello.

Abbazàre [v.tr.] L’atto di incidere un albero lungo tutta la sua circonferenza con lo scopo di farlo seccare.

Abbìerzu [agg.] Avvezzo, congeniale, abituato. 

Abbilìre [v.tr.] 1 Avvilire, abbacchiare, sfiancare, da cui abbilùtu ‘avvilito’, ‘stanco’ (dopo uno sforzo fisico). [v.intr.pron.] 2 Avvilirsi, perdersi d’animo, mortificarsi.

Abbincìre [v.tr.] Vincere, sopraffare, ottenere, persuadere.

Abbiveràre [v.tr.] 1 Abbeverare, dissetare, esempi: porta u ciucciu ad abbiverare ‘porta l’asino ad abbeverare’, (loc.) abbivara e gaddine quanno chjova ‘dà l’acqua alle galline quando piove’ (persona che fa le cose in maniera non tanto giusta). 2 Innaffiare, bagnare, dare l’acqua. 

Abbiveratìzzu [s.m.] Orto o simile da annaffiare, irrigare.

Abbiveratùru [s.m.] Abbeveratoio, luogo dove gli animali si dissetano.

Abbiviscìre [v.pron.intr.] Rivivere, riprendersi, risuscitare, vedi anche rimmiviscìre. 

Abbiżżiàre [v.tr.] Viziare, abituare male, diseducare. 

Abbocculàre [v.tr.] Rovesciare, ribaltare, un oggetto e il suo contenuto quasi sempre su un lato.

Abbragàre [v.intr] Arrochire, diventar rauco, perdere la voce, anche in senso figurato, esempi: mi cci’aju abbragàtu ma u mm’ha bulùtu sentire ‘ci ho perso la voce (gliel’ho ripetuto così tante volte), ma non mi ha voluto ascoltare’, (lap.) ih chi vorre abbragare! ‘che tu possa perdere la voce!’. 

Abbramàre [v.tr.] Desiderare sessualmente, bramare, avere forte voglia di qualcosa o qualcuno, ardere, es.: avie vidire cuemu abbramava ‘dovevi vedere come sbavava’.

Abbramàtu [s.m.] Persona in preda ad un forte desiderio, specie di tipo sessuale, mezzo depravato, mandrillo, es.: abbramatu c’u ssi atru ‘maniaco che non sei altro’.

Abbrancàre [v.tr. v.intr.pron.] Prendere con le branche (le braccia), afferrare con sveltezza e mantenere saldo, con le zampe e gli artigli nel caso di animali, aggrapparsi, attaccarsi, variante avvrancàre.

Abbrancicàre [v.tr.] Maneggiare, afferrare, avvolgere con le mani o con le braccia.

Abbrazzàre [v.tr.] Abbracciare, stringere a sé. 

Abbreviamientu [s.m.] Prescia, smania, l’abbreviare.

Abbreviàre [v.tr.] 1 Come in italiano, rendere breve o più breve, accorciare, ridurre, variante abbriviare. [v.intr.pron.] 2 Preoccuparsi, premurarsi, es.: u tt’abbreviare ‘non ti impensierire’.

Abbrittàre [v.tr.] Abbrustolire, passare qualcosa alla fiamma senza bruciarla, stare molto al sole, esempi: abbritta e pedde ppe re frittule ‘bruciacchia la peluria presente sulla cotenna del maiale da usare per le frittule‘, te si abbrittatu aru sule ‘ti sei scottato al sole’. 

Abbrittuliàre [v.tr.] Abbrustolire leggermente, bruciacchiare.

Abbruscàre [v.intr.] Verbo usato generalmente al participio passato (abbruscàtu) per indicare una zona dell’epidermide interessata da arrossamento, irritazione o screpolatura, in particolare sotto le gambe o sotto le ascelle. 

Abbruscàtina [s.f.] Arrossamento, irritazione di una parte della pelle, eritema.

Abbucàtu [s.m.] Avvocato, legale, variante avvucàtu.

Abbuccàre [v.tr.] Rovesciare, versare, spargere accidentalmente un liquido da una bottiglia, da un bicchiere o da un vaso; il termine è più calzante se riferito allo sversamento di un recipiente colmo fino all’orlo.

Abbùe [prep.pron.] Parola composta, letteralmente ‘a voi’, il termine è usato per riferirsi, con tono minaccioso, ad un piccolo gruppo di persone; si può sentire urlare abbue! da una donna verso un gruppetto di ragazzi che giocano chiassosamente, oppure da un contadino che sorprende qualcuno a ncappare (rubare frutta). 

Abbuffàre [v.intr.] 1 Il rigonfiamento dell’intonaco di un muro, o di un mobile in legno, a causa dell’umidità. [v.rifl.] 2 Abbuffarsi, mangiare in gran quantità, es.: m’aju fattu n’abbuffata (o abbufficata) e cerase ‘mi sono fatto una scorpacciata di ciliegie’.  [v.tr.] 3 Gonfiare di schiaffi, es.: t’ha abbuffatu u mussu ‘ti ha gonfiato il muso’ (faccia).

Abbuffàta [s.f.] L’aver mangiato a sazietà, ingozzata, scorpacciata; cfr scaddarizzata.

Abbufficàre [v.intr.] Vedi abbuffare.

Abbufficàta [s.f.] Abbuffata, scorpacciata.

Abbunàre [v.tr.] 1 Condonare, detrarre da una somma o da dei beni, una parte a beneficio del debitore, es.: nu quartu mi l’e abbunare ‘un quarto me lo devi abbuonare’. 2 Dare abbondante acqua a orti o campi in maniera non brusca, far inzuppare il terreno lentamente, irrigare.

Abbunnànza [s.f.] Abbondanza, gran quantità.

Abbunnàre [v.intr.] Abbondare, eccedere, prodigare, da cui abbunnùsu ‘generoso’, ‘dovizioso’.

Abburruequésta [loc.] Locuzione d’origine latina ‘semmai’, ‘nel caso che’, ‘per precauzione’, ‘ad ogni evenienza’, varianti aburruequerta, burru e querta, parola ormai in disuso. 

Abbuscàre [v.tr.] 1 Introitare, rimediare, procacciare, guadagnare qualcosa, trovare, ottenere, esempi: aju abbuscatu dui funci ‘ho buscato qualche fungo’, m’aju abbuscare a jurnata ‘mi devo guadagnare la giornata’ (lavorativa). [v.intr.] 2 Rimediare sberle, prendere botte, es.: vida ca l’abbuschi ‘guarda che (attento a te) le buschi’. 

Abbutàre [v.tr.irr.] Socchiudere, accostare; usate anche le forme abbotàre, avvutàre, vutàre. 

Abbuttàre [v.tr. v.rifl.] 1 Riempire/si a sazietà, strafogare/si di cibo, ingozzare/si golosamente di qualche pietanza o di una situazione, esempi: oje n’abbuttamu e cerase, domane m’abuttu e niespuli ‘oggi ci rimpinziamo di ciliegie, domani mi strafogo di nespole’, l’aju abbuttatu e parole ‘l’ho riempito di parole’; cfr abbuffare. [v.intr.pron.] 2 Esserne pieni, stufi, di una certa situazione o persona, averne le scatole piene, esempi: sugnu abbuttu e sorta ‘sono stufo di tua sorella’, si nn’è gghjuta e Misuraca ca nn’era abbutta ‘se ne andata da Mesoraca ché ne aveva le scatole piene’.

Abbuttàta [s.f.] Scorpacciata, mangiata, guarda anche scaddarizzata.

Abbutticchjàre [v.tr. e v.intr.] Mangiare moltissimo, gonfiarsi come una botte; anche forte sensazione di gonfiore; sembra l’unione dei termini abbuttare e ucchjàre.

Abbùttu [agg.] Sazio, essere pieno, satollo, esempi: (loc.) l’abbuttu u ll’ha mai cridutu aru diunu ‘il sazio non lo ha mai creduto al digiuno’ (se non sei mai stato affamato non capisci bene chi l’ha provato), (loc.) quannu a vurpa e abbutta dicia ca l’uva e acra ‘quando la volpe è sazia dice che l’uva è acre’. Famosa è a sira e l’abbuttu, cioè ‘la serata della sazietà’, che cade il 5 di gennaio. La tradizione vuole si cucini tredici piatti differenti e che si diano lauti pasti anche agli animali domestici; la credenza nell’abbondanza era così radicata che le famiglie dei contadini pensavano che quella notte dai fiumi scorresse vino e dalle fontane olio.

Abbuttunàre [v.tr.] Abbottonare, allacciare; cfr mputtunare. 

Abbużżàre [v.rifl. v.tr.] Abbassarsi, curvarsi verso il basso per riempire un contenitore d’acqua, inclusa la propria bocca, ma anche immergere, talvolta con vigore, la testa di una persona nell’acqua.

Abbużżùni [l.avv.] Camminare con la testa abbassata, ma anche il gattonare dei bambini, es.: camina ccu a capu abbużżuni ‘cammina con la testa abbassata’.

Accammalapéna [l.avv.] Con difficoltà, pena e un po’ d’affanno, a malapena, ma anche (poco usato) accalapéna ‘appena’.

Accapizzàre [v.tr.] 1 Mettere la capezza ad un animale da soma. 2 Imbrigliare, addomesticare, portare sulla retta via una persona, sottometterla in funzione di non fargli prendere cattive strade. [v.rifl.] 3 Orientarsi verso la parte del letto ove si pone il capo accapizzarsi; vedi anche capizzi. 

Accappéllu [loc. agg.] Vedi cappellu.

Accasiòne [s.f.] Occasione, possibilità.

Accattàre [v.tr.] 1 Comprare, acquistare, termine particolarmente diffuso nel Meridione ed entrato a far parte anche del vocabolario italiano, es.: (loc.) chine u tte sa caru t’accatta, ma io chi te sapia t’aju licenziatu a via via ‘chi non ti conosce caro ti compra, ma io che ti ho conosciuta ti ho lasciata la via via’ (proverbio usato quando si vuol sottolineare di aver lasciato una fidanzata perché giudicata una poco di buono ovvero u ssa fare nente ‘non sa fare niente’). 2 Partorire, dare alla luce un bimbo, es.: accattau a cummari? ‘partorì la signora?’.

Accàttu [s.m.] Acquisto, compera, esempi: (loc.)  miegghju nu malu accattu ca na bbona vinnita ‘meglio un cattivo acquisto che una buona vendita’ (meglio acquistare, anche pagando caro, che vendere, poiché questa azione sottintende cedere qualcosa per necessità di soldi; infatti, si suol dire (loc.) chine vinna resta vinnutu ‘chi vende resta venduto’ – se vendi qualcosa, farai presto a spendere i soldi guadagnati e poi rimanere senza niente di concreto). 

Acchjanàre [v.tr.] Appianare, rendere piano, anche in senso figurato. 

Acchjappàre [v.tr.] Acchiappare, afferrare, prendere alla sprovvista.

Acchjàre [v.tr.] 1 Trovare, anche grazie al caso, scovare, esempi: aju acchjatu nu puecu e siddi e dui coppulini ‘ho trovato qualche porcino e due mazze di tamburo’, tantu aj’e fare chi l’aju acchjare ‘tanto devo fare che lo devo scovare’. 2 Rimediare, procurare, esempi: t’aju acchjatu chiddu pezzu ppe ra machina tua ‘ti ho procurato quel pezzo per la tua auto’, e l’aju acchjata na menza fatiga ‘e l’ho rimediato un mezzo lavoro’. 

Acchjìettu [s.m.] 1 Asola, sinonimo di pertusa. 2 Orifizio anale.

Acciànzu [s.m.] Motivo, opportunità da non dare all’interlocutore poiché potrebbe costituire un intoppo, un inconveniente, es: u lle dare accianzu ca si nno te mprighi ‘non dargli ragione alcuna altrimenti ci litighi’.

Acciòccia [loc.] Vedi accioria.

Acciòmu [s.m.] 1 Letteralmente Ecce Homo, dal nome dell’omonima statua custodita nell’omonimo convento, denominato anche S. Maria delle Grazie. Da oltre cinque secoli il convento è sotto la custodia dei frati di San Francesco d’Assisi. Il santuario è situato ai piedi del Monte Giove nella frazione di Filippa e la sua fondazione si perde nel tempo e nella leggenda: il primo insediamento risalirebbe al quarto secolo (370 D.C.) ad opera di alcuni monaci Basiliani provenienti dalla Grecia e dal vicino Oriente, che vi costruirono un eremo dedicato alla Madonna della Misericordia, che il popolo denominò Madonna delle Pigne, per i secolari e maestosi alberi di pino.

Il convento dell’Ecce Homo

Dal 1200 circa, il monastero cadde in abbandono e incuria, e per oltre due secoli rimase in tale stato. Nei primi decenni del ‘400 Beato Tommaso da Firenze fu mandato in Calabria per diffondere il movimento dell’Osservanza e nel 1419 chiese ed ottenne dall’arcivescovo di Santa Severina l’antica dimora dei Basiliani. Iniziarono i lavori di restauro che durarono dieci anni e il Beato Tommaso vi fondò l’attuale convento: il 14 ottobre del 1429 papa Martino V ratificò la donazione della struttura e dei terreni annessi ai frati francescani. Nel XVIII secolo (1780) con l’aiuto della popolazione mesorachese venne eretta, a destra della navata della Chiesa, la cappella del S.S. Ecce Homo per custodire l’omonima statua costruita da fra Umile Pintorno da Petralia nel 1630.

Statua dell’Ecce Homo

Santuario molto venerato anche fuori dalla Calabria, testimonianza di fede attestata da ben quattro date votive annuali: 8 marzo, in memoria del disastroso terremoto del 1832, anche se ampie ricerche hanno dimostrato che l’origine di questa tradizione è da ricercare nel terremoto del 21 marzo 1744; 21 marzo, per ricordare il terremoto del 1783 che devastò molte località della Calabria; quarta domenica di maggio, nel mese mariano, accompagnata anche dalla famosissima fiera di maggio (fera e maju), ove è possibile acquistare tanti prodotti tipici nonché il pane fatto con la farina di castagne; 25 luglio, giorno di ringraziamento per le grazie concesse, in particolare per aver fatto cessare le piogge alluvionali del 1721. Sempre in venerazione del SS Ecce Homo, ogni sette anni (dal 1690 circa) si svolge un’importante festa in cui la statua viene portata in paese in processione e dove rimane per otto giorni. Numerosi i momenti di fede e venerazione, ma anche un nutrito calendario di svago e distrazione con concerti ed iniziative culturali. Il 2017 è anno di festa. 2 Il quartiere che sorge nelle immediate vicinanze del convento dell’Ecce Homo. 3 Il termine è usato anche per riferirsi (come paragone) ad una persona malconcia, con molte ferite, es.: era cummenatu cuemu l’acciomu ‘era conciato come Gesù Cristo’. Dal nome della statua lignea, rappresentante Gesù flagellato, conservata nella cappella a destra della navata; opera di Fr. Umile Pintorno da Pietralia Superiore, che la scolpì intorno al 1610. Nel vangelo di Giovanni (Giovanni 19,5), ECCE HOMO ecco l’uomo è la frase che Ponzio Pilato, allora governatore romano della Giudea, rivolse ai Giudei nel momento in cui mostrò loro Gesù flagellato (Il Santuario del SS. Ecce Homo, Padre Agostino Piperno, 2005), (FS).

Acciòria [loc.] Termine usato per imprecare, ma senza un preciso significato, spesso sottintende una bestemmia, variante accioccia, es.: mannaja (oppure aja) all’accioria ‘mannaggia alla morte’; vedi anche accise. 

Accìse [loc.] Imprecazione simile ad accioria, es.: aja all’accise! ‘mannaggia alle tasse!’; nel recente passato termini come accioria, accioccia o accise erano di fatto insegnati ai bambini col fine di non fargli apprendere le bestemmie, queste ultime parecchio diffuse, specie quelle rivolte all’Acciomu. 

Accitàre [v.tr. v.intr. vintr.pron.] Zittire, far tacere (di fatto o con la dialettica), zittirsi, ammutolirsi; guarda anche ammutare. 

Àcciu [s.m.] Sedano, Apium graveolens L. 

Acciuncàre [v.tr. v.rifl.] 1 Perdere il coordinamento e la funzionalità di braccia o gambe, es.: (lap.) chi te viennu ud acciunchi ‘che ti (possa) venire una paralisi’ (in alternativa: che tu possa diventare storpio). 2 Procurarsi escoriazioni o ferite alle braccia o alle gambe con oggetti taglienti (sterpi, rovi, rami, lame). 3 Frustare, sferzare, anche solo in senso aggressivo, es.: ca mo t’acciuncu! ‘che adesso ti frusto!’. 

Acciuncatùru [s.m.] Frustino per sferzare gli asini; molto usati i rametti di castagno. 

Acciutàre [v.tr. v.intr.pron.] Rincretinire, confondersi, stordirsi, diventare ciuetu.

Accucchjàre [v.tr.] Avvicinare, accostare, unire, congiungere due o più elementi, fare coppia, esempi: accucchjame u vinu ‘avvicinami il vino’, ci’aju accucchjatu na briscula ‘ci’ho unito (accostato, accoppiato) una briscola’, se su accucchjati ‘si sono accoppiati’ (non nel senso di “hanno fatto sesso”, ma nel senso di “hanno fatto coppia”, ossia si sono trovati’).

Accucchjatùru [s.m.] Agnello ancora lattante, talvolta è riferito anche a persone.

Accucchjaviddìchi [s.m.f.pl.] Termine composto dalla parola accucchja ‘avvicina’ e viddichi ‘ombelichi’ ovvero persona che fa da tramite tra altre due persone, sia per faccende di cuore che di affari, mediatore.

Accummarìettu [s.m.] Località di Mesoraca posta a valle del quartiere Santa Lucia.

Accumpagnatùru [s.m.] Alla lettera ‘accompagnatore’, si riferisce però ad oggetti che per essere funzionali necessitano di un compagno, un legno che regge un altro legno nell’accensione del fuoco, una pinza che tiene fermo un bullone mentre una chiave svita, due strumenti musicali e cosi via.

Accunniscinnìre [v.intr.] Condiscendere, consentire.

Accùnti [s.m.pl.] Affari, accordi; il termine è prevalentemente usato per denotare coinvolgimenti con persone che potrebbero recare seccature, arrabbiature, fastidi, rogne e così via, esempi: u cci nne vuegghju accunti ccu zianutta ‘non voglio avere a che farci con tuo zio’, ca chine nne vò accunti ccu chiddu bifaru! ‘che chi ne vuole accordi con quel tamarro!’ (non ci penso nemmeno a stringere affari (o amicizia) con quel cafone!). 

Accurciàre [v.tr.] Rendere più corto qualcosa, accorciare, es.: l’accurciati i cavuzi? ‘li hai accorciati i pantaloni?’ (da notare la perdita del verbo avere, la giusta grafia dovrebbe essere l’/hai/accurciati).

Accurrìre [v.intr.] Accorrere, precipitarsi, variante accùrrare, es. (loc.) accurriennu pregannu ‘accorrendo pregando’ (persona che si adopera e che spera anche in un aiuto dall’Alto; modo di dire molto simile al proverbio italiano ‘aiutati che Dio t’aiuta’).

Accurtàre [v.tr.] Accorciare, rendere più breve. 

Accurtatùru [s.m.] Scorciatoia, viottolo.

Accurtìzza [s.f.] Accortezza, prontezza, astuzia, riguardo.

Accùrtu [l.avv.] Vedi allaccurtu.

Accussì [l.avv.] Ecco così, in questo modo. 

Acinédda [s.f.] Acero, Acer campestris L., il suo legno è molto apprezzato dai falegnami. 

Acìtu [s.m.] Aceto, succhi gastrici, es.: (lap.) chi te viennu u jietti l’acitu ‘che ti possa vedere essere preso da una emeto-crisi profonda’ (equivalenza tra acitu e succhi gastrici).

Acqua ciociàna [s.f.] Vedi ciociana.

Acqua frisca [s.f.] Letteralmente ‘acqua fresca’, grande castagneto compreso tra le località di Jurieddu e Caria, situata di fronte al rione del Petrarizzu, in mezzo scorre il fiume Vergari.

Acquagnùsu [agg.] Che ha molta acqua, impregnato d’acqua, carico d’acqua; il termine può riferirsi sia a della frutta acquosa (poco saporita) che ad un terreno molto umido, ma anche alla neve, nive acquagnusa ‘nevischio’.

Acqua modda [s.f.] Località di campagna e di castagneti di Mesoraca in posizione sud-est.

Acquarèdda [s.f.] Bevanda parecchio annacquata, acquetta, termine usato quasi esclusivamente per descrivere un caffè troppo leggero, es.: su cafè t’è benutu n’acquaredda ‘questo caffè ti è venuto quasi acqua’ (non ha dignità di caffè). 2 Acquolina, es.: quannu pienzu ara tiedda da mamma me vena l’acquaredda ara vucca ‘quando penso alla tiella di mamma mi viene l’acquolina in bocca’.

Acquàru [s.m.] 1 Canale artificiale per l’approvvigionamento dell’acqua, acquedotto costruito per l’irrigazione degli orti. 2 Zona dove passa l’acquaru, ossia una traversa di via Tirone, ovvero il prolungamento dell’ultima traversa del rione Petrarizzu; le acque erano incanalate all’altezza del vuddu chiamato Maricieddu del fiume Vergari; vedi anche prisa. 

Acquasàle [s.f.] Località di campagna vicino Vardaru, Cerceddina e Jinò, al confine col comune di Petilia.

Acquatìna [s.f.] Rugiada, brina, ma anche neve morbida mista ad acqua a terra; da notare che il termine in italiano è il diminutivo di ‘breve acquazzone’.

Acquebbìentu [l.avv.] Pioggia unita a vento, espressione usata anche figurativamente per indicare un’azione compiuta in maniera veloce e veemente.

Acquetàre [v.tr. v.rifl.] Calmare, acquietarsi.

Acquicèdda [s.f.] Zona di castagneti situata poco sotto alla località chiamata Monacieddi, es.: ne fermavamu sempre a l’Acquicedda ccu ru cammiu du zu Peppinu ‘ci fermavamo sempre a l’Acquicedda con il camion di zio Peppino’.

Acru [agg.] Acre, acerbo. 

Acu [s.m.] Ago, plurale àcura, esempi: (loc.) ci’appizzi l’acu e ru spacu ‘ci sprechi l’ago e lo spago’ (modo di dire per indicare che certe azioni verso certe persone sono inutili poiché non comprese o ricambiate, o ancora non sortiscono un buon esito; vedi anche civilizza), (loc.) duve u ficchi l’acu ficchi a capu ‘dove non ficchi l’ago ficchi il capo’ (mettere più accortezza nel non trascurare piccoli problemi che altrimenti col passare del tempo potrebbero ingrandirsi), (loc.) ha dittu l’uervu aru cecatu, mpilamilu u filu all’acu ‘ha detto l’orbo al cieco, infilamelo il filo all’ago’ (intercalare ironico quando si chiede una mano a chi ha più bisogno di noi).

Addijìre. [v.tr.] Selezionare, scegliere le parti migliori (anche porzioni) di vegetali, funghi, pezzi di carne, ma anche di altri oggetti come dei mattoni o dei pezzi di legno da riusare. 

Addimannàre [v.tr.] 1 Domandare, rivolgersi a qualcuno per chiedere qualcosa. [v.intr. v.intr.pron.] 2 Informarsi circa una persona.

Addiminàre [v.tr.] Indovinare, azzeccare, pronosticare. 

Addimmuràre [v.intr.] Indugiare, tardare, variante dimmurare; il termine si riferisce anche a cose, come ad esempio diventare stantio o eccessivamente lievitato, esempi: fuja e nnu ce dimmurare ‘corri e non rimanerci tanto’, u cci l’addimurare assai ‘non tenercela troppo’.

Addirizzàre [v.tr.] Raddrizzare, correggere, dirigere. 

Addubbàre [v.rifl.] 1 Vestirsi, agghindarsi, addubbarsi. 2 Contrattare, mettersi d’accordo in una compravendita col venditore, es.: addobbamilu stu paru e cavuzi ‘accordiamoci per questo paio di pantaloni’. [v.tr.] 3 Preparare, allestire, es. addobbate a valigia e parta ‘preparati la valigia e parti’. 4 Adornare, arredare, es.: ti l’addubbata a casa? ‘hai arredato la casa?’. 

Adduluràre [v.tr. v.intr.pron.] Addolorare, amareggiare.

Addumàre [v.tr.] Accendere, illuminare.

Addunàre 1 [v.intr.pron.] Accorgersi di un cambiamento (a volte improvviso), avvedersi, consapevolizzare, esempi: si nn’è addunatu ‘se n’è accorto’, (loc.) toccalilu u culu ara cummari ma u tti nne fare addunare du cumpari ‘toccale il culo alla comare ma non te ne fare accorgere dal compare’, mi nn’addugnu quannu niesci ‘sono consapevole quando esci’, ad ura c’u t’adduni ‘ad ora che non ti accorgi’ (frase usata per sottolinare di fare una certa cosa molto velocemente altrimenti, altrettanto velocemente, passa il tempo utile per farla, oppure per dire che nel momento in cui si ha contezza di un certo evento questo è già passato (o arrivato), esempi: ad ura c’u t’adduni si nn’è gghjutu ‘appena te ne accorgi se n’è andato’, ad ura c’u t’adduni scura ‘non fai in tempo a rendertene conto che viene buio’). 2 [v.tr.] Informarsi, controllare, es.: vaju e m’addugnu fore ‘vado a informarmi (controllare) sullo stato della campagna’.

Adduràre [v.tr. v.intr. v.rifl.rec.] Profumare (rendere odoroso qualcosa), emanare odore, annusare, esempi: adduralu nu pocu ccu u rosmarinu ‘profumalo un poco con il rosmarino’, ud addura de nente ‘non odora di niente’, adduru e sudure ‘so di sudore’, addura cca ‘annusa qua’, ne simu addurati ppe vidire si sapiamu e fumu ‘ci siamo annusati per vedere se sapevamo di fumo’.

Addùri [s.m.pl.] Erbette aromatiche usate in cucina per insaporire ricette e pietanze: prezzemolo, basilico, sedano, menta, pianta e semi di finocchio, origano, rosmarino sono le più usate.

Addurìnu [s.m.] Persona con la puzza sotto il naso, altezzoso, snob.

Addùru [s.m.] Odore, profumo, emanazione gradevole, esempi: l’adduru du petrusinu mu chjama fietu ‘l’odore del prezzemolo me lo chiama puzza’, (loc.) stare all’adduru ‘stare all’odore’ (beneficiare indirettamente di una persona o di una situazione).

Addùve [avv.] Dove, poco usato, sono preferite le forme duve o due, es.: adduve e gghjutu? ‘dove andato?’.

Adocchjàre [v.tr.] 1 Adocchiare, guardare con insistenza e interessamento, posare l’occhio, tenere d’occhio. 2 Affascinare, colpire con la iattura, malocchio. 

Adogghjàre [v.tr.] Oliare, ovvero condire abbondantemente d’olio qualcosa, es.: famme na bona adogghjata ara pitta ‘mettimi un bel po’ d’olio nella pitta‘.

Adolàre [v.tr.] Livellare, levigare un legno adoperando un coltello o altra lama.

Adoppiàre [v.tr.] Legato all’effetto dell’oppio, oppiare, ovvero drogare, stordire con l’oppio, mescolare bevande con oppio al fine di addormentare; vedi anche adoppiu e pappasuennu.

Adoppiàtu [agg.] Sotto l’effetto dell’oppio, semi-addormentato, vicino al significato di nzumpràtu.

Adòppiu [s.m.] Anestesia, narcosi da oppio, abolizione parziale o totale della sensibilità, es.: tena l’adoppiu ‘ha il torpore’ (dell’oppio).

Adoppricàtu [agg.]  Raddoppiato, modalità di contraccambiare gli auguri, ossia raddoppiati.

Aduvàre [v.tr.] In generale, qualcosa che prende la forma dell’uovo, nel nostro dialetto il termine è però quasi esclusivamente usato per indicare i piccoli bozzoli che in primavera gli alberi producono, da cui poi nasceranno i fiori e quindi i frutti; si fa particolare riferimento ai grappoli di gemme degli alberi d’ulivo, i quali hanno una rilevante similarità con il sistema ovarico interno delle galline.

Aériu [s.m] Aeroplano, aereo.

Affascinàre [v.tr.] Ammaliare, fare il malocchio, vicino al significato di vuviare.

Affascinàtu [agg.] Colpito da malocchio, ammaliato, es.: m’anu affascinatu ‘mi hanno fatto il malocchio’.

Affàscinu [s.m.] Fascino, incantesimo, sortilegio, malocchio. Viene ancora praticato un rito per togliere l’affascinu, anche se con meno frequenza che in passato; in particolare è effettuato verso bimbi frignoni/malaticci, poiché si teme sia stato gettato loro il malocchio e per questo piangono spesso, ma anche  nei confronti di bei ragazzi (o ragazze) da matrimonio, i quali vengono notati/e per la loro avvenenza e quindi soggetti ad invidia e malocchio; in tali casi ma anche in svariati altri, si pratica la preghiera contro l’affascinu, perfetto sincretismo tra credenze popolari e fede cristiana. La persona officiante si fa il segno della croce e recita la seguente preghiera: a sapìenza du Patre, a sapìenza du Figghju, a virtù du Spiritu Santu a chissu puta (da putativo, relativo al Signore), a chissu regna ad ogni malatia u ru difenna. Jesu, Jesu, Jesu Maria dunale forza tu Madonna mia; ncienzu santu benedittu nterra si natu e ncielu si scrittu e a virtù che Diu ci’ha datu caccia s’uecchju mmelenatu (segue nome della persona) ‘La sapienza del Padre, la sapienza del Figlio, la virtù dello Spirito Santo, su questo credente e che su di lui regnano, per ogni malattia che lo difendano. Jesus, Jesus, Jesus e Maria dai loro forza tu Madonna mia; incenso santo e benedetto in terra sei nato e in Cielo sei scritto e la virtù che Dio ci ha dato leva via questo occhio avvelenato’ (la traduzione è necessariamente un po’ forzata). Ripetere tre volte la formula e dire un Padre Nostro, una Ave Maria e un Gloria Padre. Porre attenzione ad eventuali sbadigli, se si sbadiglia al Padre Nostro ad aver fatto l’affascinu è stato un uomo; se lo si fa all’Ave Maria una donna, al Gloria Padre un letterato (allitteratu). Il rito può essere effettuato anche su un oggetto della persona affascinata se quest’ultima è impossibilitata, per i bimbi basta un berrettino, per gli adulti un pettine o una pettinissa o un altro oggetto personale, viceversa se il rito può essere espletato direttamente sulla persona interessata, l’officiante mentre recita fa delle croci con il pollice prima sulla fronte, poi sul cuore e infine sulla pancia.

Affegàre [v.tr.] Affidare, dare in custodia, disporre dei servigi di qualcuno, ma anche di un mezzo, es.: u mi nne puezzu affegare e cuginutta ‘non me ne posso fidare (disporre) di tuo cugino’.

Affettìvu [agg.] Effettivo, titolare, di ruolo, in concreto.

Affìettu [s.m.] Affetto, attaccamento, luogo caro, es.: (loc.) due tieni u liettu tieni l’affiettu ‘dove hai il letto hai l’affetto’ (ossia casa propria, che quasi sempre, è il luogo più caro; per estensione anche il proprio paese sarebbe da preferire rispetto ad un altro di pari attrattiva).

Affilatùru [s.m.] Affilatrice, pietra o arnese per affilare coltelli, asce, forbici, sinonimo di ammulaturu.

Affissàre [v.intr.pron.] Fissarsi, intestardirsi, incaponirsi su un’idea mantenendogli fede in maniera esagerata, anche con elucubrazioni rimuginanti (talvolta maniacali) che non portano da nessuna parte, anzi a volte da qualche parte portano: nei reparti psichiatrici, esempi: u tti cci’affissare c’u nne vala a pena ‘non ti ci rincoglionire che non ne vale la pena’, te si affissatu ccu chiddu juecu ‘ti sei fissato con quel gioco’, s’è così affissatu, chi c’è diventatu ciuetu ‘si è così impuntato, che c’è diventato scemo’.

Affòrza [loc.a.] Per forza, indica una mesorachese e ostinata perseveranza.

Affràsceddàre [v.tr.] Affastellare, legare o ammucchiare in fastelli.

Affrasceddàta [loc.] Tramonto, p.p. di affrasceddare, es.: ne vidimu all’affrasceddata ‘ci vediamo al tramonto’ (ossia quando si accatasta la legna o il fieno).

Affriggìre [v.tr. v.rifl.]  Abbattere, deprimere con dolore fisico, morale e/o psicologico, variante affrìggiare.

Affrìttu [agg.] 1 Afflitto, sconsolato, triste, p.p. di affriggire, es.: (loc.) chine campa sperannu affrittu mora ‘chi campa sperando afflitto morirà’. 2 Eccitato sessualmente, bramoso, allupato.

Affruntàre [v.tr. v.rifl.] Incontrare una persona per strada, anche per caso, imbattersi, es. aju affruntatu u cumpari Peppe e n’amu piatu nu pastis ‘ho incontrato il compare Peppe e ci siamo bevuti un pastis’; in forma attiva, andare incontro ad una persona, per es.: v’affrunta a patritta ca sta veniennu ‘vai incontro a tuo papà che sta arrivando’.

Affucàre [v.tr. v.intr.] Affogare, annegare, soffocare, strozzare, esempi: cadìu intra a jumara e s’affucau ppecchì u sapia natare ‘cadde nel fiume e annegò perchè non sapeva nuotare’, (lap.) chi te viennu u t’affuchi ‘che tu possa strozzarti’.

Affucatùru [s.m.] Luogo angusto, posto dove manca l’aria. 

Affumicàtu [agg.] Persona o cosa che abbia un colorito tendente al nero.

Affunnàre [v.tr.] Vedi mpunnare.

Aggaddàre [v.intr.] Fare sesso, fornicare.

Aggangàta [agg.] È l’equivalente di “addentata”, l’azione è però svolta con i molari (ganga), il significato è di essere molto attaccati ad una persona o ad una situazione perché vantaggiose, es.: avie vidire cuemu c’era aggangata ccu mie nannata ‘dovevi vedere come c’era legata con me tua nonna’.

Agghjanchiscìre [v.tr. v.intr.] Sbiancare, rendere più bianco o più chiaro.

Agghjànna [s.f.] Ghianda, il frutto della quercia. 

Agghjìeri [s.m.] Ghiro, Glis glis L.

Agghjimmàtu [agg.] Ingobbito, incurvato.

Agghjìre [loc.a.] Letteralmente ‘ad andare’, ossia ‘andare verso’ ‘in direzione di’, sinonimo di mmeru (mmieru) e verzu (vierzu), es.: l’aju vistu jire agghjìre sutta ‘l’ho visto andare verso sotto’ (verso il basso, verso sud, a valle). 

Agghju [s.m.] Aglio, Allium sativum L., es.: (loc.) u nne manciare agghju cu nne fieti ‘non mangiarne aglio che non ne puzzi’ (non averne di pensieri se sei pulito).

Agghjuncire [v.tr.] Raggiungere, arrivare a prendere, es.: (loc.) a gatta chi ud agghjuncia aru purmune dicia ca feta ‘la gatta che non arriva al polmone dice che puzza’ (la metafora è quasi identica al detto della volpe e l’uva, ovvero quando per incapacità non si riesce a risolvere un problema si attribuisce la sconfitta alle circostanze). 

Aggìeddu [s.m.] 1 Nome generico delle diverse specie di animali che appartengono alla classe degli Uccelli, plurale aggedda; col termine s’intende in genere un uccello di taglia medio-piccola, come una pica, es.: a ogne aggieddu nne vo na pinna ‘per ogni uccello ne vuole una penna’ (persona pedante che vuole sapere molte cose; cfr ntricare). 2 Pene, membro.

Aggieddùzzu [s.m.] 1 Uccellino. 2 Il pisellino dei bimbi. 

Aggiuvàre [v.intr.dif.] Giovare, far bene, es.: (lap.) u tti nn’aggiuvanu medicine ‘non te ne giovano medicine’ (nessuna medicina ti giova, sottinteso: perché sei cattivo). 

Aggiùvu [s.m.] Giovamento, vantaggio.

Aggradiscìre [v.tr. v.intr.] Gradire, accettare di buon animo, garbare, far piacere.

Aggramignàre [v.tr. v.rifl.] Agguantare, arraffare, ma anche avvinghiarsi, aggrapparsi, come le trame della gramigna, Cynodon dactylon L.; il termine trova largo uso quando si deve prendere a volo una cosa che va veloce o cade da una certa altezza. 

Aggrancàre [v.tr. v.intr.] Aggranchire, intirizzirsi, intorpidirsi.

Aggrancàtu [agg.] Intorpidito, bloccato, irrigidito, rigido e p.p. di aggrancare.

Aggrippàre [v.intr. v.intr.pron.] Grippare, quando due superfici metalliche in movimento e a contatto tra loro si bloccano per attrito, ovvero per mancanza di lubrificazione. 

Aggualàre [v.tr.] Comparare, confrontare, far combaciare.

Agnìeddu [s.m.] Agnello, cucciolo della pecora, Ovis aries L., da cui agneddùzzu ‘agnellino’.

Agninocchjàre [v.intr.pron.] Inginocchiarsi, genuflettersi, da cui agninocchjatu ‘inginocchiato’. 

Ágriddu [s.m.] Località e contrada di Mesoraca, vicino alla località denominata Jinò (dove si trova Acquasale), in posizione sud-est rispetto al comune.

Agrìeddi [s.m.pl.] Lisca del lino, ossia la parte legnosa che si separa a pezzetti durante la fase della manganatura.

Aguànnu [avv.] Questo anno, aguannu chi vena ‘il prossimo anno’.

Águnu [s.m.] Agnello al di sotto di un anno, da cui agunucieddu ‘agnellino’, es.: (lap.) te via cuemu l’agunu e Pasqua ‘che io possa vederti (macellato) come l’agnello di Pasqua’.

Aguràre [v.tr.] Augurare, auspicare. 

Agùri [s.m.pl.] Plurale di augurio, es.: aguri e bona Pasqua ‘auguri di buona Pasqua’.

Agùstu [s.m.] Agosto, ottavo mese dell’anno, esempi: (loc.) e l’olive e de l’agghjanne ad agustu mi nn’addimmanni ‘delle olive e delle ghiande ad agosto me ne domandi’ (in agosto si vede se le olive hanno legato e quindi si saprà se sarà un buon raccolto oppure no: ogni cosa si compirà a tempo dovuto, perciò è inutile avere fretta o forzare la mano), (loc.) agustu mele e mmustu ‘agosto miele e mosto’.

Ah [inter.] 1 Comando per far muovere il cavallo. 2 Come in italiano esprime varie emozioni come piacere, paura, dolore, schifo, ecc.

Ahà [inter.] Suono che sottintende di aver capito, o ricordato, quello che l’interlocutore sta dicendo durante il suo discorso, e quindi di proseguire, traducibile con ‘appunto’ ‘ho capito (ricordato)’ ‘vai avanti’.

Ahhàaaaaa [inter.] Richiamo deciso del pastore per dare una direzione al gregge (o per fare andare più veloce l’asino) seguito da uhhùuuu e due brevi fischi.

Ai [v.tr.] Indicativo presente seconda persona singolare verbo avere, rappresentato nel vocabolario come in italiano con l’acca iniziale, es.: ci l’hai ccu mmie? ‘ce l’hai con me?’.

Aja [l.avv.] Diminutivo di mannaja.

Ajìeri [avv.] Ieri, il giorno trascorso.

Ájimu [agg.] Azzimo, senza lievito.

Ajìna [s.f.] Avena selvatica, Avena fatua L.; ghiotto foraggio per capre e pecore.

Aju [v.tr.] Presente prima persona singolare del verbo avere, esempi: u nn’aju ‘non ne ho’, aj’e vidire si vena ‘ho da vedere se viene’ (oppure ‘debbo vedere se viene’), (loc.) aju vistu nu cane cacare, aju piatu na petra e l’aju fattu levare ‘ho visto un cane cacare, ho preso una pietra e l’ho fatto levare’ (nessuna metafora solo rompimento di scatole al povero cane), u ll’aju saputu dire né a né ba ‘non le ho saputo dire né a né ba’ (intercalare per indicare che in una determinata situazione non si sono trovate le parole per esprimersi).

Alàre [v.tr. intr.] Sbadigliare, dormicchiare con la bocca aperta, magari vicino al tepore del camino ove di consueto vi sono posizionati gli alari.

Allaccùrtu [l.avv.]  In tempi brevi, al più presto.

Allallìrta [l.avv.] In piedi, in maniera eretta, variante allallìrtu, sinonimo di allimpiedi, (loc.) tieni troppu a capu allallirta ‘hai troppo la testa alta’ (sei troppo sveglio). 

Allamàre [v.dif.] Bramare, desiderare esageratamente cibo; vedi anche allamatu.

Allamàtu [agg.] Famelico, affamato, vorace, es.: i figghji e Maria me paranu tutti allamati ‘i figli di Maria mi sembrano tutti molto affamati’.

Allammènte [l.avv.] A memoria, recitare qualcosa a memoria, avere in mente; il termine trova poco uso e ad esso sono preferiti i termini ara mente dai quali deriva, esempi: m’aju mparatu a poesia allammente ‘ho imparato la poesia a memoria’, allammente lu dicia ‘a ricordarsi (ad averlo saputo) glielo avrei detto’.

Allammucciàta [l.avv.] A nascondino, riferito al gioco.

Allammucciùni [l.avv.] Di soppiatto, alla chetichella, fare qualcosa celandola alla vista altrui; di rado, il termine è impiegato anche per dissimulare sentimenti o pensieri.

Allammùzzu [l.avv.] 1 A cottimo, all’ingrosso, es.: avie vidire cuemu cugghjianu se su misi allammuzzu ‘dovevi vedere come raccoglievano, si sono messi di buona lena’. 2 In maniera confusa, disordinata; vedi anche muzzu.

Allampanàtu [agg.] Persona alta e magra, malaticcia, dinoccolata.

Allamprìma [l.avv.] Di azione svolta in maniera lesta, con destrezza, velocemente, perspicacemente; il termine è però usato prevalentemente in tono ironico e quindi per sottolineare lentezza, impaccio, goffaggine, rincoglionimento nel compiere una certa azione; cfr allampu.

Allàmpu [l.avv.] Alla lettera ‘a lampo’, ossia veloce come un lampo, in maniera molto rapida, es.: allampu, u cce durmire! ‘fulmineo, non dormirci!’.

Allanninucchjùni [l.avv.] Il termine si riferisce a qualcosa fatta in ginocchio, ginocchioni, es.: tuttu maju sugnu juta da casa all’Acciomu allanninucchjùni ‘tutto il mese di maggio sono andata al convento dell’Ecce Homo in ginocchio’.

Allarigàre [v.tr.] Allargare, fare spazio tra oggetti, allentare. 

Allàriu [l.avv.] All’aria, in alto, alla rinfusa, es.: ci’aju a casa tutta allariu ‘ci’ho la casa tutta in disordine’.

Allascàre [v.tr.] Allargare, allentare, rilassare.

Allàtra [l.avv.] Letteralmente all’altra, ovvero alla prossima volta, cioè all’altra possibilità di rivederci, confrontarci, mangiare insieme e cosi via.

Allazzàre [v.tr.] 1 Allacciare, annodare, es.: allazzate e scarpe ‘allacciati le scarpe’. 2 Accelerare, fare in fretta, usato prevalentemente per indicare un andamento più veloce in macchina o a piedi, es.: allazza ca simu in ritardu ‘accelera che siamo in ritardo’. [v.intr.] 3 Sparire, allontanare, es.: allazza! ‘sparisci!’.

Alleggiàre [v.tr.] Diminuire, calare, alleviare, es.: t’è alleggiata a freve? ‘ti è calmata la febbre?’.

Allentàre [v.tr.] Dimagrire, perdere peso, esempi: mammarè cum’è allentatu! ‘mamma mia quanto è dimagrito!’, cummà, aviti allentare armenu vinti chili ‘signora, dovete dimagrire almeno venti chili’.

Allentàtu [agg.] Dimagrito, smagrito, deperito.

Alletteràtu [agg.] Persona molto malata che non può alzarsi dal letto.

Allezionàre [v.tr.] Istruire, inquadrare, ammaestrare.

Alliccàre [v.tr. v.rifl.]  Prenderci gusto, allettare, abituarsi bene, avvezzarsi, esempi: cce sugnu alliccatu ‘ci sono abituato bene’ (ci’ho preso gusto), alliccaccelu ara villetta mmeru e sette ‘allettalo (a venire) alla villetta verso le sette’; si può rimanere alliccati da qualcosa se quest’ultima rappresenta una situazione (momentanea) per noi favorevole, comoda, piacevole, come può esserlo una serie fortunata a carte, o la comodità di avere la fermata dell’autobus sotto casa.

Alliffàre [v.tr.] Acconciare, ungere, azzimare i capelli e i baffi; per estensione, adornarsi con molta cura.

Alliffatu [agg.] Imbellettato, azzimato.

Allimpìedi [l.avv.] In piedi, alzato. 

Allimprìma [l.avv.] Dapprima, all’inizio (di tutto), in un primo momento, es.: allimprima u cce vulia cridire ‘all’inizio (dapprima di tutto) non ci volevo credere’; cfr allamprima.

Allìntrasatta [l.avv.] All’improvviso, inaspettatamente, es.: m’è cumparutu davanti allintrasatta ‘mi è comparso davanti all’improvviso’.

Allippàre [v.tr.] 1 Che allappa, allega, tipico di alcuni frutti non maturi, come ad esempio cachi o banane. [v.intr. v.intr.pron.] 2 Ammuffire, alterarsi, guastarsi. [v.intr.pron.] 3 Riprendere le forze, le energie, ritornare in salute e ad avere di nuovo appetito.

Allippatu [agg.] 1 Allappato. 2 Ammuffito, guastato, riferito ai cibi, es.: s’e allippatu u pane doppu cinque jùerni ‘si è ammuffito il pane dopo cinque giorni’. 3 Pieno (coperto) di muschio, es.: aju putatu nu pede e bruna chi mi s’era tuttu allippatu ‘ho potato una pianta di prugno che si era riempita di muschio’. 4 Ritornato in salute.

Allisciàre [v.tr.] 1 Lisciare, rendere una superficie liscia.  2 Adulare, arruffianarsi, esempi: (loc.) chine davanti t’alliscia d’arriedi te trada ‘chi davanti ti liscia da dietro ti tradisce’, u mmi l’allisciare ‘non lisciarmelo’ (sottinteso il membro, il significato attribuito è ‘non fare il ruffiano che mi stai infastidendo’); tale verbo, accoppiato con le parole u pilu (il pelo), è usato anche in senso traslato nel significato di ‘meritarsi delle botte’ per aver combinato qualcosa a qualcuno, ma anche di darle; spesso l’interlocutore pone la frase in senso godereccio e ironico verso chi dovrebbe ‘prenderle’, in forma attiva invece l’agente è più aggressivo e arrabbiato, ma non tantissimo, esempi: mo chi vai ti l’alliscia u pilu ‘adesso che vai te lo alliscia il pelo’ (te le suona come meriti), si te piu t’allisciu u pilu ‘se ti prendo ti liscio il pelo’ (ti meno come si deve).

Allitteràtu [agg.] Persona istruita, che sa leggere e scrivere, non necessariamente diplomata o laureata.

Alluciàre [v.tr.] Fare luce, rischiarare, illuminare, vedere grazie a qualcosa che fa luce.

Allugàtu [s.m.] Lavoratore generalmente impiegato nella pastorizia e stipendiato con il minaticu.

Allumàre [v.tr.] Guardare con insistenza, desiderare, es.: alluma sti covatieddi casaluri ‘guarda come sono belli questi cavatielli fatti in casa’.

Allupàtu [agg. s.m.] Persona molto affamata, bramosa di cibo, come un lupo denutrito in cerca di un lauto pasto, es.: e cchi cazzu, me pari n’allupatu, mancia cchjù chjanu ca t’affuchi ‘e che cazzo, mi sembri un allupato, mangia più piano che ti affoghi’; vedi anche lupeddiare e allamatu. Il termine, come in italiano, denota anche una persona in (o con) forte eccitazione sessuale, sinonimo di affrittu, es.: cumu si allupatu, u nne mmai vistu fimmine? ‘come sei eccitato, non ne hai mai visto donne?’.

Allurdàre [v.tr. v.rifl.] Lordare, insudiciare, sporcarsi. 

Allustràre [v.tr.] Fare luce, fare lampi di luce, fare lustru, molto vicino al significato di alluciare.

Amarùre [s.m.] 1 Che ha sapore amaro. 2 Afflizione mista a disincanto, amarezza, dolore, es.: e quannu me mmuertu u gattu ci’aju n’amarure aru core cu tte dicu ‘da quando mi è morto il gatto ho una tristezza così profonda che non ti dico’.

Amicìżża [s.f.] Amicizia, relazione d’amicizia, es.: (loc.) si vue chi l’amiciżża se mantena, na cista va e n’atra vena ‘se vuoi che l’amicizia si mantenga una cesta va e un’altra viene’ (l’amicizia per durare va curata con gentilezze).

Ammacàru [inter.] Magari, volesse Dio, esempi: (lap.) ammacaru u te mora mammata! ‘volesse il Cielo che ti muoia la mamma!’, (lap.) ammacaru u mueri! ‘speriamo che tu muoia!’.

Ammacaruddìo [l.avv.] Letteralmente ‘magari Dio volesse!’, simile ad ammacaru, ma con intercessione divina.

Ammaccàre [v.tr.] 1 Superare una carta, dello stesso seme, nel gioco della briscola, ovviamente può essere ammaccata anche una briscola. 2 Valgono tutti i significati dell’italiano, quindi deformare, sformare, rompere, esempi: ammaccamu e miennule ‘rompiamo le mandorle’ (levare dal guscio), (loc.) si nne vue ammaccare ripuesu! ‘se ne vuoi ammaccare riposo!’ (intercalare, quasi un proverbio, si usa quando si vuol sottolineare che ci saranno periodi di ozio forzato in cui il lavoro sarà assente oppure si sarà impossibilitati per altri fattori, come quelli meteorologici).

Ammaccatìna [s.f.] Ammaccatura, contusione, forma sincopata dell’italiano arcaico ‘ammaccaturina’. 

Ammacchjàre [v.tr.] Macchiare, sporcare.

Ammafaràtu [agg.] Persona diventata mafaru, ovvero balorda, che delinque, che è poco raccomandabile.

Ammagghjàtu [agg. s.m.] Persona birbona, furbacchiona, lesta, sveglia; il termine è vicino al significato di ammazzatu ed è prevalentemente impiegato nei confronti di ragazzi o ragazzini un po’ canaglie, es.: ih l’ammagghjatu! ‘ih il birbante!’. 

Ammalàpena [l.avv.] Appena, solamente, a stento, es.: parrare ammalapena ‘a mala pena parlare’.

Ammalèria [s.f.] Spreco di qualcosa per disattenzione, dispendio, es.: (loc.) discurzi e furnu, ammaleria e pane ‘discorsi di forno, spreco di pane’ (le chiacchiere rischiano di far bruciare il pane).

Ammalìre [v.intr.] Far andare a male, far ammuffire, sprecare, variante poco usata ammalare.

Ammània [s.f.] Stato mentale caratterizzato da  angoscia, paranoia, timore e ansia, talvolta culminante nei sintomi di un attacco di panico, spesso accompagnato da umore molto basso,   esempi: a chiddu postu mi cce pia l’ammania ‘in quel posto mi ci manca il respiro’, u cce vaju sulu a funci ca mi cce vena l’ammania ‘non ci vado (da) solo a funghi che vado in panico’ (oppure ‘mi prendo paura’), me pia l’ammania e pue u dduermu cchjù ‘mi prende lo sconforto più totale e poi non dormo più’; parola molto particolare,  probabilmente diffusa solo localmente.

Ammanilàre [v.tr.] Scuotere le matasse, ossia le manne di lino.

Ammanilàtu [agg.]  Esausto, sfiancato.

Ammappàre [v.tr.] 1 Coprire, nascondere sotto una mappina, una piccola tovaglia. 2 Compattare, fare occupare meno spazio, appiattire, es.: (loc.) ammappa a carne ammappa u fuecu ‘diminuisce la carne diminuisce il fuoco’ (col passare del tempo il dolore dovuto alla scomparsa di una persona cara diminunisce; la metafora è cimiteriale e fa riferimento alla riesumazione dei cadaveri, i quali, ormai rinsecchiti, suscitano meno sofferenza e pena). 

Ammarràre [v.tr.] 1 Rovinare, smussare, scheggiare la punta o il filo di una lama. [v.tr. v.intr.] 2 Guarda mmarrare.

Ammarruecculàtu [s.m.] Malandato, dall’aria triste, stanco. 

Ammarrunàre [v.tr.] Non riuscire in una cosa, sbagliare, smarronare, la parola è vicina nel significato ad ammarvizzare e appizzare. 

Ammarvizzàre [v.tr.] Sprecare, sciupare, fare andare a male qualcosa.

Ammascaràre [v.tr. v.rifl.] Mascherare, mostrarsi diverso da come si è in realtà, fingersi; termine poco usato all’infinito, guarda anche ammascaratu.

Ammascaràtu [agg.] Impostore, persona poco raccomandabile poiché dissimula, sotto false apparenze, malefatte e altre azioni poco edificanti, p.p. di ammascarare.

Ammasunàre [v.tr. v.rifl.] Rilassarsi, appisolarsi, abbandonarsi, accasarsi come gli animali domestici quando vanno al riparo per riposare e per dormire.

Ammattulàre [v.tr.] 1 Ammannellare, raccogliere a mazzetti; guarda anche gregna. 2 Mangiare con appetito e voracità; verbo non molto usato e adoperato quasi esclusivamente al participio passato ammattuliatu.

Ammazzapatrùni [s.m.] Alla lettera ‘ammazza-padrone’, soprannome dato agli abitanti di Mesoraca. 

Ammazzàtu [agg. s.m.] Persona irresponsabile, lesta, furba, scapestrata, p.p. di ‘ammazzare’, esempi: è n’ammazzatu u figghjastru ‘è uno sveglio il genero’, tu si n’ammazzatu ‘tu sei un furbacchione avventato’; guarda anche ammagghjatu e erramu.

Ammèce [avv.] Invece, piuttosto.

Ammentàre [v.tr.] 1 Rammendare, rattoppare, ricucire, es.: amméntace na pezza ‘attaccaci una pezza’. 2 Aggiungere, addizionare, es.: amméntace n’atru pocu e sordi ‘aggiungici un altro po’ di soldi’.

Ammentatìna [s.f.] Aggiunta, toppa, supplemento di qualcosa.

Ammeritàre [v.tr.] Meritare, guadagnare, variante ammieritàre, es: u tti l’ammieriti ‘non te lo meriti’.

Ammìe [prep.pron.] A me, es.: dammilu ammie ‘dammelo a me’; guarda anche me.

Amminazzàre [v.tr.] Minacciare, ammonire, sgridare.

Amminchjunàre [v.intr. v.intr.pron.] Imminchionire, rincoglionirsi.

Amminchjunàtu [agg.] Rincoglionito, rincretinito.

Ammortiscìre [v.tr.] Ammortire, ammorbidire, ammollire, far diventare più morbida verdura o carne salandola o lavorandola.

Ammortisciùtu [agg.] Ammorbidito, reso molle, soffice, tenero.

Ammucciàre [v.intr. v.rifl.] Celare, occultare, nascondersi; guarda anche allammucciuni.

Ammucciàta [s.f.] Nascondino, rimpiattino, p.p. di ammucciare, es.: jucamu all’ammucciata? ‘giochiamo a nascondino?’.

Ammucciatùru [s.m.] Nascondiglio, tana.

Ammuddàre [v.tr.] Ammollare, rendere molle qualcosa immergendola nell’acqua o, di rado, in altro liquido; termine vicino al significato di rimuddare.

Ammugghjàre [v.tr.]  Inzuppare, intingere, immergere, esempi: ammogghja u viscuettu intr’a nzalata ‘intingi la frisella nell’insalata’ (di pomodoro), ti cce si ammugghjatu i quazietti ‘ti ci sei inzuppato le calze’, (loc.) ci’ammogghja u pane ‘ci inzuppa il pane’ (intercalare tipico che si usa quando due o più persone sono costrette a frequentarsi per motivi diversi dall’amicizia, ad esempio in un rapporto di lavoro); la parola è usata anche in termini sessualmente allusivi, es: l’ammugghjatu u biscottu? ‘lo hai intinto il biscotto?’ (hai trombato?).

Ammulàre [v.tr.] 1 Affilare, molare, es.: ammulamu e gacce ppe domane ‘facciamo il filo alle asce per domani’. [v.rifl.] 2 Masturbarsi, autoerotismo maschile, es.: avie vidire i discrażżiati cuemu ammulavanu sa jumara jumara ‘dove vedere i disgraziati come si facevano le seghe questo fiume fiume’.

Ammulatùru [s.m.] Pietra per affilare i coltelli e simili, affilatore/trice.

Ammuntàre [v.tr.] 1 Raccogliere, riunire in cumuli. 2 Terminare, interrompere una partita a carte per sospetti brogli.

Ammunzeddàre [v.tr. v.rifl.] Ammucchiare, ammassare per mettere da parte, oggetti, cose, animali, persone, se stessi, abbandonare, trascurarsi; guarda ammunzeddatu.

Ammunzeddatu [agg.] Abbandonato, accasciato, ‘che si sta lasciando andare’, trascurato, participio passato di ammunzeddare, esempi: ce su quattru mobili ammunzeddati ‘ci sono quattro mobili abbandonati’, l’aju vistu aru barru e me para nu poco ammunzeddatu ‘l’ho visto al bar e mi è sembrato un po’ accasciato’.

Ammurzeddàre [v.tr.] Alla lettera ‘mangiare il murzieddu’ ovvero mangiare il pasto di metà mattina, un panino, una colazione, un pezzo di pittanchjusa, a seconda della pesantezza del lavoro che si sta compiendo.

Ammusciàre [v.tr. v.intr.pron.] Rendere qualcosa moscio, floscio, appassito, ma anche ammosciarsi, es.: (lap.) chi te viennu ud ammusci ‘che tu possa diventare moscio’ (paralitico). 

Ammussàre [v.intr. v.intr.pron.] Mettere il broncio, immusonirsi.

Ammussàtu [agg.] Imbronciato, intristito e deluso da una offesa.

Ammutàre [v.tr.] 1 Fare smettere di parlare qualcuno, zittirlo, es.: su bastate due parole ppe l’ammutare ‘sono bastate due parole per zittirlo’. [v.intr.] Tacere, fare silenzio, ammutolire, es.: è trasutu u zianu e se su ammutati tutti ‘è entrato loro zio e si sono ammutoliti tutti’. [v.intr.pron.] 3 Zittirsi, non proferire parola, es.: m’aju ammutatu ‘mi sono zittito’.

Ammuttare [v.tr.] Guarda mmuttare.

Ammùzzu [s.m.] Guarda allammuzzu.

Ampèna [avv.] Appena, non appena, quando, variante mpena, es.: ampèna arriva chjàmame ‘quando arriva chiamami’; guarda anche accammalapèna e ammalapèna.

Ámpitu [s.m.] 1 Vampata di calore. 2 Forte puzzo, cattivo odore, esalazione.

Àmuru [s.m.] Amo, uncino per pescare.

Amurùsa [agg.] Amorosa, generosa, persona che fa le cose con garbo e trasporto.

Anchistùertu [s.m.] Persona che ha le gambe storte, varismo.

Ancìdda [s.f.] Anguilla, nome scientifico Anguilla anguilla L., guarda anche capitùne.

Ànciulu [s.m.] Angelo, nome e figura celeste.

Ancùnu [agg.indef. pron.indef.] Alcuno, qualcuno.

Àngulu [s.m.] Angolo, canto.

Aniàre [v.tr.] L’accoppiamento tra gli ovini.

Anìeddu [s.m.] Anello, cerchietto, plurale anedda.

Animalìcchju [s.m.] Alla lettera ‘animaletto’, animale di piccole dimensioni, minuscolo, uguale o più piccolo di una formichina, in genere designa un insetto o un esserino appartenente al phylum Arthropoda.

Animèdda [s.f.] Bottone, alla lettera ‘animella’ ‘piccola anima’; i bambini, fino agli anni ’70, giocavano ad “animedda”, consisteva nel colpire con un sasso il bordo di un bottone, chi lo faceva girare lo vinceva.

Anìmulu [s.m.] Arcolaio, strumento girevole su un perno che serve per dipanare matasse, in senso traslato indica anche un ragazzo irrequieto, nervoso, esempi: t’a finisci ca me fai girare a capu cuemu n’animulu ‘smettila che mi fai girare la testa come un arcolaio’, me pari n’animulu ‘mi sembri un arcolaio’ (per quanto sei irrequieto).

Anissìni [s.m.pl.] Codette di zucchero colorato usate per decorare dolci.

Ànissu [s.m.] Anice, Pimpinella anisum L., variante anassu; i semi di questa pianta, originaria dell’Egitto, vengono impiegati come aroma in alcuni dolci tipici come i taraddi o le cuzzupe amare.

Anna [v.intr.] Imperativo presente del verbo andare (annare o jire), esempi: anna ca mo viegnu ‘vai che adesso arrivo’, anna! ‘va!’ (forza!).

Annacàre [v.tr.] 1 Cullare, dondolare. [v.dif.] 2 Sculettare, ancheggiare. 

Annacizzàre [v.tr. v.intr.pron.] Avariare, subire un’alterazione, deteriorarsi, esempi: ccu su cavudu a carne s’è annacizzata ‘con questo caldo la carne si è avariata’, st’annu u vinu ni s’è annacizzatu ‘quest’anno il vino ci si è inacidito’; cfr spuntu. 

Annàre [v.intr.] Andare, usato soprattutto nella frase anna avanti ‘va’ avanti’, esempi: (loc.) chine anna avanti te mpara a via ‘chi va avanti ti insegna la strada’, anna ca t’arrivu ‘vai che ti raggiungo’ (intercalare usato in senso ironico-sarcastico per comunicare all’interlocutore che non si ha alcuna voglia di fare quella strada o una determinata cosa, per cui lo si invita a iniziare prima lui che poi noi lo raggiungiamo: come no, a voglia!); per “andare” è più usato jire.

Annascàre [v.tr.] 1 Annusare (o annasare), fiutare, molto simile al significato di addurare. 2 Sniffare, pippare coca.

Annàspru [s.m.] Glassa per dolci, formata da albume, zucchero e qualche goccia di limone.

Annatùru [s.m.] Culla rudimentale dondolante.

Annavòta [l.avv.] Composizione delle parole a nna vota ‘a una volta’, ‘in una volta’, di colpo, es.: se manciau chiddi funci e annavota se vommicau ‘si mangiò quei funghi e improvvisamente vomitò’.

Annegghjàre [v.intr.impers.] Annebbiare, il formarsi della nebbia.

Annervàre [v.tr. v.intr.pron.] Innervosire, spazientire, nella sua forma transitiva e innervosirsi, adirarsi, irritarsi nella sua forma intransitiva, da cui annervàtu ‘innervosito, incazzato’.

Annettàre [v.tr.] Pulire, nettare, il termine è prevalentemente riferito alla pulizia degli alberi (potare), alla pulizia del terreno dalle erbacce (svellere), alla scelta di frutta o verdura (selezionare) in tal caso è sinonimo di addijire.

Annettatùre [s.m.] Lavoratore specializzato nello sfoltire le piante d’ulivo; la potatura vera e propria è invece affidata ad una persona più esperta; cfr putature.

Annimicàre [v.tr. v.intr.pron. v.rifl.rec.] Inimicare, rendere ostile, diventare nemico di qualcuno, divenire nemici; variante nnimicare.

Anninnàre [v.tr.] Cullare, ninnare, guarda anche annacare.

Anninocchjàre [v.intr.pron.] Inginocchiarsi, genuflettersi.

Annippàre [v.intr.] Andare di filato, darsela a gambe.

Ánnitu [s.m.] Impalcatura, ambiente di passaggio o disimpegno nelle costruzioni edili.

Annivulàre [v.intr.pron.] Annuvolare, coprirsi di nuvole, da cui annivulàtu nuvoloso, variante annuvulare.

Annoggiàre [v.tr.] Dare fastidio, annoiare, danneggiare, esempi: (loc.) nno tuttu u bene aggiuva e nno tuttu u male annoggia ‘non tutto il bene giova e non tutto il male danneggia’, (loc.) parrare è n’arte e legge, amaru a chine l’annoggia ‘parlare è un’arte di legge, amaro a chi l’annoia’ (parlare bene è un’arte, non saperlo fare danneggia).

Annottàre [v.intr.impers.] Passare la notte da qualche parte, dormirci, attardarsi fino a notte fonda, specie se si deve finire un lavoro. 

Annu [s.m.] 1 Anno, es.: s’annu è passatu momò ‘quest’anno è passatto subito’. [l.avv.] 2 L’anno scorso, l’anno passato, es.: annu m’anu datu a penzione ‘lo scorso anno mi hanno dato pensione’.

Annumàre [v.tr.] Dare un nome a qualcuno o qualcosa, ma la maggior parte delle volte è riferito al processo di attribuzione del nome di uno dei nonni al nuovo nato, anche se ormai da qualche decennio, questa tendenza sta cedendo il passo verso nomi cosiddetti più moderni.

Anticùezzu [s.m.] Caduta, scivolone all’indietro; guarda anche cirimpampulu e cazzecatummula.

Antu [s.m.] Parte del campo dove si sta lavorando (anche in squadra) o dove il lavoro è stato sospeso; il termine è applicato riguardo alla raccolta delle olive, dei pomodori, delle castagne, ma anche la linea dove si è interrotta la zappatura. 

Antùra [avv.] Poco fa, or ora.

Anturedda [avv.] Un istante fa, proprio poco fa.

Anu [v.tr.] Indicativo presente terza persona plurale verbo avere, rappresentato nel vocabolario come in italiano anche con l’acca iniziale, es.: l’hanu piatu intra ‘lo hanno preso dentro (casa)’.

Ànzica [cong.s.] Anziché, piuttosto che.

Aparabugàtte [s.m.inv.] Apriscatole, arnese per aprire barattoli in latta.

Aparìre [v.tr.] Aprire, dischiudere, spalancare, variante aperìre, es.: aje aparire u garace ‘devo aprire il garage’.

Apàru [s.m.] Alveare, arnia.

Apìertu [agg.] Aperto, spalancato, p.p. di aparire.

Ápile [avv.] Si usa in forma raddoppiata àpile àpile col significato di ‘con attenzione, con calma, con cura, con destrezza’, esempi: me raccumannu pia a machina ranne apile apile ‘prendi la macchina grande, fai attenzione’, apile apile figghjarì ‘con abilità figliolo’.

Ápissu [s.m.] Lapis, variante làpissu.

Apìte [s.m.] Abete, variante apìtu, Abies alba Mill., l’abete bianco.

Appaddottàre [v.tr.]  Ridurre in pallotte, appallottolare, guarda anche spaddottare.

Appagghjàre [v.intr.pron.] Addormentarsi, appisolarsi, es.: jamu e n’appagghjamu ‘andiamo a dormire’.

Appagnàre [v.tr.] Spaventare, il termine è riferito al cavallo che si imbizzarrisce per un’improvviso stimolo esterno e, quindi, si mette a scalciare e nitrire.

Appagnatùru [s.m.] Spaventapasseri.

Appanzallària [agg.] Letteralmente ‘a pancia in aria’, ossia in posizione supina, pancia in su; cfr bocchisubra.

Appanzasùtta [agg.] Alla lettera ‘a pancia sotto’, ossia a pancia in giù; cfr bocchisutta.

Appappàre [v.tr.] Appoggiare, mettere da parte mettere in un angolo, nascondere.

Apparàre [v.tr.] Livellare, rendere uguali due superfici, appianare e figurativamente dirimere, risolvere una questione.

Apparècchju [s.m.] 1 Aeroplano. 2 Apparecchio, protesi dentaria fissa.

Appattàre [v.tr. v.intr.] Patteggiare, mettersi d’accordo, fare un patto, es.: ni l’appattamu? ‘ci mettiamo d’accordo?’.

Appennìre [v.tr.] Appendere, variante mpennire.

Apperticàre [v.intr.pron.] Arrampicarsi, inerpicarsi su un albero o su un palo, ma anche agganciarsi (salire sopra) ad un treruote o ad un camioncino di passaggio senza che l’autista ne sia consapevole, es.: t’arricuerdi quannu eramu picculi ca n’apperticavamu are mote chi passavanu? ‘ti ricordi quando eravamo piccoli che ci caricavamo sulle treruote che passavano?’ (curioso e pericoloso modo di passare il tempo negli anni ’70 e ‘80, consistente nel caricarsi sul cassone o sulle sponde di un autocarro di passaggio; di solito l’autista del mezzo non si accorgeva del passeggero abusivo, quest’ultimo dopo essersi fatto un giro, appena il mezzo rallentava, scendeva e ritornava alla base, per i ragazzini del rione Petrarizzo la base era il bivio del Ponte; alcuni temerari si sedevano persino nel largo paraurti dei vecchi maggiolini, altri ancora si agganciavano con le mani in sella ad una bici; molte le cadute rovinose.

Appezzentiscìre [v.tr.] Impoverire, immiserire; termine molto poco usato, quasi per niente usata la forma all’infinito, variante appezzantiscire, es.: (loc.) si vue appezzentiscire, manna uemini e nu ce jire ‘se vuoi impoverirti manda uomini e non andarci’ (se vuoi che un lavoro sia ben fatto e senza perdite di tempo sarebbe meglio essere presenti e partecipi); guarda anche pezziennu e l’esempio di maccarrure.

Appicciàre [v.tr.] Accendere, appiccare, bruciare, esempi: appiccia aru gassu ‘accendi al gas’, appicciare u fuecu ‘accendere il fuoco’, t’ha appicciatu tutte e frasche ‘ti ha bruciato tutte le frasche’, appicciare a machina ‘avviare il motore’ ma anche ‘dar fuoco all’auto’.

Appiddàre [v.intr.pron.] Impantanarsi, rimanere bloccati a causa del fango; il termine è anche impiegato in senso figurato per indicare ritardo, esempi: ci’appiddamu si passamu mo ‘ci impaludiamo se passiamo adesso’, cce si appiddatu ‘ci sei impantanato’ (hai fatto tardi). [v.tr.] 2 Trombare, chiavare, dal punto di vista maschile, es.: prima o poi lil’aj’e appiddare ‘prima o poi glielo devo affondare’ (la scopo); guarda anche appiddatu.

Appiddàtu [agg.] Participio passato del verbo appiddare, in senso specifico, nella pratica amorosa, rappresenta la non applicazione del coitus interruptus e quindi ingravidare una donna suo e proprio malgrado; in senso generale indica il fornicare dal punto di vista maschile, esempi: ce si appiddatu ‘ci sei rimasto’ (dentro la vagina e adesso è un casino)’, lil’aju appiddatu ‘l’ho scopata’; guarda anche ficcare.

Appitteddàre [v.tr.] Pressare, appiattire, anche spiaccicare, rendere a forma di pittedda o di pitta, es.: se su appitteddati a nnu muru ‘si sono spiaccicati a un muro’.

Appizzàre [v.tr.] Rimetterci, sprecare qualcosa; il termine è molto usato per indicare qualcosa di commestibile che si è lasciato andare a male, esempi: u ffare appizzare i funci ‘non fare andare a male i funghi’, u cci nne mintire fatiga ca ci l’appizzi ‘non metterci lavoro che ce lo perdi’, su sordi appizzati ‘sono soldi sprecati’; guarda anche ammarvizzàre.

Appizzutàpissu [s.m.] Temperamatite, ovvero strumento per rendere pizzuta ‘appuntita’ la punta di un lapis. 

Appizzutàre [v.tr.] Rendere appuntito qualcosa, aguzzare.

Appracàre [v.tr.] Placare, tranquillizzare, mettere pace.

Apprettàre [v.tr.] Molestare rompere le scatole, provocare, infastidire, fare mobbing, esempi: chine t’à apprettatu? ‘chi ti ha infastidito?’, (loc.) appretta i cani chi dormanu ‘aizza i cani che dormono’ (il senso della frase è figurato, viene rivolta a persone che scassano inutilmente e stupidamente la minchia al prossimo).

Appricàre [v.tr. v.intr.pron.] 1 Mettere in ansia, pensiero, preoccupare, preoccuparsi, anche con sfumatura di risentimento, esempi: u tt’appricare ppe stasira ‘non preoccuparti per stasera’, u tti ci’appricare ‘non dargli peso’ (non risentirtene, non impensierirti). 2 Dedicarsi, applicarsi, es.: ti cce si appricatu aru quatru? ‘ti ci sei dedicato al quadro?’.

Apprìessu [avv. prep.] 1 Accanto, vicino, appresso, dopo (di rado), esempi: restale appriessu ‘stagli vicino’, me vena sempre d’appriessu ‘mi viene sempre dietro’, apppriess’e mie tocca a ttie u trasi ‘dopo di me tocca a te entrare’. [agg.] 2 Vicino, successivo, es.: u paise appriessu ‘il paese vicino (successivo)’.

Apprufunnìre [v.tr.] Approfondire, analizzare a fondo.

Appujàre [v.rifl.] Sdraiarsi (poggiarsi, adagiarsi) per un breve sonnellino.

Appuntàre [v.tr. v.rifl.] 1 Aspettare, fermarsi, andare in un luogo preciso, esempi: appunta ‘aspetta’ (fermati), u cce appuntare senza vinu ‘non andarci senza vino’. [v.tr.] 2 Attaccare con punti di cucito. [v.intr.] 3 Balbettare, es.: u guagliune appunta ‘il ragazzo balbetta’.

Appunticàre [v.intr.] Fare uno spuntino, mangiare un panino; in altre parti della Calabria, con lo stesso significato, viene preferito appuntiddare.

Appuntiddàre [v.tr.] Puntellare, mettere in sicurezza con puntelli; di rado usata anche la variante puntiddare.

Appurcignàre [v.tr.] 1 Tenere ben fermo un oggetto contro un altro, spingere. 2 Avere rapporti carnali con foga e decisione.

Appustàre [v.tr. v.rifl.] Appostare, mettersi in agguato, aspettare al varco.

Aprìle [s.m.] Aprile, quarto mese dell’anno.

Apùestulu [s.m.] Apostolo, ciascuno dei dodici discepoli scelti da Gesù.

Aquila [s.f.] Località di campagna, prevalentemente coltivata ad orti, confinante con la località denominata Casalini.

Ara [prep.art.] Preposizione articolata ‘alla’, da cui are ‘alle’, ari ‘agli o ai’ e aru ‘al’; varianti a ra, a re, a ri e a ru, esempi: ne vidimu ara missa ‘ci vediamo alla messa’, u llu dire a re fimmine ‘non dirglielo alle donne’, dicialilu a ri masculi ‘diglielo ai maschi’, ne vidimu a ru Ponte ‘ci vediamo al Ponte’; cfr ra, re, ri e ru.

Arabbonùra [l.avv.] Letteralmente ‘alla buon’ora’ ara bon’ura, codesta composta parola viene usata sia come imprecazione davanti ad una brutta notizia, sia per augurare buon viaggio (o per intercalare quando si comunica, ad es. tramite telefono, di essere arrivati a destinazione), esempi: arabbonura, e cchi foza! ‘alla buon’ora, e che fu!’, arabbonura figghjarì ‘buon viaggio figlio mio’ (se invece si sta comunicando di essere arrivati assume il significato di ‘finalmente’).

Arainìettu [s.m.] Località di campagna di Mesoraca, situata a sud-est rispetto al comune, vicino al confine col comune di Rocca Bernarda.

Aràtu [s.m.] Aratro, ossia lo strumento agricolo adoperato per arare la terra; fino a non molto tempo fa era trainato da animali come i buoi o i muli.

Arbànu [s.m.] Località di campagna di Mesoraca situata in posizione sud-est rispetto al comune.

Arciprìevite [s.m.] Arciprete, anticamente il termine designava il prete più anziano nelle chiese cattedrali, oggi è adoperato in senso generico per indicare il sacerdote che ha la ordinaria cura delle anime.

Arciviscuvu [s.m.] Arcivescovo, ossia vescovo di una diocesi metropolitana.

Arculu [s.m.] Alcol o alcool, ma anche bevanda alcolica, es.: ci nn’ha arculu? ‘ce n’ha alcol?’ (ce n’è da bere?).

Arculiżżàtu [agg. s.m.] Alcolizzato, più corretto alcolista o etilista.

Ardìcula [s.f.] Ortica, Urtica dioica L.

Ardiculàre [v.tr. v.intr.pron.] 1 Verbo non presente nell’italiano, ossia provocare o provocarsi irritazione tramite le ortiche. [v.intr.pron.] 2 Irritarsi, adirarsi, ma anche reazione spropositata ad uno stimolo circoscritto, es.: uenimmedda cumu s’è ardiculatu! ‘caspiterina come si è arrabbiato!’.

Are [prep.art.] Guarda ara e re.

Arènga [s.f.] Aringa Clupea harengus L., il secolo scorso, dopo essere stata lavata e dissalata, era mangiata con un po’ d’olio e il pane, alcuni l’accompagnavano con cipolla rossa.

Argìentu [s.m.] Argento, es.: n’oricchjinu e argientu ‘un orecchino d’argento’.

Ari [prep.art.] Guarda ara e ri.

Aria [s.f.] 1 Superficie, area, spazio aperto, campo. 2 Aria, la miscela di gas che respiriamo. 3 Sentimento simile al sussiego e al darsi delle arie, (loc.) aria e superba puecu duranu ‘aria e superbia poco durano’ (darsi delle arie o rapportarsi in maniera tracotante e spocchiosa non portano lontano; ci si accorge di più dell’inutilità di questi sentimenti quando si è malati, più o meno gravemente).

Ariédda [s.f.] Letteralmente ‘piccola aria’, ovvero particolari luoghi di campagna dove spira una leggera brezza, come in località Campizzi, adatta per aiutare a separare gli scarti del grano dai chicchi, una volta battuto e poi sollevato in aria; il termine è anche un toponimo, dà il nome ad una località di campagna.

Ariu [s.m.] In aria, a mezz’aria, aria, cielo e, come in italiano, può indicare disordine, esempi: tutt’all’ariu ‘tutto in disordine’, a menz’ariu ‘a mezz’aria’ (né in alto né in basso), l’ariu l’ariu ‘l’aria l’aria’ (senza toccare terra), (loc.) ariu chjaru ud ha pagura di trueni ‘cielo chiaro non ha paura dei tuoni’ (si può stare tranquilli col cuore se non si è fatto nulla di male); guarda anche allariu.

Armàre [v.tr.] 1 Predisporre l’arma in senso figurato, architettare, inventare qualcosa ai propri fini, es.: l’aju armatu na scusa ‘gli ho architettato (propinato) una scusa’; guarda anche nzirriare. 2 Identico significato del corrispettivo italiano, approntare l’armatura a sostegno di un pilastro, un solaio e così via. 3 Tirare su una canna, approntare uno spinello, espressività giovanile.

Arménu [avv.] Almeno, come minimo, se non altro.

Armulìcchju [s.m.] Parte delle interiora di un animale, come agnello, capretto o maiale; in genere col termine al plurale s’identifica il pancreas, il timo e le parti grasse addominali, adoperate in prelibatissimi spezzatini. In italiano sono meglio conosciuti come animelle, ma a Mesoraca l’animella è meglio conosciuta come ‘bottone’.

Arpa [s.f.] Castagneto ai piedi del monte Giove.

Arrafanàtu [agg.] Participio passato del verbo (molto poco usato) arrafanàre, il termine viene riferito a persone, animali o piante e descrive ‘poca salute’, ‘poco sviluppato’, ‘malaticcio’, talvolta anche ‘invecchiato’, il Rohlfs riporta “arrafagnatu” e lo traduce con ‘dimagrito’, es.: juih cum’è arrafanatu ‘oh mamma com’è conciato’.

Arraggiàre [v.intr. v.intr.pron.] Fare arrabbiare, stizzirsi, incollerirsi, da cui arraggiàtu ‘arrabbiato’, ‘incavolato’, esempi: u ffare arraggiare a fratitta ‘non fare arrabbiare a tuo fratello’, si me fai arraggiare te muzzicu ‘se mi fai arrabbiare ti mordo’, u ru parrare mo ch’è arraggiatu ‘non parlargli adesso che è incazzato’.

Arraggiatìna [s.f.] Arrabbiatura, incazzatura.

Arraggiunàre [v.intr.] Ragionare, riflettere, razionalizzare, specie dopo una sfuriata, es.: u ssi cce po arraggiunare ‘non ci si può discutere’.

Arrampàre [v.tr.] Scopare, spazzare in maniera veloce e non molto accurata, es.: dacce n’arrampata ‘dacci una ramazzata veloce’.

Arrancàre [v.intr.] 1 Recapitare, portare qualcosa a qualcuno, es.: arrancale u manciare ppe menziuernu ‘portargli il mangiare (il pranzo) per mezzogiorno’. [v.tr.] 2 Guadare, attraversare un fiume, es.: a jumara se po arrancare du Maricieddu ‘la fiumara si può guadare dal Maricieddu; vedi anche vuddu.

Arranciàre [v.tr.] 1 Rimediare, sistemare, compicciare, da cui arranciuliàre ‘racimolare’, es.: ppe oje l’amu arranciate e ligne ‘per oggi l’abbiamo arrangiata la legna’ (l’abbiamo rimediata). [v.intr.pron.] 2 Arrangiarsi, barcamenarsi, darsi da fare come si può, anche destreggiandosi con mezzi più o meno leciti, talvolta anche vivere di stenti, es.: n’amu arranciatu ccu n’oliva e nu pocu e pane ‘ci siamo arrangiati con un’oliva e un po’ di pane’.

Arranciatìzzu [agg.] Riferito a qualcosa rimediata con difficoltà o fretta.

Arrapognàtu [agg.] Parola riferita ad alberi che rimangono bassi, talvolta è anche usato per indicare una persona di bassa statura; cfr arrafanatu.

Arrappàre [v.tr.] 1 Sgualcire, aggrinzire, spiegazzare, es.: ud arrappare a cammisa ‘non sgualcire la camicia’. [v.intr.pron.] 2 Fare le rughe, aggrinzirsi, es.: si arrappatu cuemu nu viecchju ‘sei rugoso come un vecchio’.

Arrappuecciulàre [v.tr.] 1 Spiegazzare, sgualcire, stropicciare, molto vicino alla prima accezione di arrappare. [v.tr.] 2 Menarla, infastidire qualcuno con richieste insistenti e ripetitive.

Arrasàre [v.tr. v.rifl.] Spostare, allontanare qualcosa, metterla da parte, ma anche scostarsi, scansarsi, esempi: arrasa sti struesci ‘sposta queste cianfrusaglie’, arrasate de cca ‘levati (spostati) da qua’.

Arrassusìa [l.avv.] Esclamazione usata quando si vuole scongiurare qualcosa, equivalente all’italiano ‘alla larga’ oppure ‘Dio ce ne scansi’, molto simile nel significato a nzammai.

Arràstu [s.m.] 1 Odore, traccia olfattiva. 2 Fiuto, istinto, es.: c’ha l’arrastu ppe ri funci ‘ha l’istinto (il fiuto) per i funghi’.

Arrazzàre [v.intr.] La famiglia cui si appartiene, ovvero tutta la cerchia dei parenti.

Arrennìre [v.tr. v.rifl.] Arrendere, gettare la spugna, darsi vinto, usato quasi esclusivamente nella forma riflessiva.

Arri [inter.] Esclamazione per incitare le bestie da soma, es.: (loc.) cchjù parri cchjù arri ‘più parli più arri’.

Arribbàre [v.tr.] 1 Appoggiare, accostare. [v.rifl.] 2 Stendersi, farsi una pennichella.

Arribbeddàre [v.tr. v.intr.pron.] Creare disordine, confusione, ma anche ribellarsi, contestare.

Arricchiscìre [v.tr. v.intr. v.rifl.] Far diventare ricco, rendere più ricco, arricchirsi, es.: u tt’arricchisci mmai ccu sa fatiga ‘non diventi mai ricco con questo lavoro’. 

Arricchjàre [v.intr.] Origliare, ascoltare di nascosto, ascoltare attentamente.

Arricchjunàtu [agg.] Effeminato, che si comporta da gay.

Arricchjunàre [v.intr.pron.] Atti e comportamenti che portano verso una identità gay; negli atteggiamenti ‘effeminarsi’ è il verbo italiano che più gli si avvicina.

Arriccumannàre [v.tr. v.rifl.] Raccomandare, affidare alla protezione o all’aiuto altrui, variante riccumannare e arraccumannare. Molto più usata la forma riflessiva ‘affidarsi, ‘rimettersi’, es.: m’arriccumannu aru Segnure ‘mi raccomando (affido) al Signore’.

Arricurdàre [v.tr. v.intr.pron.] Ricordare, ovvero aver presente nella memoria, richiamare alla propria memoria.

Arridducìre [v.tr.] 1 Ridurre, condensare, anche in termini temporali, variante arriddùciare, esempi: l’arridducire na crema ‘condensalo (come) una crema’, me sugnu arridduciuta all’urtimu momentu ‘mi sono ridotta all’ultimo momento’. [v.intr.pron.] 2 Ridursi, mutare in peggio, es.: m’aju arridduciutu male ‘mi sono ridotto male’.

Arrìedi [avv.] 1 Indietro, dietro, vedi anche darriedi, es.: (loc.) chine male fa male aspetta, tardare u ppò ma arriedi u rresta ‘chi male fa male aspetta, tardare non può ma dietro non resta’ (chi la fa l’aspetti). [s.m.] 2 Parte del nome della località di castagneti denominata Arriedi e mura e situata immediatamente dietro le mura che delimitano il parchetto del convento SS Ecce Homo.

Arriganàre [v.tr.] 1 Letteralmente “origanare”, ovvero vivanda ove l’origano è la spezia principale del condimento, ad es.: olive arriganate ‘olive origanate’; vedi anche olive. 2 Rinsecchire, disidratare; termine molto poco usato. 

Arrigettàre [v.tr. v.rifl.] 1 Riposare, ricoverarsi, sistemarsi in una casa, trovare riparo; vedi anche rigiettu. 2 [v.tr.] Sistemare, riparare, chiudere, gli animali nel loro recinto, variante arricettàre.

Arrigghjistràre [v.tr.] Mettere in ordine, sistemare, in particolare la casa, es.: (loc.) arrigghjistrate a casa tua ca u ssai chine te vena ‘tieni pulito e in ordine casa tua che non sai chi possa venire’.

Arrigugghjàre [v.tr.] Stuzzicare, attizzare, anche sgridare animatamente, rimproverare; vedi anche apprettare.

Arrimiscàre [v.tr. v.rifl.] Sbrigare, fare veloce qualcosa, affrettarsi.

Arrimìscatìzzu [agg.] Detto di cosa o lavoro fatto in fretta e quindi in maniera superficiale e non approfondita.

Arringàre [v.tr.] 1 Lanciare, gettare un oggetto, es.: arringame u portafogliu ca mi l’aju scurdatu subra a colonnetta ‘gettami il portafoglio che l’ho dimenticato sul comodino’. 2 Portare gli animali al pascolo.

Arripezzàre [v.tr.] Rattoppare, rabberciare, rammendare.

Arrisicàre [v.tr. v.rifl.] Arrischiare, azzardare, avventurarsi.

Arrisistìre [v.intr.] Resistere, tenere duro, opporsi, tenere testa, esempi: ha risistutu a quattru perzune ‘ha resistito a quattro persone’, u ce risista assai ccu sa fatiga ‘non ci dura molto con questo lavoro’, ha risistutu sutt’acqua nu minutu e mienzu ‘ha resistito sott’acqua un minuto e mezzo’, e chine t’arrisista? ‘e chi ti sopporta?’ (e chi ti si opppone?), u m’arrisistia a cugghjire olive ‘non mi teneva testa nel raccogliere olive’.

Arrispigghjàre [v.rifl.] Vedi rispigghjare.

Arrispunnìre [v.intr.] Rispondere, ribattere.

Arrittàre [v.intr.pron.]  Eccitarsi sessualmente, provocarsi un’erezione, o come dice il cauto Rohlfs ‘divenir rigido in senso osceno’, da cui arrittàtu ‘eretto’, ‘eccitato’; a scanso di equivoci (se mai ce ne fossero) vedi anche mpernare e mpistunare.

Arrìttu [s.m.] Improvviso stato emotivo di quando si è punti nell’onore e/o nell’orgoglio, in genere “scatta” quando si tratta di difendere qualcuno a cui tieni; sentimento non ben definibile con una analoga parola italiana, esempi: te vena l’arrittu ‘ti viene l’impeto a’ (ti viene lo slancio a), uvì cuemu le vruscia u frate, mo l’è benutu l’arrittu ‘lo vedi come gli brucia il fatello, adesso gli è venuto l’arrittu‘.

Arrivugghjàre [v.tr.] Ravvolgere, arrotolare.

Arrivulàre [v.intr.] Lanciare (buttare) via qualcosa, gettare, scagliare con forza, esempi: arrivula tutti chiddi giornaletti ‘butta via tutti quei fumetti’, v’arrivulate! ‘buttati via!’ (vai a quel paese, vedi anche ncavunare). Il termine, tra le righe, lascia intuire un certo tipo di pensiero (poco ecologico) su tutto ciò che è rifiuto, spazzatura e rispetto dell’ambiente in generale; infatti, non di rado si può sentire dire di un oggetto, anche grosso come un’auto, v’arrivulalu ‘vai a gettarlo via’, ‘vai a liberartene’, ‘vai ad abbandonarlo da qualche parte’; da ricordare che ancora adesso nel 2017, si usa il termine arrivulalu come sinonimo di ‘abbandonalo’, ‘buttalo in un cassonetto’, riferito ad un animale, magari un cucciolo e magari di cane o di gatto.

Arrivurtàre [v.tr.] Avvisare, allertare facendolo molto notare, agitare.

Arrizzàre [v.tr.] 1 Arricciare, increspare, esempi: e vistu cuemu s’arrizza i baffi ‘hai visto come s’arriccia i baffi’, finiscia e arrizzare u muru ca pue scapilamu ‘finisci di rinzaffare la parete che finiamo di lavorare’. [v.intr.pron.] 2 Drizzarsi, avere la pelle d’oca, es.: mi se su arrizzati i carni ‘mi si è accapponata la pelle’.

Arrollàre [v.tr.] Corteggiare, fare il filo.

Arrubbàre [v.tr.] Rubare, carpire, sottrarre variante (filippese) arrobbare, es.: (loc.) u culu t’arrobba a cammisa ‘il culo ti ruba la camicia’ (espressione adoperata nei confronti di una persona che ha molta paura che la derubino).

Arruecciulàre [v.tr.] 1 Appallottolare, accartocciare, attorcigliare, produrre qualcosa a forma di ruecciulu. 2 Girare, arrotolare uno spinello, es.: arruocciula nu spinu ‘gira una canna’

Arruezzulàre [v.tr. v.intr.] Cadere o far cadere bruscamente, rotolare; vedi anche arrummulàre e azzummulare.

Arrummulàre [v.tr. v.rifl.] Cadere, rotolare, far precipitare rotolando, aggomitolarsi, es.: s’è arrummulatu de scale du magazzienu ‘è rotolato dalle scale della cantina’.

Arrunchjàre [v.rifl.] Raggrinzirsi, contrarsi, rannicchiarsi.

Arrunzàre [v.tr.] Abborracciare, fare in fretta e male qualcosa, ma anche ammucchiare qualcosa insieme ad altre; vedi anche arrunzunàre.

Arrunzunàre [v.tr. v.rifl.] Lasciare andare, abbandonarsi, termine molto simile ad arrunzare, in larga parte i due significati si sovrappongono, da cui arrunzunàtu ‘abbandonato’, ‘trascurato’, ‘reietto’.

Arrussàre [v.tr.] Abbrustolire, dorare, es.: arrussamila na fedda e pane ‘abbrustoliscimi una fetta di pane’.

Arrùstu [s.m.] Arrosto, carne arrostita, es.: (loc.) io vuegghju l’arrustu ca u fumu te caccia l’uecchji ‘io voglio l’arrosto che il fumo ti cava gli occhi’ (è preferibile ricevere sempre bei doni invece che delle cose di poco valore, ovviamente).

Arrużżàre [v.intr.] Arrugginire, ossidare. 

Arrużżàtu [agg.] 1 Arrugginito, ossidato. [s.m.] 2 Persona gretta, depr/i/avato sessuale.

Aru [prep.art.] Vedi ara, es.: (loc.) a ru vicinu miu chi lu via rriccu ca si u mme duna mancu me sicca ‘al mio vicino che possa vederlo ricco che se non mi da nemmeno mi secca’ (se il vicino non scoccia vuol dire che è appagato). 

Arùculu [agg.] Mascalzone, lazzarone; cfr regghja; in altre parti della Calabria e della Sicilia il termine indica la rucola.

Arvanìeddu [s.m.] Località di campagna di Mesoraca nel confine del territorio comunale in posizione sud-est.

Arve [s.f.] Alba, prime luci del giorno.

Arvulu [s.m.] Albero, pianta, variante arvule, es.: (loc.) l’arvule pecca e ru ramu riciva! ‘l’albero pecca e il ramo ne riceve’ (il padre fa cazzate e il figlio ne riceve i torti).

Asciamulàre [v.dif.] Desiderare, bramare.

Asciamulàtu [agg.] Persona molto desiderosa, nello specifico molto affamata.

Asciumàre [v.tr.] Far asciugare dall’umidità legna o, di rado, anche salami o altro.

Asciunìeddu [s.m.] Piccola ascia ricurva dal manico corto, usata dai bastai per rifinire le parti interne (curve) dei basti.

Aspidu [s.m.] Aspide, ovvero la biscia d’acqua Natrix natrix L.

Aspràina [s.f.] Verdura selvatica commestibile, somigliante alla cicoria selvatica, avente le foglie bitorzolute.

Aspraina

Assaccàtu [agg.] Affannato, stancato, essere preso dalla fretta, p.p. del poco usato assaccare.

Assammaràre [v.tr.] Mettere in ammollo i panni, prima di lavarli e sciacquarli; il termine era molto usato anche per indicare il lavaggio del lino in acqua corrente.

Assàmmaru [s.m.] Guarda azzammaru.

Assaramentàre [v.tr.] Dividere i semi dal resto della pianta del lino.

Assavògghja [l.avv.] Fa niente, ‘non c’è problema’, cfr avogghja.

Assettàre [v.intr.pron.] 1 Sedersi, accomodarsi, es.: assettate ddùecu ‘siediti qui’. [v.tr.] 2 Far combaciare perfettamente, ma anche trovare una rima tra due parole, es.: guarda cuemu ci’assetta ‘guarda come calza’ (o come fa rima). 

Assicutàre [v.tr.] Rincorrere, inseguire, esempi: m’ha assicutatu nu cane ‘mi ha inseguito un cane’, (loc.) cerca e truevi, assicuta e piji ‘cerca e trovi, insegui e prendi’ (chi cerca trova e chi rincorre prende, in altre parole bisogna muovere il sedere per raggiungere un obiettivo).

Assìettu [s.m.] Traduce i sostantivi italiani ‘assetto’ ‘seduta’, ovvero l’atto di preparare (sistemare, ordinare, comporre) qualcosa affinché sia nella sua configuarazione ottimale, ne sono esempio un vestito che calza bene, un pezzo meccanico che s’incastra a pennello, una data perfetta per un certo evento, la persona giusta al momento giusto e così via, es: ueh cuemu c’è d’assiettu! ‘ueh (guarda) come ci sta bene!’; vedi anche calò e assettare. [v.intr.pron.] 2 Presente indicativo prima persona singolare dell’italiano antico assettarsi (sedersi), es.: m’assiettu subra nu schuegghju da jumara ‘mi siedo sopra uno scoglio del fiume’.

Assimigghjàre [v.intr. v.rifl.rec.] Assomigliare, essere somigliante, es.: u m’assimigghja dde nente ‘non mi somiglia per niente’.

Assòrvare [v.tr.] Assolvere, sciogliere da una accusa.

Assu [v.tr.] 1 Imperativo presente seconda persona singolare del verbo lasciare, es.: (loc.) assu u tira e chjuevura ‘lascia che tiri i chiodi’ (lascialo temporeggiare; guarda anche la quarta accezione di u). [s.m.] 2 Asso, nel gioco delle carte, la carta rappresentante l’uno, esempi: mintace l’assu ‘mettici l’asso’, Assu e coppa ‘Asso di coppe’ (vuddu del fiume Vergari, situato poco più giù del vuddu denominato Maricieddu).

Assuggettàre [v.tr. v.rifl.] Chiedere un piacere, un favore, un prestito, ad una persona di fiducia; in senso riflessivo ‘sottomettersi’, ovvero chiedere un favore a qualcuno con la consapevolezza che codesto piacere sarà poi pagato con sacrifici, esempi: cummà, ccu ttie mi cci’assuggiettu ‘comare, con te mi ci obbligo’ (non ho problemi di sorta a chiederti un piacere), u mmi cci’assuggiettu ccu chiddu ca è nu fricune ‘non mi comprometto con quello che è un ladrone’.

Assulicchjàre [v.tr. v.intr.pron.] Esporre al sole, mettere al sole con lo scopo di essiccare (ad esempio pomodori), ma anche abbronzarsi, prendere il sole.

Astàte [s.f.] Estate, es.: (loc.) duve e fattu u viernu va fa l’astate ‘dove hai fatto l’inverno (svernato) vai a fare l’estate’ (visto che non mi hai cercato per molto tempo, vai dove sei stato fino ad ora).

Àstrachi [s.m.pl.] Aste di legno usate per sostenere il pavimento.

Àstracu [s.m.] Lastrico, pavimento.

Astratìla [s.f.] Bilancia, stadera. Con il termine è indicato anche il grosso doppio gancio a forma di appendiabito che viene applicato ai tendini dei piedi posteriori del maiale per potere essere issato, pesato e lavorato, es.: crueccu e astratila ‘gancio di stadera’.

Astutàre [v.tr.] Spegnere, chiudere, interrompere, es.: astuta a cannila (u gassu, a luce, a machina) ‘spegni la candela’ (il gas, la luce, l’auto); cfr appicciare.

Atàru [s.m.] Altare, in senso stretto la tavola dove si celebra la messa cristiana, esempi: (loc.) ancora u cci l’ha bbutatu u culu all’ataru ‘ancora non l’ha girato il culo all’altare’ (ancora non si è sposato), (loc.) u cc’è ataru senza cruci e matrimoniu senza vuci ‘non c’è altare senza croci e matrimonio senza voci’.

Atéss [inter.] Voce onomatopeica usata per aizzare i cani.

Atru [agg.indef. pron.indef.] Altro, esempi: (loc.) campa unu ppe quantu vo n’atru ‘uno vive finché un altro vuole’ (anche in termini commerciali, aprire bottega vicino ad un’altra simile significa farsi concorrenza), (loc.) morte e unu, sarvazione e n’atru ‘morte di uno, salvazione di un altro’, (loc.) chine duna pane a ru cane e atru, perda ru pane e ru cane ‘chi da pane al cane di un altro perde il cane e il pane’ (è inutile dare cose a qualcuno che sai che poi non ricambierà).

Àtruca [avv.] Letteralmente ‘altro che’.

Attagnàre [v.tr.] Coagulare, rapprendere, il termine è di solito applicato per descrivere la perdita di sangue da una ferita, ma è anche usato per descrivere il seccarsi dell’acqua da una sorgente o da un rubinetto, allora diventa quasi sinonimo di scuttare.

Attàle [prep.s.] In modo (che), tale (che), variante attàlu.

Attantapèna [l.avv.] Guarda accammalapéna.

Attardiddàre [v.tr.] Chiavare, scopare.

Attàsi [prep.s.] Nel frattempo, quantunque, benché, es.: cumincia ad annare ca attasi viegnu ‘comincia ad andare che tra un po’ arrivo’.

Attessàre [v.tr.] Incitare, aizzare, istigare, un cane verso qualcuno.

Attestàre [v.tr.] Alla lettera ‘rendere a forma di testa’, ovvero potare in maniera vigorosa un albero, fino a quasi eliminare tutti i rami, il termine è pressoché usato al participio passato attestatu.

Attìe [prep.pron.] Letteralmente ‘a te’, la giusta grafia dovrebbe essere a ttie, esempi: u dicu attie ‘lo dico a te’, attie lupu! ‘a te lupo!’ (espressione tipica calabrese che indica la scaltrezza del lupo, ma è usata esclusivamente in tono ironico, si esclama per sottolineare un’azione o un comportamento all’apparenza furbo o intelligente, variante ih lupu! ‘ih lupo!’); vedi anche ttie.

Attignàre [v.tr.] Provocare, istigare, stuzzicare, es.: ud attignare ca te mprascu ‘non rompere i coglioni che te le do’; cfr attessare.

Attimpàre [v.tr. v.intr.pron.] Buttare giù qualcosa da una rupe; cadere, ruzzolare, da una timpa, ossia da un dirupo.

Attirrentàre [v.tr.] 1 Tesare, tendere, tirare. 2 Poco usato all’infinito, chiavare, fornicare, es.: li l’aju attirrentatu ‘gliel’ho tesato’ (l’ho scopata). 

Attìvu [agg.] Intelligente, vispo, abile. 

Attramènte [avv.] Nel frattempo, frattanto, mentre, varianti ntramente e traménte, molto vicino al significato di mporma e cumporma, es.: (lap.) chi te via affrittu ppe tramente campi ‘che ti possa vedere afflitto frattanto che vivi’ (per il resto dei tuoi anni).

Attrettàntu [pron.indef.] Altrettanto, la stessa cosa, es.: grazie attrettantu ‘grazie altrettanto’.

Attroppicàre [v.intr.] Inciampare, incespicare; di rado viene usata anche la variante ntroppicare.

Attroppicatùru [s.m.] Punto di un sentiero o di un percorso dove è facile inciampare.

Attruppàta [agg.] Pianta che ha ben messo radici, che cresce a forma di troppa; participio passato del verbo molto poco usato attruppare.

Attummulàre [v.intr.] Cadere rovinosamente da un pendio, capitombolare.

Attunnàre [v.tr.] Arrotondare, rendere rotondo qualcosa, smussare.

Atturràre [v.tr.] 1 Abbrustolire, tostare; vedi anche atturraturu. 2 Convincere qualcuno con astuzia e inganno, raggirare, esempi: u mmi l’atturrare ‘non tostarmelo’ (non rompermi, potrei perdere la pazienza se insisti), atturralilu ‘convincilo’ (raggiralo con persuasione).

Atturratùru [s.m.] Attrezzo in latta usato per tostare il caffè, scaldato direttamente sulle braci; il caffè, una volta tostato e tritato era trasferito nella cicculatera. Quando la materia prima scarseggiava, si usava tostare orzo (ueriu); vedi anche ciciorfa.

Avantàre [v.tr. v.rifl.] Parlare di qualcuno o qualcosa in maniera lodevole, sia per palesare il proprio autocompiacimento che per suscitare l’ammirazione altrui, talvolta con sfumature di millanteria; anche in senso riflessivo ‘vantarsi’, ‘compiacersi’, esempi: avogghja u l’avanti, u bbala nente ‘hai voglia a vantarlo, non vale niente’, (loc.) u m’avanta nuddu e m’avantu io, chi bieddu giuvane chi sugnu io ‘non mi vanta nessuno e mi vanto io, che bel giovane che sono io’.

Avanticòscia [s.f.] Parte anteriore della coscia del vitello da cui si ricavano fettine di prima scelta.

Avantìeri [avv.] L’altro ieri, due giorni fa, il giorno prima di ieri.

Avèrtare [v.tr.] Avvertire, avvisare, varianti avertìre o avirtìre, es.: u l’avirtire c’arrivi ‘non lo avvisare che arrivi’. 

Avèstra [prep.im.] 1 Eccetto, fuorché, es.: avestra e tie ‘eccetto te’. [avv.] 2 Avere qualcosa da parte, separata dal resto, es.: ci l’aju avestra ‘ce l’ho da parte’.

Avestrìeddi [s.m.] Tanti piccoli assortiti piatti di cibo, ovvero tanti piccoli antipasti, ma anche tutti i resti delle diverse portate di un lauto pasto.

Avì [inter.] Letteralmente ‘la vedi’, ovvero ‘eccola’, ‘eccola qua’; vedi anche uvì.

Avidduvé [l.avv.] Alla lettera ‘la vedi dov’è’, ossia ‘eccola dov’è’, ‘eccola qua’, è anche corretto scrivere a vi’ dduv’è; guarda anche uvidduvè.

Avìmu [v.tr.] Indicativo presente prima persona plurale verbo avere, es.: ud avimu nu sordu bucatu ‘non abbiamo un soldo bucato’.

Avìre [v.tr.] 1 Il verbo avere, ma anche tenere, possedere, esempi: u nn’aju sordi ‘non ne ho soldi’, amu avutu spurtuna ‘abbiamo avuto sfortuna’, averra nu milione ‘avessi (possedessi) un milione’, avissa se forra fattu vidire ‘avrei voluto si fosse fatto vedere’, nn’avire corchja ‘devi averne di buccia’ (rozzezza), (loc.) male u ffare e paura ud avire ‘male non fare e paura non avere’. 2 Il verbo dovere, esempi: ame jire subitu ‘dobbiamo andare subito’. avane manciare ‘dovevano mangiare’, (loc.) a furtuna l’avire ccu ru primu maritu e ccu ru sicunnu chi lu via ammazzatu ‘la fortuna la devi avere col primo marito e con il secondo che potessero ammazzarlo’ (se col primo marito non ti è andata bene col secondo non ne parliamo).

Avìri [s.m.] Averi, possedimenti.

Avìti [v.tr.] Indicativo presente seconda persona plurale verbo avere, es.: vue aviti i leruegi nue avimu u tiempu ‘voi avete gli orologi noi abbiamo il tempo’.

Avògghja [avv.] Alla lettera ‘a voglia’, ovvero ‘fa niente’, ‘non importa’, vedi anche assavogghja di cui ne è variante, esempi: avogghja c’u trasi ‘fa niente che non entri’, (loc.) avogghja u ti nne manci ficu e cerase, amaru chidda panza chi pasta u ce trasa ‘hai voglia di mangiare fichi e ciliegie, amaro (per) quella pancia che pasta non ci entra’ (è inutile mangiare ghiottonerie se poi non ti mangi un bel piatto di pasta (per stare in salute).

Àvutu [agg.] Alto, elevato, esempi: quantu si avutu? ‘quanto sei alto?’, c’è assai avutu ‘c’è molto alto’, avutu e cazzune ‘alto e cazzone’ (l’insano pregiudizio che vuole le persone alte un po’ tonte).

Avvìerzu [agg.] Vedi abbierzu.

Azàre [v.tr. v.intr.pron.] Alzare, sollevare, esempi: azate are cinque ‘alzati alle cinque’, aza u pede ‘alza il piede’.

Azzaccaràre [v.tr.] Separare gli agnellini e i capretti dal gregge; in altre parti della Calabria azzaccanàre.

Azzàmmaru [s.m.] Ripresa vegetativa di una pianta, il rigoglio riscontrabile in piena primavera.

Azzariàre [v.tr.] Alla lettera ‘rivestire d’acciaio’, ovvero ridare la tempra e il filo ad un attrezzo come l’ascia o la falce; il termine è usato anche in senso metaforico riferito a persone, assume il significato di ‘raddrizzare, rendere buono’, es.: (lap.) te viennu u te azzarianu ‘possa vederti temprato e buono’ (che tu possa ritornare su rette vie). 

Azzàru [s.m.] Acciaio, ossia lega di ferro e carbonio, con percentuale di quest’ultimo inferiore all’1,7%.

Azzìa [inter.] Voce che imita il rumore dello starnuto, l’equivalente dell’italiano di ‘etciù’ o ‘eccì’.

Ażżiàre [v.intr.] Scalpitare, essere euforici, gruppo di bambini che giocano senza tanti freni.

Azziccàre [v.tr.] 1 Assestare un colpo, menare uno schiaffo, un pugno, es.: azziccale nu scaffu! ‘dagli una sberla!’. 2 Bere a canna, attaccarsi ad un supporto per bere, esempi: azziccate ara buttigghja ‘bevi alla canna della bottiglia’, azziccate a ra minna ‘attaccati alla tetta’.

Azziddàre [v.tr.]  Conficcare, infiggere, piantare, es.: à azziddatu u curtieddu subra u tavulu, paria nu diavulu tantu chi era arraggiatu ‘ha conficcato il coltello sul tavolo, sembrava un demonio tanto che era arrabbiato’.

Ażżillàre [v.tr.] L’agitarsi e lo scalciare delle bestie da soma quando solleticate, in particolare durante la misurazione della circonferenza dell’addome per la costruzione di un basto su misura.

Ażżìu [s.m.] Entusiasmo, euforia, ma anche ozio, es.: teh cchi azziu chi tena oje ‘guarda un po’ che esuberanza che ha oggi’.

Azzu [s.m.] Veramente!, davvero!, variante azzo.

Azzuddàre [v.tr.] Molestare, assillare, aggredire, azione compiuta da più soggetti contemporaneamente, come un mucchio di bambini, uno sciame di insetti, un gruppo di cani, esempi: m’anu azzuddatu i cani ‘mi hanno aggredito (assalito) i cani’, ce su azzuddate e musche ‘ci’hanno ronzato sopra le mosche’.

Azzùeppu [s.m.] 1 Colpo, botta, caduta, urto, usato più che altro al plurale, es.: ha piatu nu munte e azzueppi ‘ha preso un mucchio di colpi’.  2 Presente indicativo prima persona singolare di azzuppare ‘sbattere’, es.: si azzueppu a machina u papà m’ammazza ‘se sbatto l’auto mio padre mi uccide’; vedi anche azzuppare.

Azzummulàre [v.intr.] Rotolare, precipitare, cadere; vedi anche arruezzulare.

Azzuppàre [v.tr. v.intr.pron.] 1 Sbattere, colpire, picchiare violentemente contro qualcosa, esempi: aju azzuppatu a nnu muru ‘sono sbattuto contro un muro’, anu azzuppatu ccu ra machina ‘hanno fatto un incidente con la macchina’, (lap.) chi te viennu u azzueppi a capu e mura mura ‘che tu possa sbattere la testa muri muri’. 2 Ritornare in un posto, passarci, andare in un posto dove probabilmente aspetta qualcuno con cui litigare, scontrarsi, anche con valore di assembrarsi, esempi: chisà quannu ci’azzueppu ddà ‘chissà quando ci andrò là’, e u cci’anu azzuppare dduecu?! ‘e non ci devono venire qui?!’, st’annu ccu su cazzu e coronavirus azzoppanu tutti ara muntagna ‘quest’anno con questo cazzo di coronavirus tutti in montagna (a Fratta) vanno’.

Aultima modifica: 2022-03-13T10:47:24+01:00da mars.net