V

V [s.f.] Ventesima lettera dell’alfabeto mesorachese, corrispondente alla ventunesima di quello latino. Fino almeno al secolo 16° ha avuto una storia comune con la lettera U, di cui costituiva una variante di scrittura; e fino al sec. 19° ha conservato in comune con essa il nome, distinguendosi all’occorrenza la u “vocale” (la nostra u) dalla u “consonante” (la nostra v). L’una e l’altra hanno origine dalla sesta lettera dell’alfabeto fenicio; la lettera v rappresenta la consonante labiodentale fricativa sonora (VT).

Va [v.intr.] Imperativo del verbo andare, è corretto scrivere, come in italiano, va’; inoltre, è usato come rafforzativo dell’imperativo stesso, esempi: va e bbena ‘va’ e vieni (torna)’, v’attimpate ‘vai a buttarti da una timpa’, (va)vattinne e dduecu ‘vattene da qui’, va vida duve e cazz’e jire ‘va’ a vedere dove cazzo devi andare’. [pron.pers.c.] Pronome personale ‘ve’ (ve) combinato con il pronome personale ‘la’ (a), è corretto scrivere v’a, esempi: v’a dugnu iu ‘ve la do io’, v’a scurciati vue ara cognata ‘ve la sorbite voi alla cognata’; quando il composto è preceduto dall’avverbio ‘non’ (u) assume la forma vv’a (raddoppiamento sintattico) o bb’a (variante del raddoppiamento sintattico), esempi: u vv’a puertu ‘non ve la porto’, u bb’a sentiti cchjù ‘non ve la sentite più’.

Vabbò [avv.] Riprende il napoletano ‘vabbuò’ o l’italiano ‘va beh’; da sottolineare che si tratta di un va bene per modo di dire, infatti, può assumere sfumature da menefreghismo, es.: A vida ca stai mpizzannu fuecu! B e vabbò mo cchi le fa! A ‘guarda che stai per innescare un incendio!’, B ‘massì chi se ne frega’.

Vacabbunnerìa [s.f.] Vagabondaggine, oziosità, fannullaggine, perdita di tempo, esempi: n’ha vacabunneria u figghju! ‘ne ha di vagabondaggine il figlio’ (da vendere), è na vacabbunneria ‘è una perdita di tempo’.

Vacabbùnnu [s.m.] Vagabondo, fannullone, da cui vacabbunna ‘ragazza moderna’ che non ama molto fare i mestieri di casa.

Vacànte [agg.] 1 Vuoto, sgombro, participio presente di vacàre, varianti bacànte (poco usato) e mmacànte, esempi: u portafogliu vacante ‘il portafoglio vuoto’, jire mmacante ‘andare a vuoto’. [s.m.] 2 Taglio di carne relativa alla parte muscolare che sostiene le interiora degli animali, la pancia in altre parole.

Vacantùsu [agg.] Persona a cui non piace lavorare, che non si adopera granché, un po’ diversa dal vacabbunnu che invece manifesta una certa inclinazione ad evitare la fatica; cfr fatigature.

Vacàre [v.intr.] 1 Oziare, vagare da un luogo all’altro senza alcuna meta apparente, ma anche essere disoccupati o inoccupati per professione. 2 Scommettere, giocare, es.: chi cc’è vue vacare? ‘cosa ci vuoi scommettere?’.

Vaccàru [s.m.] 1 Bovaro, mandriano. 2 Persona rozza e ignorante.

Vacìle [s.f.] Bacinella, bacile.

Vacilénte [agg.] Digiuno, debole, smagrito per debolezza.

Vàculu [agg.] Digiuno, vuoto.

Vaddanàra [s.f.] La padella bucherellata per fare le caldarroste.

ddani [s.m.] Caldarroste, castagne arrostite, es.: (loc.) vaddani e vinu gustu finu ‘caldarroste e vino, gusto sopraffino’; vedi anche rusedda.

Vaddata [s.f.] Vallata, avvallamento tra due alture.

Vaddicùpa [s.f.] Località di campagna di Mesoraca in posizione sud-est rispetto al comune.

Vaddùne [s.m.] Condotta d’acqua usata per irrigare gli orti. L’acqua veniva presa all’altezza del vuddu chiamato Prisa, solo successivamente venne incanalata poco più a valle ai bordi del vuddu chiamato Maricieddu, passava dalla Piducchjusa, faceva il Direttu e Tirune basso (vedi Acquaru) e così via fino ad arrivare ai Casalini. Siccome a monte, zona Piducchjusa, molte donne ci facevano il bucato, a valle l’acqua arrivava di un colore putrido-imbarazzante; fu dismessa negli anni ’80.

Vadu [s.m.] Cancelletto tra due proprietà di campagna, ma anche il cancelletto per chiudere gli animali in un recinto.

Vaffammòcca [inter.] Termine impiegato come eufemismo per la parola ‘vaffanculo’; in realtà si tratta di un’altra volgarità e traduce l’italiano ‘vai a farlo in bocca’ (invece che in culo), es.: ma vaffammocca! ‘ma vai a cagare!’; variante addolcita affammòcca.

Vagnàre [v.tr. v.rifl.] Bagnare, inumidirsi.

Vagnaròla [s.f.] Sorta di tinozza, grossa bacinella utilizzata per lavarsi parti del corpo o rinfrescarsi; guarda anche vacile.

Vagnùelu [s.m.] Impacco, ossia applicazione di un panno, o di una garza, imbevuti d’acqua o di sostanze medicamentose; azione fatta su una parte del corpo a scopo terapeutico.

Vaja vaja [s.f.] Donna poco raffinata, grezza nei modi e approssimativa al lavoro, non molto in gamba.

Vajàna [s.f.] 1 Sberla, mazzata, esempi: nne vulerre vajane! ‘ne vorresti (meriteresti) di botte!’, (loc.) e vajane du maritu su passule e ficu, e vajane da mugghjere su zuccaru e mele ‘le botte del marito sono uva passa e fichi, le botte della moglie sono zucchero e miele’. 2 Baccello, indica il contenitore di un legume qualunque.

Vajanèdde [s.f.] Fagiolini, cornetti, Phaseolus vulgaris L.

Vajàzza [s.f.] 1 Baccante, peripatetica, donna dai non difficili costumi. 2 Serva, fantesca.

Vajìna [s.f.] Guaìna, custodia di cuoio, in particolare quella dell’ascia. Da notare che l’accento in dialetto si è conservato come in latino, mentre nell’italiano parlato si è pudicamente spostato sulla prima ‘a’.

Vammàce [s.f.] Cotone idrofilo per medicare, ovatta, bambagia, variante vammàcia.

Vammacédda [s.f.] Fastidiosa infezione del cavo orale che colpisce neonati e bimbi piccoli, fino a un anno circa, caratterizzata da macchie e patine biancastre che possono ricoprire tutto il cavo orale ed estendersi anche nell’esofago e nello stomaco; alcune donne anziane riferiscono che durasse 9 giorni: tre di nascita, tre di crescita e altri tre per scomparire; fino a non molto tempo fa era curata con un infuso di fiori di sambuco, es.: nu sfogu jancu intra vucca chi se facia pappule pappule ‘un’infezione bianca in bocca che si manifestava con piccole tumescenze’; guarda anche savucu; la malattia è conosciuta in italiano col nome di “mughetto” ed è causata dal fungo Candida albicans (C.P. Robin) Berkhout.

Vamparrùne [s.m.] Persona che si vanta molto, che millanta qualità o possibilità che non ha; cfr vatalanu.

Vampiàre [v.intr.pron.] Fiammeggiare, avere fiammate di calore, es.: me sentia vampiare davanti a iddu ‘mi sentivo fiammeggiare davanti a lui’.

Vampìli [s.m.] Fiamme snelle molto alte, lingue di fuoco.

Vancelìsta [s.m.f.] Evangelista, protestante, valdese, variante vangelista; vedi anche curtu.

Vancu [s.m.] Terreno agricolo di varia grandezza, terrazzato e normalmente sorretto da un muro di pietre a secco, usato anche il diminutivo vancarìeddu, es.: nu vancarieddu e fave ‘un banco di fave’.

Vanniàre [v.tr.] Cerimonia ufficiale di fidanzamento, quindi pubblicazioni con bando, bandire.

Vanniàtu [s.m.] Matrimonio civile.

Vantéra [s.f.] Grembiule con pettorina di stoffa grossolana, di rado in cuoio, di colore blu, usato soprattutto da mietitori, calzolai e stagnini.

Vantìera [s.f.] Vassoio per servire pasticcini, dolci o gelati; cfr guantiera.

Vantùepulu [agg.] Vanaglorioso, presuntuoso, borioso.

Vara [s.f.] Bara, cassa da morto.

Varchjìeri [s.m.] Località e rione di Mesoraca, i suoi confini sono il torrente Riaci a valle, Campizzi e Rina russa a monte.

Varcu [s.m.] 1 Gualchiera, ossia macchina installata nei mulini ad acqua impiegata per battere e affinare i tessuti, la follatura. 2 Barco, parco, luogo coltivato, frutteto, es.: (loc.) u tte vasta u sivu du varcu ‘non ti basta il grasso del parco’ (proverbio adoperato per sottolineare all’interlocutore che non si contenta mai; da notare che la parola sivu in questo caso è da intendersi civu ossia “cibo” e non il grasso degli animali, anche se in altre parti la parola varcu indica un recinto per gli animali).

Vardàru [s.m.] Località di campagna del mesorachese al confine col comune di Petilia, lo stesso termine indica un torrentello che vi scorre in mezzo; molto apprezzata l’acqua dell’omonima fontana.

Vardìeddu [s.m.] Cumulo, mucchio, di legna, panni, oggetti in genere, es.: nu vardieddu e nive ‘un accumulo di neve’.

Varra 1 [s.f.] 1 Barra, sbarra, in particolare quella in legno usata per serrare una porta.  [v.intr.] 2 Terza persona singolare condizionale presente del verbo valere, sincope di va(le)rra ‘varrebbe’.

Varrilàra [s.f.] Assi in legno fissati al muro allo scopo di sostenere i barili, porta-barili.

Varrilàre [s.f.] Luogo di montagna attiguo alle località chiamate Scifura e Muntanu; vedi anche Vergari.

Varrilàru [s.m.] Artigiano costruttore di barili e botti in legno.

Varrìle [s.m.] Barile, botticella, di capacità variabile, anche se il varrile propriamente detto è circa trenta litri; molto usato il diminutivo varrilicchju ‘barilotto’, esempi: (loc.) te va a capu cuemu nu varrile mienzu ‘ti gira la testa come un barile (riempito) a metà’  (si usa dire così quando l’interlocutore sta dicendo qualche cazzata), si po u varrile se po spusare ‘se regge il barile si può sposare’ (stima, diciamo grossolana, sulle potenzialità riproduttive di una ragazza; era un intercalare usato dai ragazzi quando vedevano una coetanea prendere l’acqua col barile).

Varrìna [s.f.] Piccolo trapano a mano.

Varròcchja [s.f.] Pustola, vescica, forte irritazione (con gonfiore) della cute.

Vartìcchja [s.f.] Minchia, pene.

Vartìcchju [s.m.] Fusaiolo, ossia rondella di legno per mantenere il filo avvolto al fuso.

Varva [s.f.] Barba, da cui varvùne ‘grossa barba’, ‘barba incolta’.

Varvìeri [s.m.] Barbiere, acconciatore, parrucchiere.

Vasàre [v.tr. v.rifl.rec.] Baciare, dare baci, baciarsi, esempi: i giuvenieddi e mo, scustumati, se vasanu duve se trovanu ‘i giovanotti di adesso, svergognati, si baciano dove si trovano’, (loc.) e cose da casa piale e vasale ‘le cose della casa prendile e baciale’ (perché le hai fatte con le tue mani e quindi hanno più valore, ma anche perché ce le hai a casa e non devi dare conto a nessuno).

Vasceddìnu [s.m.] Persona alla buona, fin troppo prona, che riesce a sopportare anche le corna, tant’è che sarebbe capace di ringraziare l’idraulico, in Svezia sarebbe un illuminato; il termine deriva da vasciu ‘basso’, es.: u vasceddinu è unu chi cumporta corna e mazze ‘il pusillanime è uno che sopporta corna e mazzate’.

Vasciàre [v.tr. v.intr.pron.] Abbassare, diminuire, ridurre, calarsi, chinarsi, esempi: vascia u gassu ‘abbassa il gas’, n’ame vasciare si vulimu passare ‘dobbiamo abbassarci se vogliamo passare’, vasciate e ucchja a ru fuecu ‘chinati e soffia sul fuoco’, (loc.) vascia ca vinni ‘abbassa che vendi’ (a volte per vendere la propria merce è necessario abbassare il prezzo).

Vasciarìeddu [agg.] Persona bassa di statura, nanetto.

Vasciòghe [s.f.] Rami bassi, variante vasciògne.

Vàsciu [agg. s.m.] Basso, poco profondo, di piccola statura, parte bassa di qualcosa, da cui vasciulìddu ‘in basso’, ‘bassetto’, esempi: c’è vasciu ‘c’è poco alto’, guarda vasciuliddu ‘guarda più giù’, è unu vasciuliddu ‘è uno bassetto’, (loc.) Diu te libera, di vasci caduta ‘Dio ti libera, dalle parti basse caduta’ (Dio ti protegge, dai luoghi alti, ma occorre comunque stare attenti perché si potrebbe cadere e farsi male seriamente anche quando i piedi non reggono o si inciampa in qualcosa).

Vasilicòi [s.m.] Basilico, Ocimum basilicum L.

Vastàre [v.intr.] Bastare, essere sufficiente, variante avastàre, es.: fatte vastare i sordi ‘fatti bastare i soldi’.

Vasu [s.m.] 1 Vaso, contenitore. 2 Bacio, da cui vasùne ‘bacione’.

Vatalànu [s.m. agg.] Persona inaffidabile, non di parola, che racconta frottole, es.: u vatalanu è nu vrodularu, assai parole e puecu fatti ‘il vatalanu è un brodolaro (molto brodo, poca carne, ossia persona inattendibile) molte parole poco fatti’; cfr barderellu.

Vate [v.intr.] Alla lettera imperativo del verbo andare, seconda persona singolare, paragoge di ‘vai!’, adoperato, con disappunto, quando si è contrari ad una certa cosa, es.: eh vate! ‘eh vai!’ (‘ma vattene a quel paese!’ oppure ‘ma per piacere!’ o ancora ‘no! Non sono d’accordo’).

Vatròva [avv.] Parola composta da va e trova, traduce l’espressione italiana ‘vai a vedere tu’, ovvero ‘chissà’, ‘mah’, esempi: vatrova duve è gghjuta a finire sorta ‘chissà dove è andata a finire tua sorella’, vatrova si ci’u pizzicu mo ‘mah, magari adesso lo becco’, vatrova mo duve l’aju misu ‘va a vedere tu dove l’avrò messo adesso’; guarda anche va.

Vattamànu [s.m.] Battimano, applauso.

Vattiàre [v.tr. v.intr.pron.] Battezzare, battezzarsi.

Vattìmpate [avv.] Sparisci è il termine italiano che più si avvicina; parola composta da va e attimpate, alla lettera ‘vai a buttarti da una rupe’.

Vattìre [v.tr. v.intr.] Battere, menare, bussare, variante vàttare, esempi: le vattire ccu na petra si u vue rumpare ‘devi batterlo con una pietra se vuoi romperlo’, vattale quattru scaffi ‘mollagli quattro schiaffi’, vatta a ra porta du garace e vida si c’è ‘bussa alla porta del garage e senti se c’è’.

Vattìsimu [s.m.] 1 Battesimo. 2 Epifania, ossia il battesimo di Gesù, es.: parta doppu u Vattisimu ‘parte dopo il Battesimo’.

Vàttitu [s.m.] Battito, colpo, es.: u vattitu du core ‘il battito del cuore’.

Vava [s.f.] 1 Bava, da cui vavàta ‘imputridita’. 2 Ombra, es.: a vava all’uecchju ‘il velo all’occhio’.

Vavàle [s.f.] Bavaglino, bavetta.

Vaviàre [v.intr.] 1 Sbavare, parlare con la bava in bocca o emettere bava dalla bocca. 2 Parlare a sproposito, inopportunamente.

Vavùsu [s.m.] 1 Fungo della famiglia dei porcini ma meno prelibato (per chi non sa apprezzarlo), cresce prevalentemente nei pini e presenta come caratteristica principale la cuticola molto viscida e vischiosa, Boletus luteus L. [agg.] 2 Bavoso, ma anche persona che parla tanto.

Ve [pron.pers.c.] Pronome personale ‘ve’ (ve) combinato col pronome ‘le’ (e), è corretto scrivere v’e, esempi: v’e ppia iddu ‘ve le prende lui’, v’e tiegnu ‘ve le tengo’, v’è guardu iu i guagliuni ‘ve li controllo io i ragazzi’ (notare che in questo esempio il pronome ‘e’ assume anche le veci del pronome maschile ‘li’, forse caratteristica locale); raddoppiamento sintattico vv’e (o bb’e) nel caso sia preceduto dall’avverbio ‘non’ (u), dalla congiunzione semplice ‘e’ (e) o dalla preposizione semplice ‘a’ (a), esempi: u bb’e ffa truvare ‘non ve le fa trovare’, u vv’e spenniti tutti i sordi ‘non ve li spendete tutti i soldi’, e vv’e dduna patritta?! ‘e ve li dà tuo papà?!’, a vv’e gghjucare siti stati bueni ‘a ve li giocare siete stati buoni’. [pron.pers.] 2 Pronome personale ‘vi’ (ve), come in italiano, esempi: ve mpriestu i fierri iu ‘vi impresto i ferri io’, ve tiegnu ‘vi tengo’, ve sacciu viecchji ‘vi so vecchi’ (vi conosco bene, da lungo tempo); anche in posizione enclitica, es.: accuntentative ppe mo ‘accontentatevi per adesso’.

Vecchja [agg.] Vecchia, anziana, da cui vecchjarèdda ‘vecchietta’, esempi: (loc.) cu e curucucù sugnu vecchja e nu bbalu cchjù ‘cu e cucurucù sono vecchia e non valgo più’ (intercalare scherzoso, con una nota amara, che una donna anziana dice quando qualcuno le fa notare di essere avanti con l’età), (A) cuemu si vecchja! (B) sapimu chin’è a vecchja, ce vanu cchjù aguni ca piecure (A) ‘come sei vecchia!’ (B) ‘sappiamo chi è la vecchia, ci vanno più agnelli che pecore’ (nell’aldilà) (risposta lapidaria da parte di un’anziana quando anticamente capitava che un bambino (A) le facesse notare l’età; anche se di rado pure oggi accade di sentire questa risposta, nonostante siano diventati più educati i bambini e meno megere le anziane). Da evidenziare la cosiddetta luce vecchja ‘luce vecchia’: per alcuni decenni nelle case c’erano due impianti, quello di stato e quello locale; poi negli anni ‘60 arrivò l’Enel e scomparve questa fonte di energia pulita; negli ultimi tempi si sta parlando di ripristinarla, nel frattempo è meta di tour turistici del paese.

Vecchjìzza [s.f.] Vecchiezza, anzianità, es.: (loc.) puttana e carrozza, ha fattu bbona gioventù e mala veccchjizza ‘puttana e carrozza, ha fatto bella gioventù e cattiva vecchiaia’ (da giovane hai fatto la troia e ti sei divertita mentre da vecchia nessuno ti guarda), esiste una seconda versione, (loc.) chine la gioventù la mina pazza fa na mala vecchjizza ‘chi la gioventù la conduce pazza fa una cattiva vecchiaia’ (da giovani è facile pensare solo a divertirsi, è saggio risparmiare per garantirsi una vecchaia serena e dignitosa.

Velu [s.m.] 1 Velo, drappo sottile di tessuto. 2 Offuscamento dovuto a nebbia o a motivi fisiologici dell’occhio, guarda anche vava. 3 Diaframma parietale suino usato per avvolgere i capeccueddi.

Vena [s.f.] 1 Avena, Avena sativa L. [v.intr.] 2 Indicativo presente terza persona singolare del verbo venire.

Vènare [v.intr.] Venire, arrivare, esempi: ame venare prima o poi ‘dobbiamo venire prima o poi’, su benuti? ‘sono arrivati?’; la forma italiana è più usata.

Vènnari [s.m.] Venerdì, quinto giorno della settimana, esempi: (loc.) e vennari e de luni se mutanu i cazzuni ‘di venerdì e di lunedì si cambiano i cazzoni’ (un tempo la maggior parte delle persone poteva permettersi di cambiare vestiti solo una volta alla settimana, ma si era poco intelligenti se questo avveniva il venerdì poiché sabato si lavora(va) o al lunedì quando invece inizia(va) la settimana lavorativa), (loc.) è natu e vennari (sottinteso, e lapidi chi manna chiddu, cogghjanu) ‘è nato di venerdì (sottinteso, le maledizioni che manda quello, colgono)’ (si credeva che il venerdì fosse un giorno sgraziato, che portasse sfiga; viceversa altre fonti riferiscono il contrario, ovvero ‘essere una persona decisa’), (loc.) e vennari e de marti ne se spusanu ne se parta ‘di venerdì e di martedì né ci si sposa e né si parte’ (per capire perché non ci si doveva sposare di venerdì vedi la voce cazzune, mentre rimane dubbio capire perché non si poteva partire di martedì).

Ventàgghju [s.m.] Ventaglio, soffietto per il fuoco.

Ventàre [v.intr.] Scoprire, mettere a nudo, comprendere, intuire, es.: mo chi le ventati sti quattru sordi, te spienni tutti ‘adesso che li hai scoperti questi quattro soldi, te li spendi tutti’.

Ventuliàre [v.tr.] Ventilare, far prendere aria, sventolare, es.: ventuliace a ru fuecu ‘sventolaci al fuoco’.

Ventumàre [v.tr.] Nominare il nome di qualcuno, menzionare, ricordare, esempi: u ru ventuma mmai a ru patriu ‘non lo menziona (ricorda) mai suo suocero’, (loc.) u bene si u sse perda u sse ventuma ‘il bene se non si perde non si ricorda’ (sarebbe cosa giusta apprezzare i pregi delle persone quando ci sono e non quando le si perde).

Ventumàta [s.f.] Nomea, reputazione, es.: li cc’è rimasta a ventumata ‘gli ci è rimasta la nomea’ (nominanza).

Ventunuforìni [s.m.] Tipo di mattone impiegato per i muri esterni delle case.

Verànne [s.f.] Letteralmente ‘via Grande’, vecchio nome dell’attuale e suggestiva via Magna Grecia, inizia da piazza De Grazia e finisce all’altrettanto suggestiva chiesa del Ritiro; probabilmente (insieme al Chjanu e Laura e Vico Luna) una delle vie più carine del centro storico.

Veranne

Vergàri [s.m.] Il corso d’acqua più importante che attraversa Mesoraca, in paese chiamata Jumara, prende origine dal ruscello Luta, quest’ultimo si origina da numerosi ruscelli vicini al villaggio Fratta; dal Passo delle Barilare (Varrilare), dopo aver ricevuto altri piccoli affluenti, prende il nome di Vergari (FS). Il fiume nel suo percorso forma numerosi piccoli bacini naturali, dovuti all’azione erosiva dell’acqua e alla conformazione del terreno, chiamati in mesorachese vuddi; molti di questi invasi durante il caldo estivo sono usati come piscine naturali e richiamano ragazzi da tutto il paese (Filippa inclusa) e, da alcuni anni gruppi di turisti; fino a all’inizio degli anni ‘90 la popolazione che li frequentava era quasi esclusivamente maschile. Da aprile 2023, na bona nutiżża, il Parco Fluviale del Vergari è diventato Riserva Naturale Regionale del Vergari; l’istituzione della Riserva mette in risalto l’importanza di preservare un ecosistema ricco di biodiversità, paesaggi suggestivi e storia; guarda anche vuddu e Jumara.

Vermeraziòne [s.f.] Fifa suprema, grande spavento.

Vermicìeddu [s.m.] 1 Vermicello, piccolo verme. [s.m.pl.] 2 Il plurale vermicìeddi identifica l’italiano ‘vermicelli’, pasta identica agli spaghetti ma di sezione maggiore.

Verminùsu [agg.] Verdura, frutta o funghi che hanno molti vermi, ovvero sono andati a male, sono guasti.

Vèrmitu [s.m.] Vermouth, es.: ce mintu nu pocu e vermitu a ru pane e Spagna ‘ci metto un po’ di vermouth al pan di Spagna’.

Vermitùru [s.m.] Grossa chiocciola, Cantareus apertus B., dal guscio verde scuro; da evidenziare il vermituru e guddu ‘lumaca priva di conchiglia’, vedi anche Santa Lucia; il termine guddu nel nord della Calabria denota goffaggine e stupidità riferito ad animale senza corna; infatti, le lumache in questione, appartengono alla famiglia delle Limacidae ed alcune specie sono senza corna, cioè senza tentacoli; il termine deriverebbe quindi dal greco KÒLOS mutilato, reciso (DO); vedi anche maruca.

Vernàta [s.f.] Stagione invernale, invernata, es.: tutta a vernata fermi simu stati ccu ra fatiga ‘siamo stati fermi tutto l’inverno con il lavoro’.

Vernìticu [agg.] Invernale, è usato per riferire di frutta o verdura che matura in inverno, es.: nu pede e pira vernitiche ‘un albero di pero vernino’.

Verre [s.m.] Verro, porco non castrato, quindi adatto alla riproduzione.

Verriàre [v.intr.pron.] Nel maschio, essere eccitati sessualmente; cfr mpistunare e arrittare.

Vèrvaru [s.m.] Preoccupazione, pensiero, tormento, pulce nell’orecchio, esempi: avia u vervaru s’u me chjamave ‘avrei avuto il pensiero se non mi chiamavi’ vervaru de Ddiu ‘preoccupazione di Dio’ (preghiera per non patire le pene dell’inferno).

Ververùsa [agg.] Che ha pensiero, che si preoccupa.

Vespàru [s.m.] Vespaio, favo di vespe.

Vestitùra [s.f.] I vestiti, gli abiti.

Vetàre [v.tr.] Vietare, proibire, interdire, impedire ad altra persona di compiere qualcosa, variante vétare, esempi: vetalilu! ‘vietaglielo!’ è vetatu ‘è proibito’. 

Vette [s.m.] 1 Bastone, randello, palo, plurale vìettura, es. l’ha assicutatu ccu nu vette ‘lo ha rincorso con un bastone’. 2 Membro, verga, ovviamente considerevole.

Vettàta [s.f.] Botta, bastonata, esempi: jettale quattru vettate ‘gettagli (dagli) quattro bastonate’ (botte), dalle na vettata (dagli una botta, ma anche ‘trombala’).

Vi [pron.pers.] 1 Pronome personale ‘vi’ (vi),  variante vvi (raddoppiamento sintattico) quando preceduto dall’avverbio ‘non’ (u) o dalla congiunzione ‘e’ (e) o dalla preposizione semplice ‘a’ (a),  esempi: vi nne jati? ‘ve ne andate?’, u vvi nne frica nente ‘non ve ne frega niente’, a vvi nne jire sempre pronti ‘ad andarvene sempre pronti’. [v.tr.] 2 Apocope di vidi ‘vedi’, indicativo presente seconda persona singolare del verbo vedere, usato più che altro come avverbio, es.: u vi dduv’è ‘lo vedi dov’è’ (eccolo dov’è); non di rado usato anche come imperativo, es.: vi ‘guarda’.

Via [v.tr. l.avv.] Probabile prima persona singolare presente congiuntivo del verbo vidìre (vedere) “veda”, sincope della parola vi(d)a; il termine è molto adoperato come parte di una (contorta) locuzione avverbiale ih chi te via ‘ih che (io) ti veda’ (che veda te, che io possa vederti), spesso accorciata in chi te via o semplicemente te via; è la parte iniziale di tutte le lapidi, specie quando quest’ultime sono rivolte ad una persona di sesso femminile, esempi: ih chi te via u t’attimpi ‘possa vederti che cadi da un rupe’ (possa vederti cadere da una rupe), ih chi te via u scatti ‘possa io vederti che scoppi’ (possa vederti scoppiare); l’espressione ih chi te via e le forme accorciate, sono anche adoperate come intercalare scherzoso, specie dalle comari, quando l’interlocutore la dice (o l’ha fatta) grossa; guarda anche viennu.

Vianòva [s.f.] Alla lettera ‘via nuova, storicamente a Mesoraca indica via Nazionale, costruita dopo l’unità d’Italia.

Viaredda [s.f.] Sentiero, viuzza, cammino.

Viàtu [agg. s.m.] Beato, benedetto, esempi: (loc.) oje in figura, domani in sipultura, viatu chine ppe l’anima se precura ‘oggi vivo, domani morto, beato chi pensa alla propria anima’, (loc.) viatu chine fa u pane e amaru chine aspetta a pitta ‘beato chi fa il pane e amareggiato chi aspetta la pitta’ (la speranza del povero che aspetta la pitta), (loc.) a vecchjaia e na carogna, viatu chine ci arriva ‘la vecchiaia è una carogna beato chi ci arriva’ (ne circola un’altra versione in cui al posto di beato c’è la parola amaru), (loc.) viatu chine ve vida e amaru chine v’aspetta ‘beato chi vi vede e amaro chi v’aspetta’.

Viavì [inter.] È l’equivalente italiano di ‘no’, ‘non credo’, variante biavì, usato come risposta ad una domanda, esempi: A nn’e truvasti funci? B viavì A ‘ne hai trovato funghi?’ B ‘no’, A ce vai a ra partita? B viavì, e chine l’ha u tiempu A ‘ci vai alla partita?’ B ‘non credo, e chi ce l’ha il tempo’; guarda anche via.

Via-vìa [avv.] Locuzione avverbiale, alla lettera ‘via-via’ (strada-strada) è sempre accompagnato dall’articolo a (la), equivalente all’italiano ‘lungo la strada’ o ‘per la strada’, esempi: sugnu a via-via ‘sono lungo la strada’, u truevi a via-via ‘lo trovi strada facendo’.

Vicàle [s.f.] Boccale, caraffa, brocca.

Viddìcu [s.m.] Ombelico, es.: a mammana chjudia u viddicu ccu na lazza ‘la mammana chiudeva l’ombelico con una lazza‘.

Vidìre [v.tr. v.rifl.] Vedere, mostrare, guardare, controllare, incontrarsi, varianti vìdare e bbidìre, non è infrequente udire ancora qualche anziano che usa la variante védare, esempi: (loc.) chiddu cu bbidi all’agghju u tti l’aspettare a ra cipudda ‘quello che non vedi all’aglio, non aspettartelo alla cipolla’ (se il raccolto è andato male per l’aglio è inutile che speri nelle cipolle – vale per ogni coppia di verdura o anche due situazioni), (loc.) a faccia c’ud è biduta è ra cchjù cara tenuta ‘la faccia che non è vista è la più cara tenuta’ (poiché più desiderata, vale solo per le donne), (loc.) quantu su bieddi l’amuri vicini ca si u re bbidi e sienti cantari ‘quanto sono belli gli amori vicini, che se non li vedi li senti cantare’ (gli amori nello stesso rione), vida si cc’è ‘vedi se c’è’, mi cce fai vidire? ‘mi ci mostri?’, va vida duve cazzu e jire ‘va (e) guarda dove cazzo devi andare’ (vai a quel paese, oppure a fare in culo), vida si fatiganu ‘controlla se lavorano’, ne vidimu a re sie? ‘ci vediamo alle sei?’, aje vedare duve l’aju misu ‘debbo guardare dove l’ho messo’, (loc.) l’amicu te po bbidare quannu hai ca quannu ud hai u tte po bbidare mmai ‘l’amico ti può vedere quando hai che quando non hai non ti può vedere mai’ (i finti amici si vedono finché gli servi poi spariscono), u tti nne vidi bene ‘non te ne vedi bene’ (ovvero una certa cosa, o situazione, non te la godrai bene, non ne avrai pieni benefici, non ne usufruirai compiutamente perché sarà corrotta da un’altra variabile, infatti codesta locuzione è anche adoperata come lapida:  (ih chi te viennu) ppennu ti nne vidi bene ‘(possa vederti) per non te ne vedi bene’ ovvero ‘ti auguro di non godertela’).

Vìecchju [agg.] 1 Vecchio, anziano, variante bìecchju, da cui vecchjarìeddu ‘vecchietto’, esempi: (loc.) viecchju chi vigghja e giuvane chi dorma, mala fine fanu ‘vecchio che veglia e giovane che dorme, cattiva fine fanno’ (meglio adattarsi alle cose della vita quando si è giovani, cosicché quando si sarà vecchi, e abituati, non peseranno e si potrà invecchiare con più serenità), (loc.) viernu è quannu chiova e viecchju quannu mora ‘inverno è quando piove e vecchio quando muore’ (d’inverno piove perché deve piovere, ma il vecchio muore quando arriva la sua ora), viecchji su ri panni ‘vecchi sono i panni’ (intercalare usato prevalentemente da persone anziane quando desiderano sottolineare all’interlocutore, talora anche con un po’ di stizza, che vecchi saranno gli abiti che si indossano, ma non la testa); cfr catamparu. 2 [s.m.] Vecchio, obsoleto.

Vìennu [v.tr. l.avv.] Probabile gerundio del verbo vidìre (vedere) “vedendo”, sincope della parola vi(di)ennu; alla lettera (viennu), è invece il passato remoto terza persona plurale indicativo del verbo venire “vennero”; il termine è molto adoperato come parte di una (contorta) locuzione avverbiale ih chi te viennu ‘ih che ti vedendo’ (vedendo che ti, che io possa vederti), spesso accorciata in chi te viennu o semplicemente te viennu; è la parte iniziale di tutte le lapidi, specie quando quest’ultime sono rivolte ad una persona di sesso maschile, esempi: ih chi te viennu u cianci piducchji ‘possa vederti piangere pidocchi’, ih chi te viennu u mueri mo ‘possa io vederti morire adesso’; non è da scartare l’ipotesi di derivare il termine dalla terza persona plurale congiuntivo presente “vedano/veggano”; guarda anche via.

Vìentu [s.m.] Vento, da cui ventarìeddu ‘venticello’, es.: (loc.) vientu e vucca ‘vento di bocca’ (parole che si dicono, le frottole e le malelingue lasciano il tempo che trovano).

Vìentula [s.f.] Ventola, elica, es.: pari na vientula ‘sembri una ventola’ (sei molto veloce).

Vìernu [s.m.] Inverno, stagione invernale, variante bìernu, es.: (loc.) agustu fa e littare, settembre se lleja, priparative i zinzuli ca u viernu sinne vena ‘agosto fa le lettere, settembre se le legge, preparatevi gli stracci che l’inverno se ne viene’ (l’inverno è alle porte, fare il cambio di guardaroba – chi poteva permetterselo), (loc.) l’estate sicca sierpi, ccu ru viernu ancidde paranu ‘l’estate metti a seccare serpi, con l’inverno anguille sembrano’ (se d’estate si hanno prodotti della terra in abbondanza, allora è bene conservarli per l’inverno che diventeranno preziosi).

Vìertula [s.f.] Bisaccia, sacca doppia che si porta sopra una spalla o di traverso su asini o cavalli, in modo da bilanciare i due pesi, esempi: (loc.) a troppa cumpidienza scianca ra viertula ‘la troppa confidenza strappa la bisaccia’ (dare troppa confidenza si finisce col rimetterci), paru na viertula e chidde sciunnute ‘sembro una bisaccia di quelle sciolte’ (modo di dire per significare che si è malandati).

Vìeru [agg. s.m.] Vero, autentico, sincero, varianti veru, bberu, bbìeru, esempi: u vieru (o veru) latru si tu ‘il vero ladro sei tu’, ud è veru ‘non è vero’, ud è u vieru ‘non è il vero’, u ssi bberu ‘non sei sincero’.

Vìerzu [avv.] Verso, variante verzu.

Vìettura [s.f.pl.] Vedi vette.

Vigghjànte [agg.] Sveglio, che non sta dormendo; il termine è però adoperato solo per indicare lo stato di veglia in un momento in cui si dovrebbe dormire, e non nel senso di essere vigili e attenti, es.: fin’a cc’u ssi arrivatu sugnu rimasta vigghjante ‘fino a che non sei arrivato sono rimasta sveglia’.

Vigghjàre [v.intr.] Vegliare, restare svegli, vigilare.

Vignànu [s.m.] Pianerottolo esterno, terrazzino, ovvero tipico ingresso esterno delle vecchie case di Mesoraca, costituito da pochi (o più) gradini, un pianerottolo (a volte condiviso per due appartamenti) e quindi la porta di casa.

Vignanu

Vignicédda [s.f.] Piccolo rione sorto a meno di un centinaio di metri dal ponte sul Vergari, a valle si congiunge con la zona denominata Tre canali, mentre a monte si congiunge con la salita di Biedduvidire; il termine indica anche l’omonima fontana.

Vignicedda

Vijìle [s.f.] Vigilia, variante vijìlia.

Vilànza [s.f.] Bilancia, stadera, es.: (loc.) pane e vilanza u nn’inchja panza ‘pane di bilancia non riempie pancia’ (il pane non casareccio fa più gola ma è meno sostanzioso).

Vilanzùne [s.m.] 1 Persona alta e poco articolata. 2 Stadera, bilancia monobraccio.

Vile [agg.] Poco caro, che costa poco, es.: u ssu vili i pierzichi st’annu ‘non sono economiche le pesche quest’anno’.

Vilìenu [s.m.] Veleno, sostanza tossica, esempi: u manciare ppe mie è cuemu nu velienu ‘il cibo per me è come un veleno’ (una droga), (lap.) te vorra fare vilienu! ‘volesse farsi veleno’ (ciò che hai mangiato o fatto); vedi anche la variante mmelienu.

Vilìenza [s.f.] Abbattimento, prostrazione, spossatezza, sfinimento.

Villètta [s.f.] 1 L’attuale Largo Don Bernardo Grano, il giardino pubblico antistante il palazzo del comune, principale punto di ritrovo del paese; poco tempo fa è sorta una nuova villetta a Villetta da Filippa piccolo parco, infestato da maruche, sorto all’inizio della strada che porta al chjanu e Mantella. 2 Villa comunale, giardini pubblici.

Vinàru [s.m.] Chi possiede una vigna o fa il venditore di vino, es.: chine duna vinu a ru vinaru è chjamatu curnutu volontaru ‘chi da vino al vinaio è chiamato cornuto volontario’ (bisogna essere generosi con chi ha necessità).

Vincìre [v.tr.] Vincere, battere, sconfiggere, variante vìnciare.

Vinèdda [s.f.] Vicolo, viuzza, viottolo, es.: jire vinedde vinedde ‘andare viette viette’; in passato il termine designava la strada interna di Mesoraca.

Vinicùettu [s.m.] Alla lettera ‘vino cotto’, sciroppo molto buono usato per inzupparci delle ciambelle fatte durante il periodo natalizio (crustuli) o da aggiungere alla neve fresca (suerubetta), come ingrediente per altri dolci natalizi (vedi tardiddi e cumpettata), si adatta bene anche nel sanguinaccio (sancieri). Non si tratta di vino cotto, bensì di mosto cotto, si prepara mettendo in ebollizione lenta il mosto, fino a quando non si sia ridotto ad un quarto del totale, altre fonti riferiscono ad un terzo; aggiungendo acqua e ghiaccio è un ottimo dissetante.

Vinnimàre [v.tr. v.intr.] Vendemmiare, fare la vendemmia, raccolta dell’uva per fare il vino, esempi: l’uva è pronta e se po vinnimare ‘l’uva è pronta e si può vendemmiare’, è tiempu e vinnimare ‘è tempo di vendemmiare’.

Vinnìre [v.tr.] Vendere, cedere, variante vìnnare, esempi: (loc.) u vinnare te mmustra l’accattare e aru vicinu cumu vidi fare ‘il vendere ti mostra come comprare e il vicino come lo vedi fare’, carne vinnuta ‘carne venduta’ (nel linguaggio della malavita sottintende una persona dello Stato, usato anche come sinonimo di sbirro).

Vinnitìzzu [agg.] Commerciale, ordinario, scadente, ovvero merce industriale, non artigianale e quindi di scarso valore.

Vinti [agg.num.] Il numero venti.

Vinu [s.m.] Vino, prova definitiva dell’esistenza dell’Onnipotente, quando non si esagera e si beve con intelligenza, viceversa può diventare la prova dell’esistenza di un demone estremamente insidioso, es.: (loc.) vinu amaru tenalu caru ‘vino amaro tienilo caro’ (quando il vino è amaro vuol dire che si conserverà bene).

Viòla [s.f.] Minchia, pene, es.: u mme friculiare a viola ‘non molestarmi il cazzo’ (non rompermi il cazzo); in passato, mezzo secolo fa circa, col termine ‘viola’ si indicava una persona ben precisa, ovvero una prostituta, es.: è gghjutu u friculia a viola ‘è andato a stuzzicare la viola’ (è andato a puttane).

Vìpara [s.f.] Vipera comune, Vipera aspis L., la specie più diffusa dalle nostre parti.

Virchjàre [v.tr.] L’accoppiamento tra i bovini.

Virdàcchja [s.f.] Sorta di fico, altrove con lo stesso termine si indica la susina.

Virde [s.m.] Verde, il colore verde, es.: virde cuemu nu faitanu ‘verde come un ramarro’.

Virdèdda [s.f.] Il nome delle lumache della specie Cantareus apertus B. così come le chiamano nel resto del Marchesato, a Mesoraca sono meglio conosciute con vermituru.

Vìrdule [s.m.] Trapano a mano, usato dagli artigiani del legno e più grande della varrina.

Virga [s.f.] Verga, frusta, ma anche la pianta Salix viminalis L. (vimini), es.: (lap.) te viennu u niesci pazzu cuemu a piecura e virga ‘possa vederti impazzire come la pecora che (mangia) vimini’ (corteccia e foglie di questa pianta contengono glicoside salicina, che è una sostanza tossica); guarda anche Vergari.

Viri viri [inter.] Esclamazione usata per indicare gli occhi di una persona che si sta addormentando, es.: uecchji viri viri ‘occhi piccolini’ (che si stanno chiudendo).

Viscìgghja [s.f.] In molte parti della Calabria indica una giovane quercia, a Mesoraca oltre ad un giovane carigghju spesso indica i rami bassi del castagno; termine “importato” dalla vicina Petronà, infatti il corrispettivo mesorachese è falogna.

Visci visci [inter.] Visci visci, richiamo per gatti per farli avvicinare, viceversa visciddà! è impiegato per allontanarli, scacciarli; sia il  richiamo che l’ordine non sono efficaci con tutti i gatti, funzionano solo con i felini che hanno avuto modo di apprenderli, es.: (filastrocca triviale, prima versione) visci viscedda mammata e bedda patritta puru e nu cuernu aru culu ‘gatta gattarella tua mamma è bella e tuo papà pure ed un corno al culo’; (seconda versione) visci viscellu, patritta è bellu, mammata puru e nu cavuce aru culu ‘gatto gattarello tuo papà è bello tua mamma pure ed un calcio in culo’.

Visciùettula [s.f.] 1 Ragazzina vispa e monella. 2 Ragazza o donna piccola di statura. 3 Ragazza o donna inaffidabile, che non sa mantenere i segreti. 4 Trappola per topi, termine usato prevalentemente a Petilia.

Viscògna [s.f.] 1 Vischio quercino Loranthus europaeus Jacq. con bacche gialle, facilmente confuso con un suo parente Viscum album L. con bacche bianche; infatti, sono entrambi degli arbusti emi-parassiti diffusi nel territorio, si somigliano e producono bacche appiccicose. Sono gli uccelli a diffonderne i semi, i quali germogliano solo se sono passati dall’intestino di qualche pennuto, che defecando trasporta i semi sui rami di alberi con corteccia sviluppata come querce o castagni (Wiki). 2 Piccole querce, polloni di quercia, guarda anche viscigghja.

Viscùettu [s.m.] Pan biscotto a forma di ciambella (vedi gucceddatu) cotta a metà, poi spaccata longitudinalmente tramite una forchetta e infornato nuovamente. Il risultato sono due semi-ciambelle durissime, ottime da mangiare con l’insalata di pomodori o condite con olio, aceto e origano fresco.

Viscuvàtu [s.m.] Vescovado o vescovato, ufficio di vescovo, es.: (loc.) matrimueni e viscuvati du cielu su distinati ‘matrimoni e vescovati dal cielo sono destinati’ (altro proverbio fatalista e rassegnato, di dubbia utilità odierna).

scuvu [s.m.] Vescovo, vicario.

Visione [s.f.] Faccia, viso, es.: te cammiu a visione ‘ti cambio i connotati’.

Vissìca [s.f.] Vescica, l’organo dove si raccoglie la pipì nell’uomo e negli animali, es: quannu spacchi u puercu a prima cosa chi fai ucchji a vissica ‘quando sventri il maiale la prima cosa che fai gonfi la vescica’ 2 Pallocino gonfiabile, es.: (loc.) u nne cuntare vissiche ppe lunterne ‘non ne raccontare palloncini per lanterne’ (non raccontarmi bugie, quello che dici sono tutte fanfaronate; proverbio originale mesorachese).

Vita [s.f.] 1 Vite, quella che si avvita. 2 Vita, esistenza, persona.

Vitìeddu [s.m.] Vitello, Bos taurus L., femminile vitèdda e viteddùzzu ‘vitellino’.

Vitràru [s.m.] Vetraio, persona quindi che vende, lavora e applica vetri, sia come attività in proprio che come dipendente. 

Vitriàre [v.intr.] Come la visione attraverso un vetro, ovvero quando la vista diventa come se si guardasse attraverso dei vetri non perfetti o bagnati; questo fenomeno si manifesta quando si mantiene l’attenzione visiva per un prolungato periodo di tempo, come ad esempio quando si cercano funghi e non se ne trovano, es.: me vitrianu l’uecchji ‘mi vetreggiano gli occhi’ (meglio non si può tradurre, non c’è un termine corrispettivo in italiano).

Vitru [s.m.] Vetro, cristallo.

Vitta [s.f.] Segno, livido, lasciato da uno schiaffone, da una botta o da una scudisciata.

Vìttita [s.f.] Bibita, bevuta, termine impiegato nel gioco della passatella, meglio noto come patrune e sutta.

Vittoriànu [s.m.] Località di campagna di Mesoraca in posizione est rispetto al comune.

Vittu [s.m.] Provvista, rifornimento, es.: u vittu e l’uegghju ‘la scorta dell’olio’ (d’oliva, in genere per il fabbisogno annuo di una famiglia); accezione non presente nell’italiano.

Viverùne [s.m.] Letteralmente beverone, ovvero brodaglia di origine alimentare (cottura di cibi) che si dà ai maiali.

Vi-vi [avv.] Appena appena, piano piano, esempi: vi vi u l’abbuccare ‘attento attento non rovesciarlo’, vi vi mi nne vaju ‘quasi quasi me ne vado’.

Vivìa [s.f.] 1 L’uccello pavoncella Vanellus vanellus L. [v.tr.] 2 Imperfetto indicativo prima persona singolare di vivire.

Vivìre [v.tr.] 1 Bere, sorbire, tracannare, variante vìvare e di rado bivìre, esempi: cchi bbe viviti? ‘cosa vi bevete?’, me fazzu na vivuta ‘mi faccio una bevuta’, (loc.) manciati e biviti ca sordi u nne viditi ‘mangiate e bevete che soldi non ne vedrete’ (accontentati di quel che c’è adesso, che probabilmente non ci sarà niente dopo), (loc.) l’acqua cu tt’a pue vivire ti cci’azziccare ppe forza ‘l’acqua che non ti puoi bere te la bevi a canna per forza’ (quello che non vuoi poi ti succede), (loc.) l’acqua vivuta a matina è na bona medicina ‘l’acqua bevuta al mattino è una buona medicina’, (loc.) facimu sciacqua Rosa e viva Gnesa! ‘facciamo sciacqua Rosa e bevi Agnese! (intercalare per dire ‘stasera scialiamo alla grande’). [v.intr.] 2 Vivere, campare, variante vìvare, esempi: è ancora vivu nannuta? ‘è ancora vivo tuo nonno?’, e finitu e vivare si vai ancora a ra jumara ‘hai finito di vivere se vai ancora al fiume’.

Vivitùre [s.m.] Bevitore, ubriacone, alcolizzato.

Vivùta [s.f.] Bevuta p.p. di vivire, ossia riunione conviviale tra amici ove si consumano buone quantità di vino o altri alcolici, es.: chi vivuta chi n’amu fattu ‘che bevuta che ci siamo fatti’.

Vizza [s.f.] Veccia, pianta leguminosa parente stretta della fava, usata come foraggio, Vicia sepium L.

Viżżu [s.m.] Vizio, capriccio, vezzo, esempi: nn’ha mali viżżi ‘ne ha di cattive abitudini’ (ha un sacco di vizi), u viżżu e fumare ‘il vizio di fumare’, (loc.) viżżu e natura finu a ra morte dura ‘vizio di natura fino alla morte dura’ (certe cose te le porti fino alla morte), (loc.) nn’hai mali viżżi, nn’hai cchjù tu c’a mula du papa ‘nei hai di brutti vizi (a voglia), ne hai più tu che la mula del papa’.

Voi [s.m.] Bue, variante vue, Bos taurus L., esempi: (loc.) a vacca c’u mancia ccu ru voi mancia o prima o poi ‘la mucca che non mangia con il bue mangia o prima o poi’ (la moglie che non mangia con il marito vuol dire che ha già mangiato, o mangerà dopo), tiegnu na fame cuemu nu lupu chi me mancerra nu vue cu tutte e corna ‘ho una fame come un lupo che mi mangerei un bue con tutte le corna’ (persona decisamente affamata), u voi ppe re e corna e l’uemu ppe re parole ‘il bue per le corna e l’uomo per le parole’ (ogni essere si riconosce, e si convince, da un altro per le caratteristiche che lo contraddistinguono; proverbio diffuso in tutta Italia); guarda anche vue. 

Vòmmaru [s.m.] Vomere, organo principale dell’aratro.

Vommicàre [v.tr.] Vomitare, rimettere, variante vuemmicàre.

Vopa [s.f.] 1 Pesce dalle carni non pregiatissime, ma dal ricco contenuto proteico, conosciuto col nome comune di ‘boga’ e scientificamente con Boops boops L. 2 Budello cieco di maiale ripieno di interiora dello stesso; di solito, questo salame per tradizione si consumava nei giorni di carnevale.

Vota [s.f.] 1 Volta, turno, circostanza, esempi: gira e vota ‘gira e rigira’, u tiempu e na vota ‘il tempo di una volta’, ti l’aju dittu milli vote ‘te l’ho detto mille volte’, vivatilu tuttu a nna vota ‘bevilo tutto d’un fiato’, (loc.) na vota se frica ra vecchja ‘una volta si fotte la vecchia’ (alle persone con esperienza li puoi fregare solo una volta), (loc.) c’era nna vota Peppe Cota, chi se manciau nu lardu a nna vota ‘c’era una volta Peppe Cota, che si mangio un lardo tutto d’un botto’ (filastrocca che si racconta ai bambini, senza grande significato, chissà poi chi fosse questo Peppe.),  (loc.) u no è nna vota e u sì è ppe sempre ‘il no è una volta, il sì è per sempre’ (se dici no ti togli l’impiccio subito, ma se dici sì non ti togli di dosso più la persona a cui hai fatto la promessa). 2 Letto del fiume e per estensione le zone pianeggianti accanto, ossia le sponde fluviali in pianura.

Votaccà [inter.] Si dice ai quadrupedi per farli girare, alla lettera ‘gira qua’.

Vozza [s.m.] Gozzo, ipertiroidismo, e per estensione protuberanza, ma anche l’ingluvie degli uccelli, in particolare quello della gallina, esempi: (loc.) a gaddina chi camina se ricogghja cu a vozza chjina ‘la gallina che cammina ritorna col gozzo pieno’ (chi si muove raccoglie frutti), (loc.) chine te via e chine te voza ccu na guaddara e na vozza ‘chi ti guarda e chi ti vorrebbe con un’ernia (inguinale) e un ipertiroidismo’ (nessuno si interessa a te conciata com sei); guarda anche vuezzu.

Vrachètta [s.f.] Cerniera o bottoni dei pantaloni, apertura anteriore delle brache.

Vraitàre [v.intr.] Strepitare, parlare forte, sbraitare. 

Vranca [s.f.] Mano, artiglio, branca, da cui vrancàta ‘quantità contenuta tra le braccia o le mani’, esempi: na vrancata e ligna ‘una bracciata di legna’, na vrancata e cicueri ‘una manata di cicoria’; cfr vrazzu.

Vrascèra [s.f.] Molte braci, cumulo di braci derivanti da un grande fuoco domestico, variante vrascerìna.

Vràscia [s.f.] Bracia, carbone ardente, esempi: quannu appicci nu fuecu, a ra muntagna o a ra marina, doppu astuta puru e vrasce ‘quando accendi un fuoco, in montagna o alla marina, poi spegni anche le braci’, (loc.) ognunu tira e vrasce ari piedi sui ‘ognuno tira le braci ai propri piedi’ (ognuno fa principalmente i propri interessi).

Vrascìeri [s.m.] Braciere, caldano, es.: puru mo ce su vecchjaredde chi a notte quadianu a cammara e liettu ccu ru vrascieri ‘ancora adesso ci sono vecchiette che la notte riscaldano la camera da letto con il braciere’.

Vrasciòla [s.f.] Polpetta, ossia pallottola di carne trita (o altro) mista ad altri ingredienti e fritta nell’olio; molto usato anche il diminutivo vrasciolèdda ‘polpettina’; guarda anche vrasciolune.

Vrasciole e carne. Ingredienti: mezzo kg di carne trita (mista vitello-maiale), 3 uova, 250 grammi di pane ammogliato (o grattato, ma vengono meno morbide), 100 grammi di formaggio grattugiato (pecorino e grana), uno spicchio d’aglio trito, prezzemolo trito q.b., pepe trito, sale.

Procedura: impastare tutto insieme, successivamente modellare con le mani le polpette e farle cuocere in abbondante olio. Oltre che fritte possono essere messe a cuocere nel sugo di pomodoro per insaporirsi reciprocamente; vedi anche chjinu.

Vrasciole e patate. Ingredienti: 1 kg di patate, tre tuorli d’uovo, 100 grammi di formaggio (pecorino e grana), una piccola manciata di prezzemolo, aglio trito (uno spicchio), pepe q.b., 20 grammi di farina, sale. Procedura: impastare tutto insieme, per modellare le polpette ungere un cucchiaio con olio (o le mani) e adagiarle in abbondante olio bollente.

Vrasciole e bianchettu. Ingredienti: 1 kg di bianchetto lavato ed asciugato, tre tuorli d’uovo, 100 grammi di parmigiano, 100 grammi di sale, pepe, prezzemolo trito, uno spicchio d’aglio trito, due cucchiai di farina 00.

Procedura: impastare tutto insieme e aiutarsi con un cucchiaio per friggere in abbondante olio.

Vrasciolùne [s.m.] 1 Polpettone, differente dalla vrasciola, infatti quest’ultimo normalmente consiste in una fettina di vitello con dentro alcuni ingredienti.

Vrasciolune ccu a fettina. Ingredienti: fettina di vitello della coscia, formaggio grattugiato (misto pecorino-grana), prosciutto cotto (lardo o pancetta freschi, come la vera ricetta originale), uova sode, sottiletta o provola, pepe, sale, aglio trito. Procedura: stendere la fettina, salare, pepare, cospargere con aglio, prezzemolo e un po’ di parmigiano grattugiato, adagiare tre o quattro spicchi d’uovo, tre o quattro pezzetti di provola, arrotolare e chiudere con uno stuzzicadenti, o con uno di spago. Cuocere nel sugo di pomodoro.

Vrasciolune e carne macinata: preparare la carne trita come per fare le polpette (vrasciole), prendere poi un piatto largo, adagiare l’impasto e aggiungere gli stessi ingredienti del vrasciolune fatto con la fettina, possono essere aggiunti anche un po’ di funghi porcini. Arrotolare a forma di grosso involtino e quindi friggere in abbondante olio a fuoco lento. A piacere, a metà cottura circa, si possono aggiungere delle patate a spicchi e, ancora prima, si può preparare un mix di brodo di dado con un po’ d’aceto balsamico da spennellare sul polpettone.

2 Persona tonta, gonzo.

Vratta [s.f.] Blatta, la specie più diffusa in Sud Italia è la Blatta orientalis L.

Vrazziàre [v.intr.] Sbracciare, gesticolare con le braccia, ma anche soppesare con le braccia una certa cosa.

Vrazzu [s.m.] Braccio, plurale vrazzi o vrazza, da cui vrazzicìeddu ‘braccino’ (quello dei bimbi) e vrazzàta ‘bracciata (di qualcosa)’, esempi: na vota m’aju ruttu nu vrazzu ppe nnu gghjire a fatigare ‘una volta mi sono rotto un braccio per non andare a lavorare’, piame na vrazzata e liste ‘prendimi una bracciata di liste’ (strisce di legno e corteccia di pino usate per scaldare il forno); vedi anche vranca.

Vrighèdda [s.f.] 1 Mattarello, anche se più lunga e sottile rispetto a quest’ultimo. 2 Bastone cilindrico usato per tenere teso l’ordito e la tela sul subbio. 3 Minchia, cazzo.

Vrigheddàta [s.f.] Randellata, mazzata, botta data col mattarello, es.: l’a gghjettatu na vrigheddata aru cueddu ‘gli ha dato una legnata al collo’; di rado il termine è anche usato in termini sessuali, es.: l’aju datu na vrigheddata ‘gli ho dato una botta’.

Vrigògna [s.f.] Vergogna, imbarazzo, esempi: u tti nne pari vrigogna?! ‘non te ne sembra vergogna?!’ (non ti vergogni?!), è vrigogna si te vidanu ccu si capiddi ‘è da imbarazzo se ti vedono con questi capelli’, (loc.) a vrigogna è quannu arruebbi e ti cce pizzicanu ‘la vergogna è quando rubi e ti ci beccano’, (loc.) cose e notte, vrigogna e juernu ‘cose di notte, vergogna di giorno’ (di notte è più facile compiere crimini o altri gesti riprovevoli o imbarazzanti), (loc.) a vecchjaia è na carogna e a giuventù è na vrigogna ‘la vecchiaia è una carogna e la gioventù è una vergogna’.

Vrigugnàre [v.tr. v.intr.pron.] Far vergognare qualcuno, far provare imbarazzo, ma anche vergognarsi, imbarazzarsi, intimidirsi, esempi: l’aju fattu vrigugnare ‘l’ho fatto vergognare’ (gli ho fatto provare imbarazzo), me vriguegnu quannu niesciu ccu ttie ‘provo disagio quando esco con te’, t’averre vrigugnare ‘dovresti vergognarti’.

Vrigugnùsu [agg.] Timido, impacciato, goffo.

Vrodulàru [s.m. agg.] Alla lettera ‘brodolaro’, ovvero persona che nonostante le apparenze non vale molto, tanto brodo poca carne, molte parole pochi fatti, quindi anche bugiardo, ballista, mentitore, variante vruedularu; guarda anche vruedu.

Vruca [s.f.] Alberello, arbusto, cresce di solito vicino al fiume, tamerice comune Tamarix gallica L.

Vrudàta [s.f.] Brodaglia, alla lettera ‘brodata’, il termine indica anche l’acqua della pasta o di altri alimenti; giusto per non buttare via niente, normalmente le varie vrudate alimentari vengono date ai maiali; cfr viverune, vruedu e brodu.

Vruddu [s.m.] 1 Giunco, Juncus effesus L. e Juncus acutus L.; guarda anche juncu e fiscedda. [agg. s.m.] 2 Testone, cocciuto, ottuso.

Vrùeccula [s.f.] Tipo di nodo chiamato in italiano “a bocca di lupo”.

Vrùecculu [s.m.] 1 Broccolo, Brassica oleracea italica L., da cui vruecculu e fiore ‘cavolfiore’ Brassica oleracea L. var. botrytis, vruecculi e rapa ‘cima di rapa’ Brassica rapa L. sottospecie sylvestris L., possono essere preparati lessi o in padella con la sola acqua di lavaggio, in tal caso sono chiamati vruecculi affucati ‘broccoli soffocati’, a cui si aggiungono un po’ d’olio, sale, uno spicchio d’aglio e una foglia d’alloro per togliere un po’ d’odore. 2 Persona tonta, da cui vruecculùne ‘inetto’, ‘coglione’.

Vrùedu [s.m.] Brodo, brodaglia, sbobba; con questo termine viene indicata la parte liquida, non sempre nobile, di un composto in cui sono presenti parti solide, concettualmente molto vicino a vrudata, esempi: è rimastu u vruedu ‘è rimasto il brodo’ (non è rimasto niente), (loc.) si nne jiu a vruedu e ova ‘se ne andò a brodo di uova’ (una certa situazione andò a finire senza risultati perché si è tergiversato troppo, in analogia con lo stato acquoso che assumono le uova una volta che vanno a male), (loc.) cuntentate du vruedu ca a carne va cara ‘contentati del brodo che la carne va cara’ (contentati di quel che c’è), (loc.) si nne sta(nnu) viviennu u vruedu ‘se ne sta(nno) bevendo il brodo’ (godersi fino in fondo una certa cosa, provocando invidia o irritazione nelle altre persone).

Vrunchju [agg.] Stupido, beota.

Vruscènte [agg.] Molto caldo, che brucia, bollente, es.: u ru tuccare ch’è vruscente ‘non toccarlo che è rovente’; cfr pilente.

Vrusciàre [v.tr. v.rifl.] Bruciare, ardere, scottarsi, ustionarsi, esempi: na vota amu vrusciatu i copertoni de machine a ra focara e Natale ‘una volta abbiamo bruciato i copertoni delle auto al falò di Natale’, me sugnu vrusciatu ccu ra gravigghja ‘mi sono bruciato con la griglia’, (loc.) cumu santu t’aduru e cumu carta te vrùsciu ‘come santo ti adoro e come carta ti brucio’ (proverbio che spiega come bruciare un’immaginetta sacra senza avere i sensi di colpa; per essere sicuri di non fare peccato, mentre si brucia ci si può fare il segno della croce e recitare una ‘Ave o Maria’; un rituale che si avvicina curiosamente al rito di iniziazione dei mafiosi siciliani), (loc.) le vruscia u culu ‘le brucia il culo’ (intercalare usato per sottolineare che qualcuno si prende i meriti di un lavoro che non ha fatto; usato anche per evidenziare le emozioni che si provano quando si ha l’urgenza di dire qualcosa (come sfogarsi, anche per invidia, pettegolare o sproloquiare), fare qualcosa (come smaniare per o essere in astinenza da) o sottolineare una delusione (es.: stannu ai juventini le vruscia u culu ‘quest’anno ai juventini gli brucia il culo’).

Vrusciarìeddu [s.m.] 1 Località termale nel territorio di Cotronei, in passato molto frequentata dai mesorachesi. 2 Alla lettera ‘piccolo bruciore’ ovvero irritazione, stizza, risentimento.

Vrusciatìna [s.f.] Bruciatura, scottatura.

Vrusciùre [s.m.] Bruciore, infiammazione, irritazione.

Vucàta [s.f.] Bucato, ovvero lavare la biancheria usando il detersivo ricavato dalla cenere, es.: fare a vucata ‘fare il bucato’; cfr lissia.

Vucatàru [s.m.] La cenere bollita usata per fare il bucato; al femminile vucatàra indica invece il residuo di cenere dopo aver fatto il bucato; guarda anche lissia, vucata e scinneriare.

Vucca [s.f.] Bocca, apertura, da cui vuccàta o vuccunàta ‘boccata’ e vuccùne ‘boccone’ ma anche ‘bocca grande’, esempi: vasame ara vucca ‘baciami alla bocca’, a vucca du furnu ‘la bocca del forno’, (loc.) a vucca è n’atra furtuna ‘la bocca è un’altra fortuna’ (saper parlare è un vantaggio), (loc.) a mala vucca a mali luechi te porta, a bona vucca aru pararisu te porta ‘la mala bocca a mali posti ti porta, la buona bocca al paradiso ti porta’ (se parli bene eviti liti inutili), (lap.) chi vorre rimanire ccu ra vucca aperta ‘che tu possa rimanere con la bocca aperta’ (possa la morte coglierti all’improvviso).

Vuccapìertu [s.m.] 1 Letteralmente ‘bocca aperta’, più precisamente ‘persona di sesso maschile con la bocca aperta’, ovvero persona ingenua, naif, così distratta che potrebbe ingoiare le mosche e non accorgersene. [agg.] 2 Persona che parla troppo, che è pettegola; cfr vucchilarigu e vuccutu; entrambe le accezioni valgono anche al femminile.

Vucceddàtu [s.m.] Vedi gucceddatu.

Vuccerìa [s.f.] Vedi gucceria.

Vucchilàrigu [agg.] Letteralmente ‘bocca larga’, ovvero colui il quale non sa mantenere un segreto; cfr vuccapiertu e vuccutu.

Vuccùne [s.m.] Boccone, boccata, morso. 

Vuccùtu [agg.] Letteralmente ‘(persona) che ha molta bocca’, ovvero che parla molto, che fa tante parole ma pochi fatti; cfr vuccapiertu e vucchilarigu.

Vuce [s.f.] Voce, da cui vucicédda o vuciùzza ‘vocina’ e vuciùne ‘vocione’.

Vuda [s.f.] Pianta usata per fare il fondo delle sedie o l’imbottitura dei basti, prospera nell’alveo o sui bordi di ruscelli e fiumiciattoli, conosciuta in italiano col nome di stiancia e scientificamente con Typha latyfolia L.

Vudda [s.f.] 1 Gonfiore, bolla, vescica, enfiagione. [v.intr.] 2 Presente indicativo terza persona singolare (bolle) di vuddire.

Vuddimìentu [s.m.] Alla lettera ‘bollimento’, ovvero persona che assilla, che rompe, che spesso si intromette, un rompimento insistente, es.: zianutta è nu vuddimientu continuu ‘tuo zio è una rottura continua’.

Vuddìre [v.intr. v.itr.] 1 Bollire, lessare, variante ddare, esempi.: a suraca a dde vuddire nu paru e ure ccu ra pignata ‘i fagioli devono bollire un paio d’ore con la pignata’, ca t’u vuddi! ‘che te lo lessi!’ (intercalare, si usa per sottolineare all’interlocutore che di una certa cosa non se ne fa nulla). [v.intr.] 2 Molestare, assillare, pressare, es.: u mme stare a vuddire c’ud è u momentu ‘non stare a bollirmi che non è il momento’ (non rompere le scatole perché non è il momento).

Vuddu [s.m.] Conca, piscina o vasca naturale, piccolo bacino che il fiume Vergari forma nel suo corso e nella quale è splendido nuotare in estate, molto usato anche il diminutivo vuddicìeddu, esempi: doppu a Carrozzedda, u cchjù bellu vuddu è a Lazara ‘dopo la Carrozzedda, il più bel vuddu è la Lazara’, u vuddu da Ntinnicedda u cc’è cchjù ‘il vuddu della Ntinnicedda non c’è più’; negli ultimi anni (dalla seconda metà degli anni Dieci di questo secolo) un paio di associazioni e un imprenditore privato stanno valorizzando molto positivamente questa caratteristica del territorio, sia i vuddi sia il fiume in sé, tanto che si parla di istituire un parco fluviale; in estate è ormai consuetudine vedere gruppi di turisti o famiglie recarsi al fiume per fare il bagno; guarda anche Vergari e jumara.

Vue [pron. pers.] 1 Pronome personale ‘voi’, es.: vue siti stati ‘voi siete stati’. [v.tr.] 2 Indicativo presente seconda persona singolare del verbo volere ‘vuoi’, esempi: chi vue? ‘che vuoi?’, (loc.) simina quannu vue ca a giugnu mieti ‘semina quando vuoi che a giugno mieti’ (anche se semini in ritardo a giugno farai comunque raccolto). [s.m.] 3 Bue, variante di voi, esempi: ci’aju na fame, me mancerra nu vue! ‘ho una fame, mi mangerei un bue!’, (loc.) pane chi va ari vui ‘pane che va ai buoi’ (modo di dire per descrivere una persona, un figlio o un amico, le cui attenzioni che si prestano sono sprecate); vedi anche voi.

Vùemmicu [s.m.] Vomito, rigetto, voltastomaco, nausea.

Vùescu [s.m.] Località di campagna di Marcedusa, vicina alla località Vittorianu; naturalmente il termine indica anche bosco, foresta, nel senso di vegetazione folta. 

Vùestru [agg.poss. pron.poss.] Vostro, il vostro, come aggettivo, in pratica, non è mai usata questa forma, è preferita quella quasi italiana, esempi: vostro patre ‘vostro padre’, cca c’è u vuestru ‘qui c’è il vostro’, cca c’è du vuestru ‘qua c’è del vostro’ (qua c’è di vostra proprietà).

Vùezzu [s.m.] Bozzo, bitorzolo, bernoccolo, da cui vozzarìeddu ‘piccolo gonfiore’, ‘piccola cisti’ e vuezzulutu ‘bitorzoluto’.

Vulìre [v.tr.] 1 Volere, darsi come scopo il conseguimento di un obiettivo, l’ottenimento di qualcosa o il completamento di un’azione, variante bulìre, esempi: vuegghju i sordi mii ‘voglio i miei soldi’, cchi bbue fare stannu? ‘cosa vuoi fare quest’anno?’, (loc.) u tiempu de ficu u tte vuegghju ppe amicu, u tiempu e l’uva u tte vuegghju ara ruga ‘il tempo dei fichi non ti voglio per amico, il tempo dell’uva non ti voglio nel quartiere’ (proverbio da intercalare quando le sostanze scarseggiano, quindi anche le cose umili acquistano più valore), (loc.) chine a vo’ cotta e chine a vo’ cruda ‘chi la vuole cotta e chi la vuole cruda’ (non si possono contentare i voleri di tutti), cchi vodi mo? ‘che vuole adesso?’ (talvolta è usata la forma paragogica vodi anziché vo o bbo). [v.intr.] 2 Fidanzarsi, volersi bene (nel senso di amarsi), esempi: se vo ccu Mena ‘si vuole con Filomena’ (è fidanzato con Filomena), ne simu vuluti ppe deci’anni ‘ci siamo voluti (bene) per dieci anni’ (ci siamo amati per dieci anni). 3 Essere anelante di fare qualcosa oppure che altra persona faccia qualcosa, averne voglia, esempi: vulerra (ggh)jire a ra missa ‘vorrei andare a messa’, cumu vue tu ‘come vuoi tu’, vuegghju nu chilu e pasta ‘voglio un chilo di pasta’, (loc.) chine vo’ va e chine u vo’ manna ’chi vuole va e chi non vuole manda’ (non sempre le azioni sono successive alle intenzioni, talvolta la motivazione cala per un motivo qualsiasi e allora si delega qualcun altro a compiere quello che si doveva fare noi), cchjù nne vue e cchjù ne vorre ‘più ne vuoi e più ne vorresti’. 4 Essere necessario, occorrere, esempi: mo ce vulerra nu bellu café ‘adesso ci vorrebbe un bel caffè’. [s.m.] 5 Anche come sostantivo, es.: u vulire miu u ccunta nente ‘il mio volere non conta niente’.

Vurga [s.f.] Ricettacolo d’acqua lungo i fiumi nel quale si immergeva il lino a macerare.

Vurgatòre [s.m.] Oratore, parlatore, chi possede le doti necessarie per parlare in pubblico.

Vurpa [s.f.] Volpe, Vulpes vulpes L., es.: na vota aju pruvatu a vurpa cucinata, ma uscava così assai cu mm’aju regulatu chi sapure avia ‘una volta ho assaggiato la volpe cucinata, ma era così piccante che non ho capito che sapore avesse’.

Vurpìgghju [s.m.] Cucciolo di volpe.

Vurpìgnu [agg.] Scaltro, furbo, astuto, sveglio; cfr vurpune.

Vurpìle [s.m.] Apparato genitale maschile del maiale, in passato usato dai calzolai come lucida-scarpe e dai boscaioli o falegnami per ungere le seghe; da altre parti il termine indica anche uno scudiscio fatto con il membro del maiale.

Vurpùne [s.m.] Volpone, persona molto astuta e navigata, che sa usare molto bene l’esperienza.

Vurràina [s.f.] Verdura, nonché pianta officinale, conosciuta in italiano col nome di borragine e scientificamente con Borago officinalis, L. Cresce spontaneamente e le sue presunte proprietà mediche non hanno grandi evidenze, ma le sue foglie hanno proprietà organolettiche speciali, infatti il risotto con la borragine è un’altra prova dell’esistenza del Supremo.

Risu e vurraine per 4 persone. Ingredienti: 1 kg di borragine, tagliate a pezzi e lavate molto bene con acqua tiepida, 250 grammi di patate, riso, olio, sale, formaggio (pecorino-vaccino). Procedura: fare bollire un litro e mezzo d’acqua, aggiungere il sale e la patata e dopo inserire la borragine, quindi il riso (mezzo chilo) e girare; a fine cottura aggiungere un filo d’olio; servire con una spolverata di formaggio.

Vurraina

Vurvinu [s.m.] Piccolo vivaio, semenzaio, ovvero molte pianticelle giovani, da ripiantare in vaso o in altro loco; tipico del prezzemolo (petrusinu), sedano (àcciu), del peperoncino (spagnolieddu), del basilico (vasilicòi).

Vussirìa [s.f.] Vostra signoria.

Vutàre [v.tr.] 1 Votare, fare una preferenza, es.: vutasti giustu? ‘hai votato bene?’. 2 Rendere, ridare, es. si tu mpriestu pue mi l’è vutare ‘se te lo impresto poi me lo devi restituire’. [v.tr. v.rifl.] 3 Girare, tornare indietro, volgersi, esempi: duna na vutata are vrasciole ‘dai una girata alle polpette’ votate arriedi e ajuta a patritta ccu l’olive ‘torna indietro e aiuta tuo padre con le olive’, m’aju vutatu cuntru patrimma ‘mi sono voltato contro mio padre’ (mi sono ribellato contro mio padre), (loc.) ancora u culu all’ataru u cci l’è vutatu ‘ancora il culo all’altare non ce l’hai girato’ (in genere si gira il culo all’altare quando il matrimonio è concluso, il significato attribuito è quindi di non vantarsi di una certa cosa se prima non si è realizzata; cfr il proverbio della voce fera); guarda anche abbutare.

Vutta [s.f.] Botte, da cui il diminutivo vutticèdda ‘piccola botte’, esempi: (loc.) chissu è vinu e atra vutta ‘questo è vino di altra botte’ (si dice quando in una famiglia un componente la pensa diversamente riguardo ad un fatto), vutte e vinu e figghje fimmine dalle caminu ‘botti di vino e figlie femmina dagli cammino’ (dagli agio, liquidarle subito).

Vuttàcchju [s.m.] 1 Piccola botte, ma anche a forma di piccola botte. 2 Persona in sovrappeso, obesa.

Vuttìgghja [s.f.] Vedi buttigghja.

Vutu [s.m.] Promessa, giuramento, impegno di una persona a compiere una determinata azione o a fare (o ad astenersi dal fare) una certa cosa, dovere personalmente e liberamente assunto davanti a Dio, es.: ha fattu nu vutu a ru Sant’Acciomu, è gghjuta scavuza a ru cummientu tuttu u mise e maju ‘ha fatto un voto al Santo Ecce Homo, è andata scalza al convento tutto il mese di maggio’.

Vuvàru [s.m.] Bovaro, mandriano.

Vuviàre [v.tr.] Invidiare con malocchio, affascinare, esempi: pienzica m’anu vuviatu ‘forse mi hanno fatto una iattura’, (loc.) a casa vuviata s’ud è povara e malata ‘la casa invidiata se non è povera è malata’ (se quella famiglia è ‘presa di mira’ il malocchio se non colpisce i denari colpirà la salute di chi la abita); vedi anche vuvu.

Vuvìta [s.m.] Fungo dalle carni ottime, chiamato in italiano ovulo buono e scientificamente Amanita caesarea Scop., cresce nei boschi di latifoglia (querce, castagni) in estate-autunno.

Vùvitu [s.m.] Gomito, da cui vuvitata, esempi: l’aju datu na vuvitata intr’u mussu ‘gli ho dato una gomitata nel muso’, (loc.) dulure e vuviti e de mugghjera assai duluri e pocu pena ‘dolore di gomiti e di moglie assai sofferenze e poco pena’ (sono dispiaceri momentanei, di breve durata).

Vuvu [s.m.] Invidia cattiva rancorosa, malefica, esempi: (loc.) spagnate du vuvu e no da lapida, ca a lapida e nu vientu e vucca e nnu ffa nente ‘abbi paura della iettatura e non dell’imprecazione, che l’imprecazione è un vento di bocca e non fa niente’, c’è nu vuvu ‘c’è un gran mormorare’ (in questo caso la gente ‘per bene’ discute ipocritamente sull’agito di una persona); vedi anche vuviare e vuvulizzu.

Vuvulìzzu [s.m.] Mormorio, chiacchiericcio; vedi anche vuvu.

Vva [pron.pers.c.] Guarda va.

Vultima modifica: 2022-03-13T10:52:37+01:00da mars.net