R

R [s.f.] Sedicesima lettera dell’alfabeto mesorachese, corrispondente alla diciassettesima di quello latino; la forma originale, nell’alfabeto fenicio, era quella di un triangolo con un vertice in alto e col lato destro prolungato verso il basso, triangolo che poi, col mutare della materia su cui si scriveva, diventò un semicerchio. Nell’alfabeto greco, mutata la direzione della scrittura, l’asta venne a sinistra e il semicerchio a destra: P, modificato qualche volta con l’aggiunta, a destra, di una zampina obliqua appena accennata; l’alfabeto latino l’allungò, e si ebbe la forma ancora oggi in uso: R. La forma della minuscola dell’alfabeto stampato è quella della r corsiva e semionciale; da essa è poi derivata la variante, di più rapida esecuzione, comunemente usata nella scrittura a mano. In italiano, il suono rappresentato dalla lettera r è quello della consonante vibrante “r”, così chiamata per avere come elemento essenziale le vibrazioni della lingua al passaggio della corrente d’aria, e compresa insieme con le laterali “l, l’” nella classe delle consonanti liquide (VT).

Ra [art.det.sing.femm.] 1 Articolo determinativo femminile ‘la’ (variante fonetica di a), usato soprattutto dopo le preposizioni semplici a, ccu, ppe e alla congiunzione e, esempi: jamu a ra (è corretto anche ara) Fratta ‘andiamo alla Fratta’, u cci’arrivi ccu ra medudda? ‘non ci arrivi con la testa?’, u fazzu ppe ra bonanima du tataranne ‘lo faccio per la buonanima del nonno’, (loc.) i guai ccu ra pala e a morte mmai ‘i guai con la pala e la morte mai’ (i guai, anche a palate, li puoi gestire, ma la morte no, con Lei non c’è speranza), jamu io e ra mamma ‘andiamo io e la mamma’. [pron.pers.] 2 Variante fonetica del pronome personale ‘a’, adoperata esclusivamente dopo l’avverbio di negazione u (non), esempi: u ra vuegghju ‘non la voglio’, u ra piare ‘non la prendere; guarda anche a, re, ri e ru.

Ràccatu [s.m.] Grosso sputo (a volte mucoso), anche scatarrata profonda, es.: nu raccatu virde ‘uno scaracchio verde’.

Raccatùsu [agg.] Persona che scaracchia e scatarra molto, per cui malaticcia.

Ràcina [s.f.] Grappolo d’uva, guarda anche piennula e raspu.

Racchja [agg.] Racchia, sgraziata.

Raganédda [s.f.] Idiofono a raschiamento in legno, composto da una parte ruotante, alla quale è applicata una listarella di legno in tensione contro una piccola ruota dentata ed una parte fissa che funge da perno-impugnatura; roteando l’impugnatura l’estremità della listarella batte contro i denti della ruota producendo una serie di suoni secchi; strumento usato durante le funzioni della settimana santa; cfr tocca-tocca.

Ràgani [s.m.pl.] Fischi e borbottii prodotti da vie aeree raffreddate o ammalate da bronchite cronica, specie da fumo, ne deriva raganùsu ‘persona che parla con fischi e rantoli’.

Ragàre [v.tr.] Portare, trasportare, riportare, esempi: ragalu ara casa ‘portalo a (la) casa’, nni l’e ragare tu ‘ce lo devi riportare tu’, (loc.) u ciucciu è raga e ru ciucciu s’è mancia ‘l’asino le trasporta e l’asino se le mangia’ (porto un regalo, un pensiero, e poi lo consumo io che lo porto, anziché darlo al destinatario), u Segnure u mi nne raga ‘il Signore che me ne porti’ (che mi porti a sé, intercalare usato quando si vuole sottolineare solennemente ed emotivamente la veridicità di quanto si afferma).

Ragàta [agg.] Giro fatto su un mezzo di trasporto qualsiasi tipo carro, motocarro, ecc., talvolta anche a sbafo, ossia senza che il conducente ne sia consapevole.

Ragghjàre [v.intr.] 1 Ragliare, es.: a ciuccia ha ragghjatu tutta a notte ‘l’asina ha ragliato tutta la notte’. [v.tr. v.intr.pron.] 2 Lamentare sonoramente dolore per qualcosa, emettere lamenti, esempi: lassa u ragghja ‘lascia che ragli’, se ragghja ogne cinque minuti ‘si lamenta ogni cinque minuti’.

Ragghjòi [s.m.] Persona che si lamenta, che raglia appunto, es.: è nu ragghjoi e prima categoria ‘è un lamentoso per eccellenza’.

Ràggia [s.f.] Rabbia, collera, irritazione, stizza, foga, esempi: cchi raggia chi me fa ‘che rabbia che mi fa’, (loc.) a raggia da sira ta stipi ppe ra matina ‘la rabbia della sera te la conservi per la mattina’ (quando sei arrabbiato dormici sopra, la mattina si è col cuore più sereno); guarda anche arraggiare.

Raja [s.f.] Pesci dell’ordine dei raiformi, chiamati comunemente razze; la specie che maggiormente si trova in commercio è Raja asterias Delaroche, insieme alle sottospecie Raja miraletus L. e Raja clavata L., tutte ottime fritte con due peperoni accanto, es.: avimu a bella raja signo’! ‘abbiamo la bella razza signora!’ (l’inconfondibile voce del commerciante ambulante che dall’altoparlante del suo camioncino richiama l’attenzione sui pesci che vende).

Ralla [s.f.] Cazzo, membro, usato (poco) per intercalare o esclamare diniego, es. sta ralla! ‘sta minchia!’.

Rame [s.f.pl.] L’insieme di tutti i contenitori in rame, come cassalore, quadare, cunchette eccetera, esempi: e rame da casa ‘gli oggetti in rame della casa’, (loc.) a rame canuscia u quadararu e l’ueru canuscia l’oriefice ‘il rame conosce il quadararu e l’oro conosce l’orefice’ (a ognuno la sua arte, il suo mestiere).

Ranne [agg.] Grande, grosso, importante, es.: cchjù ranne e così u sse pò ‘più grande di così non si può’, molto usato anche il diminutivo rannulìddu ‘grandicello’.

Ranùnchju [s.m.] Ranocchio, rana, anche ragazzino magretto, esempi: n’arrustiamu i ranunchji ara jumara ‘ci arrostivamo le rane al fiume’, (loc.) cci nn’ha ranunchji! ‘ce ne sono di ranocchi!’ (modo di dire per indicare che in un determinato posto, non c’è niente da prendere o raccogliere, cfr tuetula), u ranunchju l’è figghju ‘il marmocchio gli è figlio’.

Raparìre [v.tr.] Aprire, riaprire, variante di aparire.

Rapìnu [s.m.] Gheppio, Falco tinnunculus L.

Rappa [s.f.] Grinza, piega, stropicciatura, ma anche ruga.

Rapuniàre [v.tr.] Tradire, rapinàre, rubare.

Ràrica [s.f.] Radice, apparato radicale, molti i significati figurati, esempi: piala ccu tutta a rarica ‘prendila con tutta la radice’, (loc.) t’appueggi ara rarica! ‘ti appoggi alla radice!’ (t’appoggi al cazzo!), (loc.) te dugnu sta rarica! ‘ti do questa radice!’ (ti do sto cazzo! ovvero, non ti do niente), (loc.) si na bella rarica! ‘sei una bella radice!’ (sei una bella persona!, da leggere chiaramente in senso ironico), (loc.) a rarica è funna ‘la radice è profonda’ (la sai lunga), (loc.) u tte spagnare si mina u vientu ca e rariche su bon’apperticate ‘non aver paura se tira il vento che le radici sono ben aggrappate’ (non temere le avversità della vita quando hai dei buoni valori o una buona famiglia); usato anche l’accrescitivo raricùne.

Raricàta [s.f.] L’insieme delle radici di una pianta, di una verruca o di una qualunque altra cosa in grado di mettere radici, fino a l’ultima delle sue ramificazioni. 

Rasa [s.f.] Lato, parte, ciglio, e per estensione angolo, cantuccio, adoperato anche il diminutivo rasicèdda ‘angolino’, esempi: mintalu e rasa ‘mettilo da parte’, jettalu a chidda rasa ‘buttalo in quell’angolo’, l’aju stipatu a na rasicedda ‘l’ho conservato (nascosto) in un angolino’, a rasa rasa figghjarì ‘rasente al ciglio della strada figlio mio’ (raccomandazione che si fa ad un bambino, esortandolo ad essere prudente, di non distrarsi e di non stare in mezzo alla strada, ma soprattutto di non dare confidenza a persone potenzialmente pericolose); guarda anche arrasare, e rasiare.

Rascàre [v.tr. v.intr.] Raschiare, grattare, sfregare, limare, graffiare, esempi: rasca ste famazze ‘pulisci (scopa, raccogli) queste ramaglie’, rascame a catrea ‘grattami la schiena’, rascalu ccu ra carta vitrata ‘sfregalo, limalo, con la carta vetrata’, u gattu ha rascatu a seggia ‘il gatto ha graffiato la sedia’, su vinu rasca nu pocu ‘questo vino gratta un po’’.

Rascatìna [s.f.] Graffio, grattata, esempi: t’e fattu na rascatina ara spadda ‘ti sei fatto una graffiatura alla spalla’, c’è na rascatina aru sportellu ‘c’è una strisciata alla portiera’.

Rascinacchja [s.f.] Persona malconcia che si trascina a fatica, per malattia o a causa di malanni dovuti all’età.

Rascinàre [v.tr. v.intr.pron.] Trascinare, strascinare, ma anche condurre, riuscire a convincere qualcuno ad andare in un posto, esempi:  u ru rascinare u giubbinu ‘non strascicare il giubbotto’, rascina i piedi ‘strascina i piedi’, sugnu riuscitu a ru rascinare aru barru ‘sono riuscito a farlo venire al bar’, m’aju rascinatu finu ara porta ‘mi sono trascinato fino alla porta’, (loc.) vaffanculu tu e quantu piedi rascini ‘vaffanculo te e quanti piedi ti tiri dietro’ (vaffanculo tu e tutta la tua razza – o quanti ti vengono dietro).

Rascu [s.m.] Formaggio silano fresco, un po’ grasso e non in commercio.

Rasiàre [v.tr.] Fiancheggiare, costeggiare il lato della strada, passare rasente a qualcosa.

Raspìnu [s.m.] Piccola raspa, attrezzo molto usato dai sellai.

Raspu [s.m.] Raspo, ossia grappolo d’uva a cui sono stati tolti gli acini.

Raspùsu [agg.] Ruvido, grezzo, che gratta.

Rasu [agg.] Raso, colmo, p.p. del verbo rasare.

Rasùela [s.f.] Spatola di medie dimensioni usata dalle fornaie per sporzionare la pasta o ripulire la madia dai resti dell’impasto.

Ràsula [s.f.] Arnese metallico, a forma di piccola zappa, usato dagli artigiani che lavorano il legno. 

Rasùlu [s.m.] Il rasoio adoperato dai barbieri; guarda anche lametta.

Ravanìeddu [s.m.] Ravanello, Raphanus sativus L.

Razzinùsu [agg.] Altezzoso, presuntuoso.

Razzu [s.m.] Razza, discendenza, genia, famiglia, es.: (loc.) chine è dde buenu razzu se ricogghja aru stazzu ‘chi è di buona famiglia ritorna all’ovile’ (chi è di buona origine torna alla propria casa, ovvero fa le cose buone).

Re [art.det.femm.plur. pron.pers.] Articolo determinativo plurale ‘le’, usato, come per ra, ri e ru, posponendolo alle preposizioni semplici ccu, ppe, all’avverbio u (non) e alla congiunzione e, esempi: ppe re tre ‘per le tre’, ccu re fimmine ‘con le donne’, u re bbue? ‘non le vuoi?’, e re mpincimu ara porta? ‘e le appiccichiamo alla porta?’; cfr ra e ri.

Recrìticu [agg.] Molto magro, esile nell’aspetto, debole.

Regghja [s.f.] 1 Scheggia di legno appuntita, di solito di piccole dimensioni e fastidiosa se si conficca da qualche parte nel corpo, es.: ci’aju na regghja a nu jiritu ‘ho una scheggia a un dito’. 2 Persona impertinente, difficile da gestire per le sue spigolosità, alcune volte può denotare una persona poco avvezza alla legalità, esempi: si nna regghja ‘sei una peste’, se mmisca ccu chidda regghja ‘si frequenta con quel delinquente’.

Regghjistràre [v.tr.] Registrare, memorizzare, annotare, es.: m’u regghjistri u discu di pinfloi? ‘me lo registri il disco dei Pink Floyd?’.

Regghjistru [s.m.] Registro, libro mastro, catalogo.

Rella [s.f.] Putrella, travetto, profilato metallico sagomato come i binari della ferrovia, ossia a doppia ‘T’.

Remu [s.m.] Reumatismo, reuma, es.: u remu aru vrazzu ‘il reumatismo al braccio’.

Rennìre [v.tr.] 1 Rendere, fruttare, talvolta usata anche la variante rénnare, ad es.: si me aparu u cuntu ara banca ma dde rennire ancuna cosa, magari mi cce vena na rennita ‘se mi apro il conto in banca mi deve fruttare qualcosa, magari mi ci viene una rendita’. 2 Restituire, ridare, rendere nel senso di sdebitarsi, esempi: quannu mu rienni u zappune? ‘quando mi restituisci la zappa’, rennalilu subitu! ‘rendiglielo subito!’.

Renza [s.f.] Fianco, lato, parte, esempi: e renza ‘di fianco’, renza renza ‘lato lato’ (camminare attentamente, ad esempio su un viottolo che passa vicino ai bordi di un fiume, un precipizio e simili); cfr rasa, menzina e rasiare.

Repuliàre [v.intr.] Letteralmente ‘lepreggiare’, ossia amoreggiare, flirtare con più partner, fare come le lepri; cfr lapuniare e papariare.

Repulìnu [agg.] Che concerne la lepre, in particolare labbru repulinu ‘labbro leporino’ (cheiloschisi).

Resca [s.f.] La lisca del pesce, resta.

Rescìre [v.intr.] Riuscire, venire fuori da una situazione, andare in porto, adoperata anche la variante résciare. es.: prima o poi u tridici ma de rescire ‘prima o poi il tredici mi deve riuscire’.

Residénza [s.f.] 1 Il posto dove si risiede, dove in genere si abita. 2 Residuo, deposito, fondo, di solito quello lasciato da liquidi organici come vino, olio, limoncello fatto in casa e così via.

Resta [s.f.] Fascio di spighe di grano legate insieme; il termina indica anche una treccia di agli o cipolle.

Restatìna [s.f.] Rimasuglio, avanzo, residuo, parola spesso riferita ai rimasugli di cibo, es.: su rimaste sulu e restatine ‘sono rimasti solo gli avanzi’.

Restùcci [s.m.pl.] Gli steli di un raccolto rimasti a terra dopo la mietitura. 

Revòrvaru [s.m.] Guarda divorvaru, variante rivorvaru.

Ri [art.dem.plur.masc. pron.pers.] Articolo determinativo maschile plurale ‘i’, usato, come per ra, re e ru, posponendolo alle preposizioni semplici a, ccu, ppe, curiosamente, quando assume la funzione di pronome, raramente lega con l’avverbio u (non) e nel parlato viene quasi sempre preferito il femminile re (le), esempi: ne vidimu a ri Gannaggi ‘ci vediamo (a)i Gannaggi’, è nesciutu ccu ri cumpagni ‘è uscito con i compagni’, l’ha piatu ppe ri piedi ‘l’ha preso per i piedi’, (loc.) si ccu ri piedi ara fossa ‘sei con i piedi alla fossa’ (avere l’aspetto di chi sta per morire, o essere sul punto di), u re (ri) bbidi? ‘non li vedi?’.

Riàci [s.m.] Il torrente Reazio, ma anche località di campagna che costeggia il torrente stesso, sia nella parte vicina al cimitero che a monte e a valle di quest’ultimo. Il torrente è un’affluente del Vergari, i due corsi si congiungono presso la località denominata Princivalle; durante la stagione asciutta si prosciuga quasi completamente.

Ribbommìre [v.intr.] Rimbambire, rincoglionire, es.: (lap.) te via ribbommitu ‘possa vederti rimbambito’, variante ribbommiscìre.

Ribummàre [v.intr.] Rimbombare, risuonare.

Ricchjunàru [s.m.] Persona di sesso maschile che si atteggia da omosessuale, o frequenta ambienti gay, senza necessariamente esserlo a sua volta, es.: si nnu ricchjunaru ‘sei un ricchjunaru’ (‘ti comporti come un gay’ oppure ‘hai simpatie per il mondo gay’); cfr arricchjunàre.

Ricchjùne [s.m.] Recchione, omosessuale, da cui l’accrescitivo e peggiorativo ricchjunàzzu; cfr fimminedda e fimminieddu.

Ricivìre [v.tr.] Ricevere, prendere, es.: (loc.) l’alberu pecca e u ramu riciva ‘l’albero pecca e il ramo riceve’ (anche i genitori sbagliano e i figli ne subiscono le conseguenze).

Ricògghjare [v.tr.] Guarda ricugghjìre.

Ricogghjatùru [s.m.] Luogo dove si accumulano e mulinellano immondizie o altro per colpa del vento.

Ricogghjavìpare [s.m.] Alla lettera ‘radunavipere’, ovvero luogo dove potrebbero trovare ricovero un discreto numero di vipere: vecchi muragghji, resti di carcare e casedde abbandonate sono i rifugi prediletti; in genere tali posti sono invasi da erbacce, rovi e piccoli alberi. 

Ricòta [agg.] Raccolta, ovvero divenuta più piccola nelle dimensioni, ristretta, ripiegata, concentrata, ma anche ritornata da un luogo, ricùetu il maschile, esempi: avie vidire cumu era ricota povaredda ‘dovevi vedere come era diventata piccola poverina, è ricota antura ‘è ritornata poco fa’; guarda ricugghjire per maggiori dettagli.

Ricottàru [s.m.] 1 Colui il quale vende e/o produce ricotte. 2 Pappone, protettore di prostitute.

Ricriàre [v.tr. v.rifl.] Ritemprare, più che ristorarsi o riconfortarsi, divertirsi nell’animo, ne sono esempio essere intimamente contenti di aver fatto quella gita, pranzato in maniera egregia, passato una bella giornata in una certa località, ecc., esempi: oje ara Fratta m’aju ricriatu l’anima ‘oggi in Fratta mi sono rilassato l’anima’ (e contemporaneamente l’ho rinvigorita), se su ricriati tuttu u juernu ‘si sono divertiti tutto il giorno’; cfr scialare.

Ricrìu [s.m.] Piacere, delizia, godimento.

Ricùerdu [s.m.] Ricordo, pensiero, es.: m’u tiegnu ppe ricuerdu ‘me lo tengo per ricordo’.

Ricugghjìre [v.tr.] 1 Riunire, raggruppare, spesso usate anche le varianti ricògghjare e ricogghjìre, esempi: ricogghja l’animali ‘riunisci le bestie’, (loc.) chine simina all’acqua ricogghja aru vientu ‘chi semina con l’acqua raccoglie col vento’ (è buono seminare quando piove, poiché il seme attecchirà, così poi si potrà sventolare il grano), (loc.) quiddu chi simini ricuegghji ‘quello che semini raccogli’. [v.intr.] 2 Tornarsene a casa (non esclusa quella divina), rincasare anche da un lungo viaggio, esempi: u Segnure u mi nne ricogghja stasira s’u dicu a verità ‘che il Signore possa riprendermi con sé se non dico la verità’, u tte ricugghjire tardu ‘non rincasare tardi’, s’è ricuetu ajieri e Milanu ‘è tornato ieri da Milano’.

Ridducìre [v.tr.] Guarda arridducire.

Rìegula [s.f.] 1 Regola, senso della misura, es.: a riegula e nu chilu ‘a regola di un chilo’ (all’incirca un chilo). 2 Regola, contegno in quanto tale come formalismo al quale attenersi, es.: e riegule da casa ‘le regole della casa’. 3 Lungo listello (regolo), impiegato dai muratori per livellare l’intonaco e gli angoli, sinonimo di staggia.

Rìepitu [s.m.] Lamento funebre ritualizzato; infatti, fino a non molto tempo fa c’erano delle donne esperte (anche pagate) per fare questo, ossia piangere il defunto secondo determinati canoni, e cioè tendenti ad esaltarne le virtù.

Rìepule [s.m.] Lepre, Lepus europaeus Pallas, es.: (loc.) chine cientu riepuli vo piare, o uno o l’atru l’ha de scappare! ‘chi cento lepri vuole prendere, o una o l’altra gli deve scappare’ (non si puó avere tutto dalla vita e non bisognerebbe fare troppe cose contemporaneamente, se no si corre il rischio di tralasciarne alcune o fare male altre).

Rìespice [s.m.] Rimanenza, resto.

Rìestu [s.m.] Resto, differenza, es.: ccu ru riestu damme na gigigomma ‘con il resto dammi un chewing gum’.

Rifàttu [s.m.] Sansa, residuo della spremitura dell’olio dalle olive.

Rifinàre [v.tr.] 1 Far decantare, raffinare, es.: fallu rifinare prima u ru travasi ‘fallo purificare (il vino) prima che lo travasi’. [v.intr.] 2 Smaltire la sbornia, es.: è ara firnesta c’a sta rifinannu ‘è alla finestra che la sta smaltendo’ (sta cercando di riprendersi).

Rifriddìre [v.tr. v.intr.pron.] Raffreddare, diminuire la temperatura, variante arrifriddìre, esempi: rifridda u vinu ccu ru jacciu ‘raffredda il vino col ghiaccio’, u café ormai è rifriddutu ‘il caffè ormai è raffreddato’.

Rifriscàre [v.tr. v.intr.pron.] Rinfrescare, il calare della temperatura, esempi: a chjuvuta a rifriscatu l’aria ‘la piovuta ha rinfrescato l’aria’, l’aria s’è rifriscata ‘l’aria si è rinfrescata’.

Rifriscàta [s.f.] Rinfrescata, il ritorno del fresco dopo una giornata torrida, ovvero parte del giorno immediatamente dopo il tramonto.

Rifrìscu [s.m.] Refrigerio, ristoro, ma anche, in senso figurato, situazione spiacevole e inattesa, grana.

Rigalàre [v.tr.] Regalare, elargire, fare un dono in denaro, dare una buona mancia, es.: aje rigalare chiddu guagliune ‘devo (fare un regalo in denaro) dare la mancia a quel ragazzo’.

Rigàlu [s.m.] Regalo, dono.

Riganìeddu [s.m.] Alla lettera “piccolo origano” ovvero ragazzino, monello, molto vicino al significato di guagliunieddu.

Rìganu [s.m.] Origano, Origanum vulgare L., pianta diffusissima nel territorio, si può raccogliere fino a circa gli 800 metri slm, alcune persone sono riuscite a farlo crescere anche in piena montagna a 1500 m trapiantandoci direttamente una troppa.

Rigìettu [s.m.] Quiete, riposo, es.: u nne pia rigiettu ‘non ne prende riposo’ (non riesce a calmarsi); cfr arrigettare.

Riggìru [s.m.] Abilità, sapersi muovere, fare la cosa giusta, spesso usato solo in forma ironica, es: nn’ha rigiru! ‘ne ha di competenza!’ (a voglia).

Rigòne [s.m.] Grossa asta utilizzata per comprimere in modo ottimale le guide in cemento usate dai muratori per gettare i pavimenti; cfr riegula. 

Rigumàre [v.tr.] Masticare, ruminare con calma; il termine è molto più usato in senso figurato e indica, come in italiano, una persona che rosica, che borbotta, che pensa e ripensa più volte la stessa cosa (talvolta anche in senso psichiatrico).

Rijùelu [s.m.] Piccolo brufolo che cresce sulle ciglia, orzaiolo, es.: (lap) chi te vorra nescire nu rijuelu ‘che possa uscirti una pustola alle ciglia’ (da notare che questa lapida, ormai non più usata, veniva lanciata da una donna incinta a qualcuno che non gli aveva offerto qualcosa che lei aveva desiderato, una specie di macumba alla mesorachese).

Rimazzicàre [v.tr.] Rimasticare, ruminare; cfr rigumare.

Rimièdiu [s.m.] Rimedio, espediente.

Riminàre [v.tr.] 1 Girare, mescolare, frugare, variante riminiàre ossia mescolare con più frequenza ma con meno intensità, esempi: rimina a suraca intr’a pignata ‘gira i fagioli nella pignata’, u sangu le riminiare appena nescia, si nno se quagghja e addiu sancieri ‘il sangue lo devi girare appena esce, se no si condensa e addio sanguinaccio’, riminacce u cimentu ‘mescolaci il cemento’, riminate intr’e buggie ‘frugati nelle tasche’; il termine è impiegato anche figurativamente, nel senso di non riprendere o toccare certi argomenti, es.: u riminare certi discurzi ‘non (animare) ripigliare certi discorsi’. [v.intr.pron.] 2 Muoversi, darsi da fare, fare in fretta, esempi: u tti cce rimini du disordine chi c’è aru chjancatu ‘non ti ci muovi dal disordine che c’è in soffitta’, te riminare ca stanu arrivannu ‘ti devi sbrigare che stanno arrivando’, riminate! ‘muoviti!’.

Rimmiviscìre [v.tr. v.intr.pron.] Rianimare, rinvenire, rivivere.

Rimorgatìna [s.f.] Variante di morgatina.

Rimpacciàre [v.tr.] Sgridare, rimproverare, da cui il sostantivo rimpacciata ‘strigliata’, ‘lavata di capo’, esempi: u rimpaccia mmai i figghji ‘non rimprovera mai i figli’, (loc.) chine cuntu te porta rimpacciare te vo ‘chi conto ti porta biasimare ti vuole’ (chi racconta una cattiveria che ci riguarda alla fin fine non ci vuole bene perché ci fa arrabbiare), (loc.) chine u ssenta e rimpacciate u ssenta mancu e paddate ‘chi non sente le cazziate non sente manco le pistolettate’ (è una persona facciatosta).

Rimprancàre [v.tr. v.intr.pron.] Rinfrancare, recuperare forze, es.: ca pue rimpranchi ‘che poi recuperi’ (riposare il corpo e/o la mente, dopo un intenso sforzo fisico e/o di attenzione e concentrazione prolungata; cfr vitriare).

Rimuddàre [v.tr.] Ammorbidire mettendo a mollo, far ritornare morbido.

Rimùerzu [s.m.] Rimorso, tormento.

Rina [s.f.] Sabbia, da cui l’aggettivo rinùsu ‘sabbioso’, mentre Rina russa è un quartiere di Mesoraca contiguo a quello del Varchjieri.

Rincrażżiàre [v.tr.] Ringraziare, variante rincrazzàre, es.: te rincrazziu ppe tuttu chiddu chi facisti ‘ti ringrazio per tutto ciò che facesti’.

Rìnnina [s.f.] Rondine, Hirundo rustica L., parecchio usati anche il diminutivo rinninèdda ‘rondinella’ e rinninùne ‘grossa rondine’, quest’ultimo è usato anche in senso figurato nel senso di ‘molto sviluppato’ e quindi un po’ citrullo; da notare che il rinninune non è la specie denominata rondone (Apus apus L.).

Rinu [s.m.] 1 Rene, ovvero l’organo preposto a secernere l’urina nei vertebrati, esempi: minale intr‘i rini ‘menagli nei reni’, intr’a curatedda ce mintu puru u rinu ‘nella coratella ci metto pure il rene’. 2 Il nome Rino.

Riparu [s.m.] Rimedio, soluzione, il termine è sempre preceduto dalla negazione u (non) e dalla particella ce (ci), è di solito adoperato per valutare (sconsolatamente) il comportamento (maluducato, scorretto o cocciuto) di un figlio, è anche usato per tutte quelle situazioni che non presentano soluzioni efficaci (nella quale più volte ci si è sbattuto contro), esempi: u cce duna riparu ccu ru figghju ‘non ci dona riparo con il figlio’ (non riesce a gestirlo), u cc’è riparu ‘non c’è modo’.

Ripentìre [v.intr. v.rifl.] Ripensarci, ricredersi, pentirsi, cambiare idea, usata anche la variante ripéntare, esempi: vida u te ripienti all’urtimu ‘vedi di non pentirti (proprio) alla fine’, (loc.) dura malannu e pue te vena, ripentare te pue, nente t’aggiuva ‘dura malanno e poi ti viene, pentire tu puoi, niente ti giova’ (una volta fatta una cattiva azione non serve a nulla avere rimorsi, non giova né a chi la compiuta e né a chi l’ha subita).

Ripiàre [v.rifl.] 1 Riprendere conoscenza, riaversi specie dopo un trauma o uno svenimento, parimenti viene usata la variante ripigghjare; cfr mmiviscire e ripiccicare. [v.tr.] 2 Riprendere, ritornare in possesso di qualcosa.

Ripiccicàre [v.tr. v.rifl.] Riprendersi in salute, fisica e psichica, ma anche quella finanziaria non guasta; guarda anche ripiare.

Ripìlu [s.m.] Pelucco, ovvero la pallottolina di fibre di tessuto che si formano su vestiti o coperte dopo i lavaggi o per il troppo uso.

Ripùesu [s.m.] Riposo, pace, quiete, esempi: u nne pianu ripuesu si guagliuni e oje ‘non conoscono sosta i ragazzi di oggi’ (non stanno mai fermi), pianne ripuesu! ‘prendine riposo’ (quasi un modo di dire: stai calmo, datti una calmata, fermati un attimo), (loc) n’ammacca ripuesu! ‘ne ammacca riposo!’ (intercalare riferito a persona pigra o disoccupata, in cui l’unica attività che è in grado di svolgere è proprio riposarsi).

Ripunìre [v.intr.] Sedimentare, lasciar riposare un liquido in maniera tale che decanti, ovvero lasciar depositare la parte solida o semi-solida da quella liquida, es.: fa ripunire u vinu cu vidu nu pocu turvule ‘fai riposare il vino che lo vedo un po’ torbido’.

Rirìre [v.intr.] Ridere, sogghignare, usata anche la variante rìrare, esempi: u mme fare rirare ‘non farmi ridere’ (non dire stronzate), rira ssulu ‘ride da solo’.

Risimùgghja [s.f.] Rimasugli, avanzi, il resto di qualcosa cucinato in grande quantità, a volte anche nell’accezione di scarto e cioè i resti che non sono piaciuti, come in un buffet oppure un pentolone di un cibo su cui hanno banchettato in molti, di rado è usata anche la variante metatetica rimasùgghje, es.: su rimaste e risimùgghje de frittule ppe cce fare a jelatina ‘sono rimasti i rimasugli delle frattaglie di maiale, giusto per farci la gelatina’; cfr restatine.

Risistìre [v.intr.] Resistere, variante risìstare; vedi arrisistire.

Rispìettu [s.m.] Rispetto, ovvero atteggiamento di stima e reverenza verso una persona; nel gergo malavitoso il rispetto è qualcosa di più che la semplice stima, assume anche venature di lealtà.

Rispigghjàre [v.tr. v.intr.pron.] Svegliare, risvegliarsi, destarsi, esempi: te rispigghju are sette ‘ti sveglio alle sette’, domane m’aje rispigghjare priestu ‘domani mi devo svegliare presto’, mi s’è rispigghjata a fame ‘mi si è destata la fame’.

Rispunnìre [v.intr.] Rispondere, usate anche le varianti arrispunnìre e rispùnnare, esempi: u mm’ha rispusu nessunu ‘non mi ha risposto nessuno’, (loc.) ama a chine te ama, e rispunna a chine te chjama ‘ama a chi ti ama, e rispondi a chi ti chiama’ (rifai quello che ti è stato fatto e non sbagli), (loc.) iu dicu ciciari e tu me rispunni fave ‘io dico ceci e tu mi rispondi fave’ (dare consapevolmente risposte non in linea con le domande).

Ristùcciu [s.m.] Stoppia del grano, ovvero gli steli senza la spiga.

Risu [s.m.] 1 Riso, sorriso. 2 Riso, Oryza sativa L.

Risùenu [s.m.] Seccatura, grana, preoccupazione.

Ritiru [s.m.] Suggestiva chiesa tardo barocca intitolata alla Madonna Assunta in Cielo, con annesso convento fondato dal sacerdote don Matteo Lamanna. Fu sede di importanti istituzioni a carattere religioso e di formazione culturale per il paese (per una migliore trattazione si rimanda a F. Spinelli, Le origini di Filippa, 1997), es.: (scioglilingua) ara porta du Ritiru ce sta nu pede e piru, piru e piracchju nu cugnu e nu cacchju ‘alla porta del Ritiro ci sta un albero di pero, pero peracchio un cuneo ed un cappio’.

Chiesa del Ritiru

Ritìegnu [s.m.] Ritegno, scrupolo.

Ritòrta [s.f.] Nome di una località di montagna e del relativo piccolo fiume che vi scorre, situata nelle vicinanze del villaggio Fratta, in posizione nord-ovest rispetto al centro abitato, es.: a menzagustu jamu a Ritorta ‘a ferragosto andiamo a Ritorta’.

Ritròna [v.intr.] Tuonare nuovamente, serie di tuoni che si susseguono.

Riuncàre [v.rifl.] Riscaldarsi, prendere calore, specie davanti al focolare, esempi: vieni riuncate nu pocu ‘vieni scaldati un poco’, vaju e me riuncu sutta e cuverte ‘vado a scaldarmi sotto le coperte’.

Riuncìre [v.tr. v.intr.pron.] Riunire, accorpare, riferito a persone assume il significato di ricongiungersi, radunarsi, trovarsi insieme, esempi: aju riunciutu tutti i pezzi ‘ho messo insieme tutti i pezzi’, ppe re feste e Natale n’avime riuncire tutta a famigghja ‘per le feste di Natale ci dobbiamo riunire tutta la famiglia’; cfr juncire.

Riviùetu [s.m.] Località di campagna di Mesoraca in posizione sud-est, confinante col territorio di Cutro e Rocca Bernarda, poco più a sud vi è anche la località chiamata Riviotìeddu.

Rivùetu [s.m.] 1 Insieme delle vinacce fatte fermentare insieme al mosto per qualche giorno o qualche ora, questo per dare al vino un colorito più scuro e irrobustirlo nella gradazione. 2 Maialino di un anno non castrato, ovvero maiale che arrivato il momento della macellazione (a gennaio circa) è ancora piccolo, allora si rivota (rimanda) all’anno successivo.

Rivutàre [v.tr.] Rivoltare, volgere, es.: s’è rivutatu cuntra ‘si è rivoltato contro’.

Riżżàre [v.tr.] 1 Lanciare energicamente, dare qualcosa con veemenza. 2 Consumare, bere, mangiare o fumare qualcosa velocemente e voracemente, esempi: s’ha riżżatu nu pachettu e sicarette intr’a na menza jurnata! ‘si è fumato un pacchetto di sigarette in una mezza giornata’, m’u riżżu iu u vinu rimastu ‘me lo tracanno io il vino rimasto’; guarda anche riżżieri.

Riżżètta [s.f.] Ricetta medica, prescrizione.

Rizzìeri [s.m.] Grosso bevitore di vino, ubriacone.

Rizzu [s.m.] 1 Riccio, il simpatico e spinoso animaletto denominato scientificamente Erinaceus europaeus L. Un tempo il riccio era cacciato attivamente, le sue carni erano molto apprezzate, mio nonno, il cui nome contiene il riccio (Murìżżu), oltre che mangiarlo era attento a recuperare la minuscola e preziosa cistifellea dell’animale; secondo un’antica tradizione di medicina popolare, la colecisti, seccata e conservata gelosamente, serviva a curare una malattia dell’infanzia denominata spaturnatu: la punta di uno spillo mischiata con un cucchiaino di latte materno per tre giorni di fila; la cura era considerata efficace, tant’è che c’era un vero e proprio commercio di cistifellee di riccio; guarda anche lapune e piritu e lupu per altre tradizioni di questo tipo. 2 L’involucro (cupola) che racchiude i frutti del castagno, esempi: nn’amu ammaccatu rizzi quann’eramu guagliuni ‘ne abbiamo ammaccato (aperto) ricci quando eravamo ragazzi’, du friddu amu vrusciatu puru i rizzi ‘dal freddo abbiamo bruciato pure i ricci’.

Rizzùeppulu [s.m.] Ragazzetto scaltro e piccolino, quasi sinonimo di zippuliddu, es.: guarda cca su rizzueppulu! ‘guarda qua sto ragazzino!’ (dove credi di andare ragazzino!).

Robbòttu [s.m.] Robot, automa, il termine è però quasi esclusivamente usato in senso figurato, indica una persona non sciolta nei movimenti, simili a quelli di una macchina.

Rocchèllu [s.m.] Rocchetto o rocchella, ovvero il cilindretto di legno dove si avvolgono i fili.

Rocchicèdda [s.f.] Località di campagna di Mesoraca in posizione sud-est, variante Rocchicèlla.

Rocchja [s.f.] Gruppo di piante, animali o persone, frotta, es.: na rocchja e cristiani ‘un gruppo di persone’.

Roddàre [v.intr. v.tr.] Ruotare, girare, rollare; non di rado è usata anche la variante ruddàre, es.: u rodda bbuenu sa truecciula, è troppu arruzzata ‘non ruota bene questa carrucola, è troppo arrugginita’.

Ròjina [s.f.] 1 Attrezzo per tagliare le unghie dei cavalli. 2 Scocciatura, noia, fastidio.

Rollétta [s.f.] Metro a nastro avvolgibile, usato da muratori e carpentieri.

Rollìno [s.m.] Anello di plastica ottenuto tagliando le dita dei guanti da cucina, quelli adoperati per lavare i piatti, i rollini servono a legare gli elastici al legno della fionda; il resto del guanto è invece impiegato per realizzare gli elastici della fionda; guarda anche stirapetra.

Romanìeddu [s.m.] Laccio di cuoio (o spago di sezione più grande) usato per cucire scarpe e pellame.

Ronziàre [v.intr.] Girare attorno ad un posto, gironzolare, passeggiare perdendo tempo; guarda anche giriare, runzare e runzuniare.

Rosìtu [s.m.] Lactarius deliciosus L., ottimo fungo che cresce nei boschi di aghifoglia, di colore rosa-arancio, cappello lamellato, butta nei primi freddi autunnali, ma non è raro trovarne qualcuno anche in agosto in zone umide e ombrose, es.: su mmisi i rositi? ‘stanno buttando i rositi?’.

Rositi

Rota [s.f.] Ruota, pneumatico, esempi: (loc.) u cc’è rota c’u gira ‘non c’è ruota che non giri’ (prima o poi i nodi vengono al pettine), a matina m’aju truvatu e rote bucate ‘la mattina mi sono trovato gli pneumatici bucati’.

Rotalùpu [s.m.] Mulinello, gorgo, vortice, sinonimo di cocorocò.

Rotatìna [s.f.] I segni lasciati dalle ruote, le tracce degli pneumatici sulla neve o sulla terra; il termine è prevalentemente usato al plurale.

Rrobba [s.f.] 1 Termine generico che, come in italiano, indica tante cose diverse, incluse persone, esempi: cchid’è sa rrobba? ‘cos’è questa roba?’, u tuccare e rrobbe e l’atri ‘non toccare le robe degli altri’, bedda rrobba chi si ‘bella roba che sei’, (loc.) a rrobba ppe bbastare ha d’avanzare ‘la roba per bastare deve avanzare’. 2 Possedimenti, beni mobili e immobili, esempi: a rrobba e fore du paparanne ‘il terreno agricolo del nonno’, (loc.) l’anima a Ddiu e a rrobba a chine tocca ‘l’anima a Dio e la roba (eredità) a chi tocca’ (fare le cose secondo le regole), (loc.) a rroba du cumune si nne va aru cavune ‘la roba del (in) comune se ne va nel burrone’ (i terreni condivisi fanno una brutta fine). 3 Eroina, droga, come nel gergale italiano; cfr nzunza.

Ru [art.det.sing.m.] Articolo determinativo maschile ‘lo’ (guarda u), usato dopo le preposizioni semplici a, ccu, ppe e all’avverbio u (non), esempi: a ru (aru) culu compà! ‘al culo compare! (saluto scurrile venato di sfottò), ccu ru sienzu ‘con il senso’ (con il pensiero), ppe ru juecu veloce ‘per il gioco veloce’, u ru sacciu ‘non lo so’.

Ruca [s.f.] Località di campagna di Mesoraca in posizione sud-est rispetto al comune, confinante col territorio di Marcedusa.

Ruecciuliàre [v.tr.] Letteralmente ‘fare trucioli’, ovvero temporeggiare, cincischiare, indugiare, variante rocciuliàre, esempi: cuemu ruecciulia patritta u ruecciulia nuddu ‘come perde tempo tuo papà non perde tempo nessuno’, rocciuliate stu cazzu ‘cincischia sto cazzo’ (sbrigati che mi sto arrabbiando); guarda anche triculiare.

Rùecciulu [s.m.] Truciolo, segatura, ma anche laccetto di cuoio, ritaglio di stoffa; cfr arruecciuliare.

Ruecciulùsu [agg.] Perditempo, persona che spreca il tempo facendo piccole cose inutili perdendo di vista lo scopo principale, è la classica persona che fa girare le scatole quando c’è da fare in fretta; cfr pacienziusu.

Rùeddu [s.m.] 1 Cerchione della bicicletta o qualcosa di similare. 2 Vecchio gioco d’abilità consistente nel far rotolare un cerchione, aiutandosi con un apposito manico, lungo un percorso prestabilito senza farlo cadere, es.: jucamu a ru rueddu ‘giochiamo al rollo’.

Rùenzu [s.f.] Piccolo ristagno d’acqua creato da un fiume che diminuisce la sua portata o da una forte pioggia.

Rùesula [s.f.] Gelone, pernione.

Rùetulu [s.m.] Rotolo, rullo.

Ruezzulùne [s.m.] Capitombolo, ruzzolone.

Ruga [s.f.] In un paese, gruppo di case vicine, piccolo rione, quartiere, anche spiazzo antistante la casa, esempi: u tt’alluntanare da ruga ‘non allontanarti dal vicinato’, a ruga è cuemu na famigghja cchjù ranne ‘la ruga è come una famiglia più grande’.

Rugàgnu [s.m.] Recipiente, stoviglia, contenitore multiuso per vari scopi; il termine al plurale rugàgni indica l’insieme delle stoviglie.

.Rugghjàre [v.intr.] Ringhiare, ruggire, il termine è prevalentemente impiegato per indicare il ringhiare (spesso accompagnato da soffi) dei gatti quando sono arrabbiati o sono vicini ad un rivale; di rado è usato anche per indicare i mugugni di una persona stizzita o frustrata.

Rugnùsu [agg.] 1 Rognoso, cioè fastidioso. 2 Rognoso in quanto affetto da scabbia, esempi: nu cane rugnusu ‘un cane rognoso’, (loc.) na piecura rugnusa mpesta na mantra ‘una pecora rognosa infetta una mandria’ (proverbio diffuso anche in altre parti d’Italia).

Rumàticu [agg.] Reumatico, che concerne i reumatismi.

Rummàre [v.tr.] 1 Macinare strada, compiere fatiche, fare un lavoro, vicino al significato di riżżare, esempi: me sugnu rummatu cinque chilometri fujiennu ‘mi sono fatto cinque chilometri correndo’, nn’aju rummatu fatiga quannu era quantu e tie ‘ne ho sudato lavoro quando ero quanto te’. [v.intr.] 2 Rombare, tuonare, emettere un forte rumore. 

Rummu [s.m.] 1 Rumore, rombo. 2 Fenomeno, portento, riferito al vino, es.: u vinu miu è nu rummu! ‘il mio vino è una bomba!’ (è forte e robusto).

Rumpamìentu [s.m.] Rompimento, rottura di, seccatura, variante rumpimìentu, es.: cchi rumpamientu e cugghjuni ch’è zianutta ‘che rottura di coglioni che è tuo zio’; guarda anche cacamientu.

Rumpanùci [s.m.] Schiaccianoci, ossia utensile per schiacciare non solo noci, ma anche mandorle e nocciole.

Rumpapàlle [s.m.f.] Rompiballe, scocciatore.

Rumpicugghjùni [s.m.f.] Rompicoglioni, scassapalle, variante rumpacugghjùni. 

Rumpìre [v.tr. v.intr.pron.] Rompere, fracassare, seccare, variante rùmpare, esempi: sucate l’uevu ch’e rumputu ‘succhiati l’uovo che hai rotto’, te rumpu u mussu ‘ti rompo il muso’, m’aju ruttu u cazzu ‘mi sono rotto il cazzo’, (loc.) na parola rumpa nu campu ‘una parola rompe un campo’ (la parola è capace di scuotere un intero campo di persone), (loc.) ruttu ppe ruttu rumpimulu du tuttu ‘rotto per rotto rompiamolo del tutto’ (visto che ormai è andata come è andata, siamo alla frutta, facciamola completa), (loc.) miegghju scarpa rutta, nno tutta ‘meglio scarpa rotta, non tutta’ (la scarpa mezza rotta si può ancora aggiustare e ti permette di continuare a lavorare, ma quando è completamente rotta il danno è completo, davanti a un errore riparabile è utile fermarsi).

Runca [s.f.] 1 Roncola. 2 Buono a nulla, ma anche persona spigolosa; cfr regghja.

Runcàre [v.tr.] Tagliare, estirpare, sradicare, pulire il terreno dalle erbacce, in particolare prima di una semina.

Runcatùru [s.m.] Brutto ceffo, delinquente.

Runciàre [v.intr.] Russare, emetteri suoni mentre si dorme, es.: sta runciannu ‘sta russando’ (sta dormendo).

Runcìgghju [s.m.] Ronciglio, ferro adunco adoperato per uncinare, roncola.

Runchjùne [s.m.] Nomignolo dato ad una persona un po’ malconcia, che se ne sta rannicchiata.

Runzare [v.tr.] Ciabattare, camminare svogliatamente.

Runziàre [v.tr] Guarda ronziare.

Runzùne [s.m.] Ronzino, ossia cavallo sfiancato, di poco pregio.

Runzuniàre [v.tr.] Perdere tempo facendo cose di poco conto, vicino al significato di triculiàre; cfr rocciuliàre, nzoniare e runzare.

Rusàru [s.m.] Rosario, quello che si recita, ma anche l’attrezzo e cioè la corona usata per recitarlo. Naturalmente anche nome proprio di persona.

Rusédde [s.f.] Caldarroste, sinonimo di vaddani; da notare che il termine è usato in tutta la Calabria, Filippa inclusa, ma i mesorachesi preferiscono usare vaddani; viceversa in tutta la Calabria il vaddanu indica la castagna bollita, ed è solo da poco che si è diffuso nel marchesato l’uso di chiamare le caldarroste anche vaddani.

Rusicàre [v.tr.] 1 Rosicchiare, sgranocchiare, es.: mo te rusichi e jirita ‘adesso ti rosicchi (mangi) le dita’ (adesso hai rimpianti). [v.intr.] 2 Provare invidia, rosicare.

Rusicatùru [s.m.] Persona insolente, rompiballe.

Rusicavìertula [s.m.] 1 Alla lettera ‘rosica-bisaccia’, ossia persona avara, taccagna e per estensione puntigliosa, pignola. 2 Jettatore, corvaccio.

Russàina [s.f.] Rosolia, provocata da Rubella virus. 

Russàstru [agg.] Rossastro, di colore rosso poco vivo o sbiadito; cfr russazzu.

Russàzzu [agg.] Rossiccio, che ha tonalità del rosso; cfr russastru.

Russiàre [v.intr.] Rosseggiare, che vira verso il colore rosso; la parola è particolarmente usata per indicare frutta o altro vegetale il cui colore tende verso il rosso.

Russìettu [s.m.] 1 Pomello, zigomo rossiccio, es.: chi beddi russietti chi tena su picciuliddu ‘che bei zigomi che ha questo bambino’; guarda anche pumu. 2 Rossetto, il cosmetico per truccarsi.

Russu [agg. s.m.] Rosso, esempi: si russu da vrigogna ‘sei rosso dalla vergogna’, ce mintire u russu e ru jancu ‘ci devi mettere il rosso e il bianco’ (dell’uovo).

Russùre [s.m.] Rossore e per estensione pudore, vergogna.

Ruta [s.f.] Pianta della famiglia delle rutacee diffusa in molte regioni del mediterraneo, dal sapore forte e pungente, il nome scientifico è Ruta graveolans L.; a Mesoraca si preparava   un infuso, quasi alchemico, che serviva a curare il cosiddetto discienzu, es.: (loc.) a ruta ogne male astuta ‘la ruta ogni male spegne’. Da ricordare che in altre parti d’Italia, specie nel Settentrione, la ruta viene usata per aromatizzare grappe o liquori; guarda anche discienzu.

Rutùne [s.m.] Gruppo di persone, di età differenti, disposte a ruota che ascoltano un’altra persona che racconta una storia o un fatto.

Ruttu [agg.] 1 Rotto, guasto, danneggiato, spezzato, p.p. di rumpire. [s.m.] 2 Rutto, flato, guarda anche sugghjuttu.

Rutunnèdde [agg.] Varietà di saporite olive da tavola dalla forma arrotondata.

Rutunnu [agg.] Rotondo, tondeggiante.

Ruvàce [s.m.] Recipiente di legno per misurare la quantità di grano; i ruvaci sono anche dei contenitori di legno/vimini che si posizionano sul basto degli animali da soma per il trasporto di alimenti provenienti dalla campagna; alcune persone anziane lo chiamano anche menzaluru ranne.

Ruvènza [s.f.] Confusione, baldoria, casino.

Ruvìèttu [s.m.] Rovo (o roveto), variante ruvettàru, Rubus ulmifolius Schott., es.: va fa quattru mura e ruviettu ‘vai a fare quattro more di rovo’.

Rużża [s.f.] 1 Ruggine, ossidazione. 2 Sporcizia, sudiciume, trivialità, es.:  nn’avire ruzza! ‘ne devi avere di sordidezza!’ (mio dio quanto sei rozzo!).

Rużżu [agg.] Rozzo, gretto.

Rultima modifica: 2022-03-13T10:51:54+01:00da mars.net