N

N [s.f.] Dodicesima lettera dell’alfabeto mesorachese, corrispondente alla tredicesima di quello latino e greco (ni, N, ν), il cui valore fonetico è in tutte le lingue quello di consonante nasale. Nei geroglifici egizi, il serpente rappresentava una lettera simile alla J (dal nome egiziano per “serpente”, djet). Si pensa che i popoli semitici lavoranti in Egitto, adattando i geroglifici per creare il loro alfabeto, usarono tale simbolo per rappresentare la loro N, poiché la parola per “serpente” nella loro lingua cominciava con questo suono. Tuttavia si sa che in alcune delle lingue che poi adattarono il simbolo (fenicio, ebreo, aramaico, arabo) il nome della lettera, nun, significava “pesce”. Malgrado ciò, da essa si è evoluta la lettera greca ni, da cui deriva, per via etrusca, la latina N (VT), (OP), (Wiki).

Na [art.indet.f.] Articolo indeterminativo ‘una’, come nell’italiano viene apostrofata davanti a vocale, esempi: n’atra vota ‘un’altra volta’, na guagliuna ‘una ragazza’, (loc.) na pace a mantenire (ppennu ddire ca su nimici) ‘una pace a mantenere (per non dire che sono nemici)’.

Nabbàbbu [s.m.] Persona straricca, nababbo. 

Naca 1 [s.f.] Culla, lettino per neonati di solito a dondolo; guarda anche annacare. 2 Teca che contiene la statua (il simulacro) del Cristo deposto dalla croce, in grandezza naturale. Viene portata a spalle durante la processione del Venerdì Santo da persone di grande rispetto nel paese, le quali danno un’offerta per avere questo onore. Ritualità diffusa in molte parti del Meridione e dell’Italia; guarda anche Segnure. 3 Gioco che si compie in due, consiste nell’intrecciare un filo (spago o lana) usando le mani, ovvero prendere con le dita il reticolo costruito dall’avversario e crearne un altro senza formare grovigli, pena la perdita della partita; l’avversario a sua volta deve saper creare un’altra combinazione e così via; una delle combinazioni è un reticolo che ha la forma della naca; il gioco finisce nel momento in cui un giocatore crea un garbuglio. Si rammentano fino a 10 combinazioni, le prime quasi sempre le stesse, le ultime spesso inventate al momento.

Naca

Nàffita [s.f.] Nafta, gasolio.

Nagghjàre [v.intr.pron.] Infischiarsene, fregarsene di qualcosa o qualcuno, sbattersene all’occorrenza, in altre parole non farsi il sangue marcio, esempi: ni nn’ame nagghjàre ‘ce ne dobbiamo fregare’ (non ci dobbiamo pensare), u tti nne nagghjare ‘non te ne preoccupare’ (con sfumatura sardonica, guarda ncarricare per completare il senso di questo esempio), nagghjatinne ‘fottitene’, ti nne nagghji! ‘te ne freghi!’ (complimenti!); nell’ultimo esempio è bene sottolineare una sfumatura importante, se la frase è pronunciata con meraviglia (esclamazione) allora vuol dire che l’interlocutore ha fatto qualcosa in maniera esagerata, veloce, sorprendente, perfezionata, più che completata e assume l’aspetto dell’italiano “complimenti!”; tale formula, quasi una locuzione, è applicata in numerose situazioni: finire un grosso piatto di spaghetti al sugo e poi pulire bene bene il piatto col pane, bere una bottiglia di vino come fosse acqua, finire troppo presto una visita, aver il culo di trovare un sacco di funghi, e cosi via; viceversa, se la frase è pronunciata senza esclamazione allora assume il tono dell’italiano “fregatene”; la stessa spiegazione vale anche per ti nne frichi! e ti nne ncarrichi!; guarda anche fricare e ncarricare.

Nannà [s.f.] Nonna, da cui nànnama ‘mia nonna’, nànnata ‘tua nonna’, nànnasa ‘sua nonna’; varianti nànna o nunna (in ‘arcaichese’), es.: vaju e dduermu due a nannà ‘vado a dormire dalla nonna’; guarda anche mammaranne e mammà.

Nannu [s.m.] Nonno, da cui nànnuma ‘mio nonno’, nànnuta ‘tuo nonno’, nànnusa ‘suo nonno’; variante nonnò; guarda anche paparanne e tata. Da segnalare che l’ultimo giorno di carnevale viene portato in giro per il paese u nannu, farsa carnevalesca tipica del paese; guarda anche frazzaru.

Nascìre [v.intr.] Nascere, venire al mondo, variante nàsciare.

Nasca 1 [s.m.] Naso, narice, con lo stesso significato viene usata anche la parola nasu, esempi: intr’e nasche! ‘dentro alle narici!’ (indica un vaffanculo leggero), tena ra nasca ‘tiene il naso’ (indica una giudiziosa arrabbiatura); il suo diminutivo nascarìeddu traduce, nello specifico, la narice. 2 Termine generico utile ad indicare tutti quei tipi di fungi che crescono nelle ceppaie, come la trippa e piecura (Meripilus giganteus P.) o la nasca propriamente detta (Polyporus frondosus Dicks. e Polyporus sulfureus Bull.).

Naschiàre 1 [v.intr.] In forma leggera, fare delle grinze col naso in segno di disapprovazione, in forma pesa tirare su col naso, detto con le parole del temerario Rohlfs ‘pigliare il catarro nasale’; guarda anche naschiata. 2 Russare, ronfare. 3 Annasare, fiutare.

Naschiata [s.f.] Pernacchia nasale tirando su col naso, modalità tipica del Marchesato; guarda naschiare per maggiori dettagli. Tale suono, molto simile al grugnire dei maiali, viene intercalato in numerose situazioni: durante un discorso come rafforzativo delle proprie idee, opinioni e punti di vista; come derisione e di rado anche come apprezzamento sessuale, esempi: hchchchrrr intr’e tie vincia a coppa a Juve! ‘hchchchrrr secondo te vince la coppa la Juve!’, hchchchrrr u ssi nne parra ‘hchchchrrr non se parla’, hchchchrrr cchi ciociò ‘hchchchrrr che stupido’.

Naschilàrigu [agg.] Persona con un grosso naso, nello specifico con le narici larghe. 

Naschistùertu [agg.] Alla lettera ‘naso storto’ con significato figurato di ‘persona un po’ contorta’.

Naschitìsu [agg.] Letteralmente ‘naso teso’, indica una persona schifiltosa, diffidente.

Nascùtu [agg.] Nasone, nasuto e metaforicamente ‘astioso’ ‘maldisposto’.

Nasiàre [v.tr.] Disgustare, schifare, nauseare, ovvero essere schizzinosi, schifiltosi, igienisti talvolta esagerati.

Nasiùsu [agg.] Persona che prova repulsione e intolleranza verso lo sporco, schifiltoso, es.: io sugnu nasiusu, u cci’a fazzu u puliżżu u papà quannu s’allorda ‘io sono troppo schizzinoso, non ce la faccio di (a) pulire il papà quando si sporca.

Natalìgna [agg.] Varietà di fico (o di castagno) che produce frutti vernini.

Natàre [v.intr.] Nuotare, sguazzare, es.: jamu a natare ara Lażara ‘andiamo a nuotare alla Lażara’.

Natra [agg.indef.] Alla lettera un’altra, unione del pronome indefinito na (una) e dell’aggettivo indefinito atra (altra), esempi: n’atra) vota ‘un’altra volta’, damminne n’atra ‘dammene un’altra’, cchi c’intri tu n’atru?! ‘cosa c’entri tu un altro’ (cosa vuoi tu?!).

Nazzichiàre [v.tr.] Dondolare, cullare, es.: u tte nazzichiare ccu ra seggia ca cadi ‘non dondolarti con la sedia che cadi’.

Ncacchjacàni [s.m.] Accalappiacani, persona addetta alla cattura dei cani randagi.

Ncacchjàre 1 [v.tr. v.rifl.] Caricare o caricarsi di un peso, anche in senso figurato, esempi: ncacchjate na cirma e olive ‘caricati un sacco di olive’, cchi pisu chi te ncacchjasti ccu sa perzuna ‘che peso che ti caricasti con questa persona’. 2 Agganciare, accalappiare, prendere, esempi: m’ha ncacchjàtu a brożża e m’ha fattu cadire ‘mi ha agganciato la borsa e mi ha fatto cadere’, fin’a cc’u si l’ha ncacchjatu ‘fino a che non se lo ha preso’ (la morte). 3 [v.rifl.] Prendere e andare, ma anche deviare verso un’altra strada, esempi: m’aju ncacchjàtu e sugnu jutu a ppede ‘ho preso e sono andato a piedi’, ncacchja de cca ‘devia (prendi) da qui’.

Ncacchjatùra [s.f.] Alla lettera ‘accalappiatura’, metodo di cattura per le vacche.

Ncacchju [s.m.] Raggiro, imbroglio, truffa.

Ncagghjàre [v.intr.pron.] Rimanere incastrati, intrappolati, da cui ncagghjàtu ‘intrappolato’ ‘bloccato’.

Ncalamàre [v.tr. v.intr.] Guardare, fissare qualcosa senza accorgersi di quello che accade intorno, rimanere attoniti, ne sono esempio il televisore, una scena che rapisce, un racconto e così via, è quasi sinonimo di ncialare ma con più carica, es.: u ti cce ncalamare ‘non ti ci inebetire’; guarda anche ncalamatu e ncialare.

Ncalamàtu [s.m. agg.] Stordito, rapito, rincoglionito, p.p. di ncalamare, es.: para nu ncalamatu ‘sembra uno stupido’.

Ncaminàre [v.tr. v.intr.pron.] Incamminarsi, avviarsi, non si riscontrano usi nella forma transitiva, es.: (loc.) quannu arriva San Martinu u viernu se ncamina ‘quando arriva San Martino l’inverno s’incammina’.

Ncàmmiu [avv.] Alla lettera ‘in cambio’, es.: ncammiu cchi mme du’? ‘in cambio cosa mi dai?’.

Ncampanàre [v.tr.] Incampanare, nel significato metaforico di avere avuto jella in qualcosa, es.: (loc.) a ncampanamme ‘l’abbiamo patita di brutto’.

Ncampanàtu [agg.] Rintronato, rincoglionito, che cammina come se fosse ubriaco.

Ncanceddùsa [agg.] Il termine è riferito alla consistenza della pasta lievitata del pane, ovvero quando assume la densità similare a quella di una spugna e quindi pronta per essere infornata.

Ncannatédde [s.f.pl.] Fichi impilate su un listello di canna per poi essere informate; guarda anche jetta.

Ncantaràre [v.tr.] Salare, conservare sotto sale, carne o pesce, es.: carne e puercu ncantarata ‘carne di maiale sotto sale’.

Ncantàtu [agg.] Incantato, imbambolato, intontito, ma anche inceppato, bloccato, se riferito ad un macchinario; poco usato l’infinito ncantàre.

Ncantu [s.m.] Incanto, fascino.

Ncappàre 1 [v.dif.] Bellissima usanza che si perde nella notte dei tempi: insieme ai propri amici, durante la tarda primavera inizio estate, è tradizione trasformarsi in cavalletta o altro insetto dannoso, per depredare alberi da frutta, fragole, piselli, more etc. 2 [v.tr.] Incappare, capitare, in tutte le accezioni dell’italiano.

Ncappottàre [v.tr.] Fregare, infinocchiare, raggirare, es.: u tte fare ncappottare ‘non farti fottere’; da cui ncappottàtu ‘turlupinato’ ‘raggirato’.

Ncapu [avv.] In cima, in Capo (cchiano 🙂 we trust).

Ncapunìre [v.intr.pron.] Intestardirsi, ostinarsi; cfr capune.

Ncaràre [v.tr. v.itr.] Aumentare di prezzo, diventare più costoso, esempi: a putigara ha ncaratu u zuccaru ‘la pizzicagnola (bottegaia) ha rincarato lo zucchero’, u gassu ppe a machina chjanu chjanu ncara ‘il gas per l’auto piano piano aumenta di prezzo’.

Ncarcaràre [v.tr.] Termine impiegato per descrivere quando la legna nel camino prende fuoco bene e produce grosse fiamme.

Ncarnàtu [agg.] Atteggiamento o comportamento radicato profondamente, incarnito, es.: u viżżu de sicarette ci l’hai ncarnatu ‘il vizio delle sigarette ce l’hai incarnito’.

Ncarràre [v.tr.] Alla lettera ‘prendere a carro’ o ‘preparare il carro per essere trasportato’, spesso il significato attribuito è più esteso, ossia urtare, speronare, investire, colpire accidentalmente qualcosa o qualcuno, es.: s’ha ncarratu u tavulu ccu tutte e seggie ‘s’ha preso in pieno il tavolo con tutte le sedie’.

Ncarricàre [v.rifl.] Non preoccuparsi, non darsene cura, non gravarsi di un incarico, non darsene pensiero (con sfumature ironiche), esempi: mi nne ncarricu ‘me ne frego’, ncarricamuninne infischia-mocene’, u tti nne ncarricare (ma chissa ma paghi) ‘non te ne preoccupare’ (sottinteso, ma questa me la paghi), ti nne ncarrichi! ‘complimenti!’ (per completare il senso di questo esempio guarda nagghjare); di rado è usato nel suo significato immediato, es.: mi nne ncarricu iu ‘me ne preoccupo io’; l’imperativo e l’infinito negativo del verbo in questione (ncarricatìnne tu ‘infischiatene tu’, ncarricativìnne vue ‘infischiatevene voi’ e u ti nne ncarricare ‘non te ne curare’) meritano una spiegazione a parte, ovvero l’interlocutore che si rivolge a noi o a un gruppo in tal maniera, sta comunicando esplicitamente che  noi (come singoli o come gruppo) ce ne stiamo sbattendo dall’ottemperare ai nostri obblighi ed implicitamente che la pagheremo per questa mancanza o sgarro; la stessa spiegazione si estende ai verbi fricare (fricatinne tu, fricativinne vue e u ti nne fricare), nagghjare (nagghjatinne tu, nagghjativinne vue e u ti nne nagghjare) e futtìre (futtatinne tu, futtitivinne vue, u tti nne futtire); guarda anche nagghjare, fricare e futtire.

Ncartamìenti [s.m.] Incartamenti, insieme di documenti.

Ncasàre [v.tr.] Incastrare, calcare, sistemare qualcosa in maniera contigua.

Ncatrammàre [v.tr.] Incatramare, ricoprire di catrame.

Ncatturàre [v.tr. v.intr.pron.] Aggrovigliare, ingarbugliare, avvolgere, avvilupparsi, intrecciarsi in dei fili, dei rovi o simili, esempi: e ncatturatu u gnommaru ‘hai ingarbugliato il gomitolo’, me sugnu ncatturatu ccu nu filu e nailon ‘mi sono intrappolato con un filo di nylon’.

Ncatusàre [v.tr.] Incanalare, intubare, poco usato.

Ncavaddàre [v.tr.] Accavallare, sovrapporre.

Ncavarcàre [v.intr.pron.] Spostamento di un nervo o di un osso dalla sua sede naturale, es.: mi s’è ncavarcatu u niervu da manu ‘mi si è accavallato (stirato) il nervo della mano’; può essere impiegato anche per indicare un’artrite o un’infiamma-zione del tendine e di rado indica anche lo slogarsi, il lussarsi di un osso.

Ncavunàre 1 [v.intr.pron.] Cadere rovinosamente, precipitare da una scala, ruzzolare da una rupe, esempi: me sugnu ncavunatu da scala ‘sono caduto dalla scala’, va ncavunate! ‘gettati via’ (da una rupe, ovvero fottiti), spostalu ca se ncavuna ‘spostalo che si cade’ (se no cade); il participio passato ncavunàtu indica una persona disgraziata, sciagurata, es.: (lap.) chi te via ncavunatu ‘che ti possa vedere disgraziato’. 2 [v.intr.] Buttare giù, smantellare, esempi: ame ncavunare su muru ‘dobbiamo buttar giù questo muro’, ccu tutti i sacrifici chi cci’aju fattu u ra ncavugnu a casa ‘con tutti i sacrifici che ci ho fatto non la butto via la casa’ (ovvero non la svendo per quattro soldi).

Ncazzuniscire [v.tr. v.intr.pron.] Rincoglionire, rincretinire, rimbecillirsi, da cui ncazzunisciùtu ‘imbambolato’ ‘rinco-glionito’, es.: me ncazzunisciutu ccu sta musica moderna ‘mi hai intontito con questa musica techno’.

Ncazzùsu [agg.] Irascibile, astioso, rabbioso, incazzoso.

Ncecàre [v.tr. v.intr.pron] Privare della vista, accecarsi, esempi: vavatinne o te nciecu! ‘vattene o ti acceco!’, cci’aju ncecatu cercannu funci ‘ci sono diventato cieco cercando funghi’, (lap.) chi vorre ncecare ‘che tu possa diventare cieco’.

Nchjammàre [v.dif.] Irritare, infiammare.

Nchjanàre [v.tr. v.intr.] Salire, arrivare in cima, arrampicarsi e meta-foricamente arrabbiarsi, esempi: nchjanu ara Fratta ‘salgo in Fratta’, nchjanu subra n’arvule ‘salgo sopra un albero’, u mme fare nchjanare i cazzi ‘non farmi salire i cazzi’ (non mi fare incazzare).

Nchjanàta [s.f.] Salita, erta, es.: te fare na bella nchjanata prima ud arrivi ‘ti devi fare una bella salita prima di arrivare’.

Nchjaràre 1 [v.intr.impers.] Albeggiare, farsi giorno, es.: sta nchjarannu ‘sta albeggiando’. 2 [v.tr.] Sciacquare, risciacquare i panni, es.: vaju a nchjarare i lenzuli all’acquaru ‘vado a sciacquare le lenzuola all’acquedotto’. 3 Schiarire, ovvero qualsiasi liquido che da torbido, come il vino, passa a chiaro; la gravità e il tempo separano la parte solida da quella liquida, es.: u vinu ud è nchjaratu ancora ‘il vino non è (ancora) schiarito’.

Nchjimàre [v.tr.] Imbastire, cucire provvisoriamente, ovvero la cucitura temporanea utilizzata come traccia della cucitura definitiva, detta nchjimatùra o punti molli.

Nchjinu [avv.] Alla lettera ‘in pieno’, es.: l’ha piatu nchjinu ‘l’ha preso in pieno’.

Nchjippi-nchjappi [s.m.] Parole senza un significato preciso, talvolta usate quando si vuol descrivere una persona inconcludente nei discorsi che fa.

Nchjiricàtu [agg.] Alla lettera ‘inchiericato’, ovvero favorito, trattato bene, diciamo pure raccomandato, in particolare quando si tratta di lasciti o eredità, es.: l’anu nchjiricatu buenu ‘lo hanno (più che) trattato bene’.

Nchjummàre 1 [v.tr.] Letteralmente ‘impiombare’ ‘sparare’. 2 [v.intr.] Il termine è riferito anche a cibi che appesantiscono, di rado usato all’infinito, es.: m’ha nchjummatu u manciare e oje ‘mi è rimasto sullo stomaco il cibo di oggi’.

Nchjummu [s.m.] A piombo, in maniera perpendicolare.

Nchjuvàre [v.tr.] Inchiodare, fissare con chiodi, variante nchjovàre, esempi: nchjovacce due tavule ‘fissacci due tavole’, (lap.) te via nchjuvatu ara cruce ‘che ti possa vedere inchiodato alla croce’.

Nchjuvettàre 1 [v.tr.] Inchiodare con i chjuvietti, ossia con dei chiodi più lunghi del normale. 2 Chiavare, possedere sessualmente qualcuno.

Ncialàre [v.tr. v.intr.] Guardare qualcosa, qualcuno o il nulla (accade) in maniera fissa e istupidita, talvolta in maniera assorta e rapita, da cui ncialàtu ‘assorto’ ‘rapito’ ‘meravigliato’, esempi: avogghja u nciali ‘a voglia a guardare’, s’è ncialatu ara televisione ‘si è rincoglionito alla televisione’, è rimastu ncialatu ‘è rimasto senza parole’; guarda anche ncalamare.

Nciciorfàre [v.tr. v.rifl.] Alterare o alterarsi con una sostanza psicotropa, bere, ubriacarsi, drogare, rintronarsi; probabile neologismo.

Ncìelu [l.avv.] Alla lettera ‘in cielo’, es.: (loc.) chine sputa ncielu, mpacce ritorna ‘chi sputa in Cielo in faccia ritorna’ (chi fa una cosa cattiva prima o poi il Signore la rende indietro).

Ncinzìeri [s.m.] Turibolo, incensiere, usato nelle funzioni religiose cattoliche e di altre religioni; adoperato anche per dire che c’è molto fumo.

Ncìenzu [s.m.] Incenso, es.: c’è sempre adduru e ncienzu all’Acciomu ‘c’è sempre odore di incenso all’Ecce Homo’.

Ncignàre [v.tr. v.intr.] Iniziare, cominciare, aprire (iniziare ad usare), iniziare a maturare, esempi: ncigna tu ‘inizia tu’, è ncignatu u firme ‘è iniziato il film’, u ncignare a tte lamentare ‘non cominciare a lamentarti’, ncigna u cafè ‘apri il caffè’, su ncignate e cerase? ‘hanno cominciato a maturare le ciliegie?’, (loc.) mancu se ncignare na capu e santu! ‘manco se devi aprire una testa di santo!’ (modo di dire che si usa quando una persona si fa problemi a chiedere all’interlocutore di assaggiare qualcosa ancora da iniziare, ad es. un salame, un formaggio ecc.).

Ncignatùru [s.m.] Lamella sottile e molto resistente, impiegata dai cestai per avviare l’intreccio.

Ncinàgghja [s.f.] Inguine, ovvero la parte del corpo tra le cosce e l’addome.

Ncinu [s.m.] Uncino, gancio.

Nciòtàre [v.tr. v.intr. v.intr.pron.] Rincretinie/rsi, rincoglionirsi, da cui nciotàtu ‘rincoglionito’, varianti nciutàre e, raramente, nciòtare, esempi: te nciotanu tutte se parole ‘ti fanno diventare stupido tutte queste parole’, te si nciutatu ‘ti sei incretinito’, ccu ssi discurzi me fattu nciutare ‘con questi discorsi mi ha fatto rincoglionire’, a sira-sira mi cce nciuetu ccu ru telefoninu ‘la sera-sera mi ci inebetisco col telefonino’.

Nciotiliscire [v.intr. v.intr.pron.] Alla lettera ‘diventare cretini’, variante nciuetuliscìre, sinonimo di nciutare, es.: ce nciuetulisci ccu ri giornaletti ‘ci diventi stupido con i fumetti’.

Ncipràre [v.tr.] Incipriare, cospargere di cipria, usato anche in senso figurato, riprendendo l’italiano imbellettare, es.: cumu t’a sanu nciprare ‘come te la sanno incipriare’ (saper infiocchettare bene un discorso); cfr atturrare.

Nciràre [v.tr.] Rivestire di cera, lucidare.

Nciùnna 1 [agg.] Stupida e buona. 2 Vulva, organi genitali femminili.

Ncoculàre [v.tr.] Appallottolare, rendere a forma di polpetta, variante ncueculàre, es.: prima e ncoculare e vrasciole e mieggghju u te unti e manu ‘prima di formare le polpette è meglio ungersi le mani’.

Ncofanàtu [agg.] Persona incurvata dagli anni o dalla malattia.

Nconcolò [avv.] Sulle spalle, vicino al collo, ma solo riferendoci ad un bambino che vogliamo ci salga sopra, es.: vieni nconcolò ‘vieni sulle spalle’.

Ncopanàre 1 [v.tr.] Ammorbare, rifilare sberle e schiaffi, es.: ncopanale quattru scaffi ‘dagli quattro sberle’. 2 Impiegare in termini temporali, es.: cci’ha ncopanatu tre ure ad arrivare ‘ci ha impiegato tre ore ad arrivare’. 3 Utilizzare, mettere, es.: cci’aju ncopanatu benzina agricola ‘cci’ho messo benzina agricola’.

Ncotracàre [v.tr.] Termine impiegato per indicare che un qualcosa si è indurito e incrostato su una superficie, es.: chidde olive ce su ncotracate nterra ‘quelle olive ci (si) sono solidificate in terra’.

Ncozzàta [s.f.] Terra durissima, come la conchiglia di una cozza.

Ncrapettàre 1 [v.tr.] Brutale rituale di Ndrangheta e di Mafia consistente nel legare alla vittima mani e piedi dietro la schiena, e passargli la stessa corda attorno al collo, così da provocare con molta probabilità la morte per auto-strangolamento. Ben pochi malavitosi lascerebbero al proprio destino la persona ncrapettàta, spesso viene uccisa con un colpo di pistola in faccia; in ogni caso rimane il simbolismo del trattamento, ossia di una grande sofferenza prima della morte. 2 Termine volgare, con forti venature maschiliste, che indica una selvaggia trombata alla pecorina, anzi alla caprina.

Ncrassàre [v.tr. v.intr.pron] Far diventare grasso o più grasso, ingrassare, metter su chili, cospargere di grasso uno strumento o un macchinario, da cui ncrassàta ‘ingrassata’, ma anche ‘incinta’, esempi: si troppu lientu, e ncrassare nu pocu ‘sei troppo magro, devi ingrassare un po’’, è ncrassata sorta? ‘è incinta tua sorella?’.

Ncriccàre 1 [v.tr.] Termine riferito ai motori delle auto quando si bloccano o funzionano male per un motivo meccanico, variante ncrippàre. 2 Accavallare, arricciare, es.: mi s’è ncriccatu nu pede ‘mi si è bloccato il piede’ (a causa del nervo accavallato).

Ncriddàre [v.intr. v.intr.pron] Verbo adoperato molto dagli uomini, significa fare la pipì, ma non nel cesso, bensì dove è più opportuno in quel momento, da cui ncriddàta ‘pisciata’; in senso scherzoso, l’atto si concretizza descrivendo lunghi archi di urina, simulando la traiettoria che teoricamente farebbe un grillo saltando, esempi: vaju e me ncriddu ‘vado a fare la pipì’ m’aju fattu na ncriddata ‘mi sono fatto una pisciata’.

Ncriddiàre [v.tr.] Aggredire, ingiuriare.

Ncrippàre [v.tr.] Guarda ncriccare.

Ncrippulàre [v.tr.] Screpolare, indurire, far fare la crosta; il termine, specie al participio passato ncrippulàtu, è soprattutto impiegato per indicare i panni che si stanno asciugando troppo, oppure alla crosta che si forma su cibi che vengono infornati, infine alla terra coltivata e successivamente indurita dal sole.

Ncriscìenza [s.f.] Pigrizia, indolenza, es.: m’è benuta na ncriscienza cu tte dicu ‘mi è venuta una pigrizia che non ti dico’.

Ncriscìre [v.intr.pron.] Impigrirsi, non avere voglia, es.: se ncriscia u fatiga ‘gli rincresce (gli dispiace) lavorare’.

Ncrisciùsu [agg. s.m.] Pigro, poltrone, scansafatiche, variante ncrisciulùsu, esempi: oih cum’è ncrisciusu! ‘oh com’è pigro!’ (e annoiato), è nu ncrisciulusu ‘è un accidioso’.

Ncristàre [v.intr.] Aggredire, assalire, rincorrere; il termine è riferito ad animali che quasi mai aggrediscono un uomo adulto, come il gatto, il quale se lasciato senza via di fuga non può far altro che assalire; il termine è però usato soprattutto per descrivere l’aggressività del gallo, es.: m’ha ncristatu nu gaddu ‘mi ha aggredito (saltato addosso) un gallo’.

Ncritàre [v.tr. intr.pron.] Sporcare/rsi di fango, di creta; poco usata la forma all’infinito, di fatto viene adoperato solo il participio passato ncritatu come aggettivo qualificativo.

Ncrizzulàre [v.intr.] Rabbrividire, avere la pelle d’oca, per lo spavento, il freddo o sentimenti molto toccanti, variante ncrizzuliàre, esempi: mammaré, me fattu ncrizzulare ‘mamma mia, mi hai fatto paura’, me ncrizzulanu i carni quannu vidu chiddu firme ‘mi viene la pelle d’oca quando vedo quel film’, te ncrizzulanu i carni si u vidi cuemu se cumporta ccu ru zianu ‘ti vengono i brividi (per la freddezza che dimostra) se tu lo vedessi come si comporta con suo zio’.

Ncrizzulùne [s.m.] Brivido, pelle d’oca.

Ncruce [avv.] In croce, cul de sac, angustiare, mettere in croce, es.: m’ha mmisu ncruce ‘mi ha afflitto’.

Ncruciàre [v.tr.] Incrociare, fare intersecare, ovvero mettere qualcosa di traverso a un’altra come due tavole inchiodate a croce.

Ncrumàre [v.intr.irr.] Incaponirsi, ostinarsi, variante ncromàre, es.: si le ncroma u bbena ‘se si intestardisce non viene’.

Ncruppa [avv.] In groppa, sul dorso.

Ncruscàta [agg.] Aggettivo adatto ad una persona viziata e troppo coccolata, ossia persona che ha ricevuto una educazione assai indulgente; non è infrequente vederla ancora in famiglia nonostante l’età da matrimonio.

Ncrużżiddàre [v.tr.] Ficcare, assestare, spingere meticolosamente qualcosa dentro ad un contenitore per farcela stare, es: tantu aje fare ca ci l’aju ncrużżiddare ‘tanto devo fare che ce lo devo fare stare’; variante meno usata ncrużżare.

Ncuaciàre [v.tr.] Imbiancare, tinteggiare, pittare, variante nquaciare.

Ncuaciatùre [s.m.] Imbianchino, pitture, variante nquaciatùre.

Ncucchjàre [v.tr.] Unire, accorpare, aggregare a due a due, sinonimo di accucchjare, es.: su ncucchjati ‘sono accoppiati’.

Ncucunàre [v.intr.pron.] Accovacciarsi, accoccolarsi, abbassarsi sui talloni, es.: ncucunate tu ca me fa male a catrea ‘abbassati tu che mi duole la schiena’; guarda anche ncurunare e ncuddurare.

Ncuddàre 1 [v.tr.] Incollare, appiccicare, variante ncoddàre. 2 Accollare, addossare, es.: mi l’ha ncuddati a mmie ‘me li ha caricati a me’.

Ncudduràre [v.dif.] Verbo impiegato per descrivere l’amore tra gli ofidi, ma anche l’acciambellarsi dei gatti che ronfano, es.: e vipare ppe fare l’amuri se ncudduranu ‘le vipere per fare l’amore si attorcigliano’.

Ncueculàre [v.tr.] Guarda ncoculare.

Ncùeddu [l.avv.] Addosso, in braccio, sulle spalle, attorno al collo, esempi: a chjave ci l’aju ncueddu ‘la chiave ce l’ho addosso’, vieni ncueddu ‘vieni in braccio’, (loc.) core cuntientu e ra viertula ncueddu ‘cuore contento e la bisaccia in spalle’ (avere una brava moglie consola anche dallo stato di povertà), (loc.) chine bedda vo parire ligna ncueddu a de purtare ‘chi bella vuole apparire legna sulle spalle deve portare’ (la vera bellezza è quando si riesce anche ad essere utili, specie per la propria casa), (loc.) si vue durmire a liettu mueddu e carriare ligne ncueddu ‘se vuoi dormire a letto soffice devi portare legna in spalle’ (se vuoi realizzarti devi lavorare sodo); guarda anche nconcolò.

Ncugnàre 1 [v.tr.] Battere, inchiodare, fissare, conficcare, esempi: ncugnacce na marteddata ‘battici una martellata’, cci’ha ncugnatu na tavula ‘ci ha inchiodato un’asse’, ncugnace nu chjuevuru ‘conficcaci un chiodo’; guarda anche cugnu. 2 Assestare, picchiare, esempi: l’ha ncugnatu nu cavuce ‘gli ha dato un calcio’, (loc.) chiddu chi me si te sugnu, tu me mini ed io te ncugnu ‘quello che mi sei ti sono, se tu me le dai ti meno pure io’ (litigi tra marito e moglie). 3 Trombare, scopare, sinonimo di ficcare, da cui ncugnàta ‘chiavata’, es.: tu ncugni? ‘vuoi scopare?’. 4 Appioppare, rifilare, es.: ncugnale 200 euri ppe chidda cammisa ‘appioppagli 200 euro per quella camicia’. 5 Metterci, impiegare in termini temporali, es.: u trenu Milanu-Cutrueni cci’ha ncugnatu cchjù de diciott’ure ‘il treno Milano-Crotone ha impiegato più di diciotto ore’. 6 Bere, mangiare tanto, esempi: chjicchjariannu s’ha ncugnatu na buttigghja sana sana ‘chiacchierando si è scolato una bottiglia intera’, s’è ncugnatu menzu chilu e pasta ‘si è mangiato mezzo chilo di pasta’. 7 Pigiare, calcare, es.: ci l’e ncugnati tutti ‘ce li hai messi tutti’.

Ncùjina [s.f.] Incudine, grossa base d’appoggio in ferro.

Ncujìre 1 [v.intr.] Sforzarsi, impegnarsi, specie durante una seduta in bagno non proprio facilissima. 2 Premere, pigiare, spingere qualcosa in un contenitore.

Nculàre 1 [v.tr.] Imbrogliare, fregare, inculare, da cui nculata ‘fregatura’. 2 Sodomizzare, farlo da dietro.

Nculirciàre [v.rifl.] Alla lettera ‘informichirsi’, da culircia ‘formica’, assumendo il significato figurato di ‘inalberarsi’ ‘stizzirsi’ ‘incollerirsi’.

Nculu 1 [l.avv.] In culo, anche aferesi di fanculu, adoperato per intercalare quando si apprendono notizie che, per la loro esagerazione, meravigliano o stupiscono, esempi: nculu quantu custa! ‘boia cane quanto costa’, nculu a ttie ‘fanculo a te’. 2 Contro, in opposizione, esempi: me vai nculu ‘mi vai contro’, le dici bravu e capiscia nculu ‘gli dici bravo e capisce contro’ (persona che fraintende).

Ncumpidìenza [s.f.] In confidenza, in amicizia.

Ncuntràre [v.tr.] Incontrare, incrociare.

Ncuntu [l.avv.] In conto, es.: mintala ncuntu ca ma paghi ‘mettila in conto che me la paghi’.

Ncurpàre [v.tr.] Incolpare, accusare.

Ncurunàre [v.tr.] Incoronare, cingere il capo con una corona o una ghirlanda; da cui Ncurunata titolo che si da alla Madonna.

Ncuttu [agg.] Stretto, fitto, stivato, es.: intr’u postale simu stati ncutti cumu sarde ‘dentro all’autobus siamo stati stivati come sardine’.

Ncutufàtu [agg.] Dormiglione, pigrone.

Ncuvercchjàre [v.tr.] Coprire, coperchiare o coverchiare.

Ncuzzeddàre [v.tr.] Ammucchiare, sistemare qualcosa alla buona; cfr ncrużżiddare.

Ndràngheta [s.f.] La più affermata e potente organizzazione criminale dell’Europa occidentale e tra le più pericolose ed influenti al mondo. Nasce nella provincia di Reggio Calabria, nella seconda metà dell’Ottocento, ossia dopo l’Unità d’Italia, nello stesso momento in cui nasceva la Mafia in Sicilia (guarda mafiusu), sarà un caso? Oggi, a parità di popolazione, è diffusa anche nella provincia di Crotone e nei maggiori centri finanziari e imprenditoriali italiani; propaggini strutturate sono presenti in Germania, Svizzera, Spagna, Francia, Olanda, nonché nel continente australiano ed americano; in quest’ultimo continente l’organizzazione sarebbe operativa soprattutto in Canada e Sud America. Secondo le forze dell’ordine, in Calabria sono attualmente operanti circa 155 clan locali (definiti cosche o ‘ndrine) che affiliano circa 6.000 persone, legate spesso tra loro da vincoli familiari, dedite ad ogni tipo di attività criminale, dall’estorsione al traffico di plutonio, dal mercato globale della cocaina al controllo degli appalti, tangenti, traffico di persone, traffico di armi, massoneria, contraffazione, riciclaggio, smaltimento di rifiuti tossici, l’elenco è lungo. Fattura ogni anno intorno ai 53 miliardi di euro e non ha conosciuto momenti di crisi, nemmeno dopo il fallimento della Lehman Brothers (Wiki, Relazione semestrale della DIA del secondo semestre 2016).

Nanghitìsta [s.m.] Persona affiliata alla Ndrangheta, ossia persona affiliata ad un clan, ovvero ad una famiglia.

Nduja [s.f.] Insaccato tipico della provincia di Vibo Valentia (Spilinga e altri comuni della provincia), ora diffuso anche dalle nostre parti, a base di carne di maiale e peperoncino piccante, ottenuto riempendo le orbe, intestino crasso, o budelli lunghi 80 cm circa. La parte del maiale impiegata nella produzione è quella delle costate (la più grassa), le pancette e la carne della testa e del collo; vengono aggiunti pezzi di lardo venati di magro; la quantità di peperoncino piccante è il 25-30 per cento del totale, per ogni chilo di nduja, vanno aggiunti 32 grammi di sale. È prodotta anche una nduja a base di cotenne chiamata nduja di frittuli. Una volta riempiti, i budelli vanno appesi e affumicati (V. Teti, 2007).

Ne [pron. pers.] Nell’italiano corriponde al pronome personale ‘ci’, con funzione di particella pronominale e usato solo per la prima persona plurale, esempi: ne chjama a mamma ‘ci chiama la mamma’, ne para ca no ‘ci sembra che no’; guarda anche ce, ni e nne.

Negghja [s.f.] Nebbia, foschia, bruma, da cui negghjùsu ‘nebbioso’.

Nente [pron.indef. s.m. avv.] Niente, nulla, esempi: ud aju vistu nente ‘non ho visto nulla’, nu bellu nente ‘un bel niente’, u ccusta nnente ‘non costa niente’.

Nentemènu 1 [avv] Addirittura, persino, es.: nentemenu finu ara Fratta si arrivatu! ‘addirittura fino alla Fratta sei arrivato!’. 2 [cong.] Almeno, a dir poco, es.: nentemenu a tre euro ti l’ha dde dare ‘almeno a tre euro te le deve dare’.

Nervàta [s.f.] Scudisciata, frustata, data con il tendine di grossi animali, es.: te piu a nervate ‘ti prendo a nerbate’.

Nerveggìa [s.f.] Nervosismo, agitazione, sclero, stress, tensione, tempo addietro anche isteria, variante nerviggìa, esempi: cchi nerveggia chi me fa venire chiddu dda ‘che stress che mi provoca quello là’, quannu te vidu me vena na nerveggia ranne ‘quando ti vedo mi viene un grande nervosismo’ (mi arrabbio).

Nervusìeddu [agg] Nervoso, agitato, es.: oje te vidu nu pocu nervusieddu ‘oggi ti vedo un po’ agitato’.

Nescìre 1 [v.intr.] Uscire, andare a spasso, per estensione spostarsi, levarsi, da cui nesciùta ‘uscita’ ‘sortita’, varianti poco usate nésciare e niscìre, esempi: niesciu nu pocu ‘esco un poco’, u nescisti cchjù ‘non uscisti più’, nescia de cca ‘spostati (esci) da qua’, nescia e dduecu ‘levati da qui’, ne vidimu ara nesciuta ‘ci vediamo all’uscita’, a duminica n’amu fattu na bella nesciuta aru mare ‘domenica ci siamo fatti una bella gita al mare’, (loc.) u pisce e razza u nnescia mmai fore e l’acqua ‘il pesce di razza non esce mai fuori dall’acqua’ (una persona di sane tradizioni non esce dal suo territorio d’origine). 2 Traslocare, cambiare casa, es.: ti nne si nesciutu ara casa nova? ‘hai traslocato alla nuova casa?’. 3 Estrarre, ricavare in termini di rendimento, esempi: quantu uegghju è nesciutu ccu na macina? ‘quanto olio se n’è ricavato da una macina?’, quante gonne nne nescianu ccu tre metri e stoffa? ‘quante gonne si riescono a fare con tre metri di stoffa?’. 4 Diventare, divenire, ma solo in unione con parole che indicano squilibrio o dissennatezza, esempi: si nesciutu pazzu? ‘sei diventato pazzo?’ (sei impazzito?), si nesciutu fore e capu? (oppure e medudda?) ‘sei uscito fuori di testa?’ (oppure di midollo); guarda anche mpazziscire. 5 Levare via, tinteggiare bene, ovvero far andar via macchie e aloni di umidità, es.: c’è nesciutu aru muru? ‘è venuto bene il muro?’, u nescianu mmai e macchje e sangu ‘non vengono mai via le macchie di sangue’. 6 Provenire, avere origine, es.: e duve t’è nesciuta sta parola? ‘da dove ti è uscita questa parola?’.

Nettiàre [v.tr.] Pulire, specie in termini di potatura.

Nfacce [l.avv.] Guarda mpacce.

Ngagghja 1 [s.f.] Posto stretto o piccolo, angolo angusto, es.: na ngagghja e magazienu ‘uno sputo di cantina’. 2 Fessura spiraglio, es.: guarda da ngagghja da porta ‘guarda dalla fessura della porta’.

Ngagghjàre 1 [v.tr.] Indovinare, sbrogliare, trovare, far combaciare, esempi: l’e ngagghjàta a via? ‘l’hai trovata (indovinata) la strada?’, l’e ngagghjatu u discurzu? ‘l’hai sbrogliato il discorso?’ (sei riuscito a dire quello che ti eri prefisso?), ngagghjace su fierru, vida si va ‘inseriscici (fai combaciare) questo ferro, guarda se funziona’. 2 [v.intr.] Prendere sonno, ingannarlo benevolmente o farsi ingannare, esempi: mm’è ngagghjàtu u suennu ‘mi è arrivato il sonno’ (mi ha sorpreso), aju ngagghjatu u suennu ‘ho preso sonno’ (ho ingannato, bypassato la veglia); cfr gabbare.

Ngalapàtu [agg.] Ben educato, garbato, ma anche persona abile, competente, es.: è unu ngalapatu ‘è uno garbato’ (competente).

Ngannatùre [s.m.] Ingannatore, truffatore, imbroglione, es.: (loc.) u ngannature sempre subra u ngannu cada ‘l’ingannatore sempre sopra l’inganno cade’ (chi di inganno ferisce di inganno perisce).

Ngannu [s.m.] Inganno, raggiro, imbroglio.

Ngarràre [v.tr.] Indovinare, dare nel segno; cfr ngagghjare e ngualare.

Ngattàre [v.rifl.] Trovare ristoro dal freddo raggomitolandosi e coprendosi con qualcosa a volte insufficiente, acquattandosi e acciambellandosi come fanno i gatti nella stagione fredda, es.: jamu ca ne ngattamu intr’u liettu ‘andiamo a riscaldarci (a ripararci) nel letto’.

Ngegnìeri [s.m.] Ingegnere, es.: cci’ha u figghju ngegnieri ‘ci ha il figlio ingegnere’.

Ngegnùsu [agg.] Persona intelligente, in gamba; poco usato.

Ngordu [agg.] Ingordo, avaro.

Nguàcciu [l.avv.] Di fronte, di rimpetto.

Ngualàre [v.tr.] Azzeccare, indovinare, ma anche incrociare per caso, imbattersi, esempi: l’e ngualàta a tris? ‘l’hai azzeccata la tris?’, u ngualàsti a fratitta ‘l’incrociasti tuo fratello?’.

Nguàntu [s.m.] Guanto, ossia accessorio dell’abbigliamento che ricopre la mano fino al polso.

Nguliàre [v.tr.] Invogliare, far venire voglia, allettare, es.: allora me vue nguliare ‘allora mi vuoi lusingare’.

Ngrannìre [v.tr.] Ingrandire, sviluppare.

Ngumàre [v.tr. vintr.pron.] Cicatrizzare, il rimarginarsi di una ferita; il termine può riferirsi anche a tagli subiti da animali o piante.

Ni [pron.pers.] Pronome personale ‘ci’ o ‘ce’, varia in nni se preceduto dalla congiunzione e o dalla negazione u (non), esempi: ni l’ame spartire ‘ce lo dobbiamo spartire’, ni nn’ame jire ‘ce ne dobbiamo andare’, u nni nne duna ‘non ce ne da’, e nn’e manciamu subitu? ‘e ce le mangiamo subito?’; guarda anche ne e nne.

Nicchja [s.f.] Nicchia, pertugio.

Nicessàru [agg. s.m.] Necessario, tutto quello di cui non si può fare a meno o che serva per uno specifico fine.

Nicessitàte [s.f.] Necessità, bisogno, es.: carciaru, malatie e nicessitate scuveranu (o scummogghjanu) lu core de l’amici ‘carcere, malattie e necessità scoprono (o scoperchiano) il cuore degli amici’ (nei momenti difficili si vedono i veri amici).

Nidàle [s.m.] Oggetto a forma d’uovo che si lascia nel nido per stimolare la cova; lo stesso termine indica il luogo (il nido) dove la gallina deposita le uova.

Nìervu 1 [s.m.] Nervo, tendine, quello di alcuni animali viene tuttora impiegato come persuasore per domare altri animali; fino a non molto tempo fa anche qualche ‘scapestrato’ (es.: l’aju piatu a nervate ‘l’ho preso a nerbate’), poi l’avvento della plastica e l’adozione di nuovi costumi ne ha oscurato il diffondersi; guarda nervata. 2 Il plurale niervi ‘nervi’ indica la sfera emotiva e impulsiva della persona, es.: m’ha fattu sagghjire i niervi ‘mi ha fatto salire i nervi’ (mi ha fatto arrabbiare).

Nìespulu [s.m.] Nespolo moderno Eriobotrya japonica Thunb. & Lindl., è la specie più diffusa, sia in campagna sia nei supermercati ed è stato importato dal Giappone; molto di rado, si incontra un nespolo comune, Mespilus germanica L.

Nìettu [agg. s.m.] Pulito, lindo, netto, che rispetta le norme igieniche, femminile netta, esempi: Sisina è una netta ‘Tommasina è una pulita’ (rispetta le norme igieniche di base, ti puoi fidare), (loc.) l’erva u tena friscu, u ruviettu u tena apiertu, jamuninne maritu miu c’u granu e niettu ‘l’erba lo tiene fresco, i rovi lo tengono aperto, andiamocene marito mio che il grano è pulito’ (lavorare stanca).

Niguràstru [agg.] Nerastro, ossia cosa, animale o persona che ha un colore tendente verso il nero.

Nìguru [agg.] Nero, molto scuro, ne deriva nigurusu ‘nerastro’ ‘scuro’; il diminutivo nigurieddu indica un bambino/ragazzo africano’. Durante l’avanzata degli alleati, nella seconda guerra mondiale, col termine niguru piciaru (nero come la pece) veniva indicata la prima linea alleata, formata da soldati africani o afro-americani; con le stesse parole viene designato anche un bambino molto sporco o molto abbronzato.

Nigurùme [s.m.] Nerume, affumicato dal fumo del fuoco, es.: chiddu focularu è nu nigurume ‘quel focolaio è un nerume’.

Nimicìżża [s.f.] Inimicizia, ostilità, discordia, esempi: siti ancora in nimiciżża? ‘siete ancora in discordia?’, (loc.) si vue nimiciżże mpresta sordi e riprinna viżżi ‘se vuoi inimicizie presta soldi e riprendi vizi’ (se non vuoi conflitti e ostilità non prestare soldi e non chiamare persone o amici solo perché ti serve un complice nel vizio).

Nimìcu [s.m.] Nemico, rivale, avversario, esempi: (loc.) e vistu dui nimici jire a spassu e cani e gatti spruppare a n’uessu? ‘hai visto due nemici andare a spasso e cani e gatti spolpare su un osso?’ (proverbio usato per riferirsi ad eventi inconciliabili tra di loro, o impossibili), (loc.) all’amicu u lle dire quantu sai, vena nu juernu chi nimicu l’hai e tutti i segreti tui te caccia fora ‘all’amico non dirle quanto sai, verrà il giorno che nemico l’hai e tutti i segreti tuoi te (li) caccia fuori’ (anche con gli amici è meglio essere cauti).

Ninna [agg. s.m.] Piccola, bambina, variante ancora più vezzeggiativa ninnuzza (bambina) ‘piccina’, es.: duv’è a ninnuzza mia ‘dov’è la mia piccina’.

Ninucchjùni [agg.] In ginocchio, inchinato.

Nipùte [s.m.inv.] Nipote, da cui nipùtimma ‘mio nipote’ e nipùtitta ‘tuo nipote’, adoperati anche i diminutivi niputieddu o niputuzzu ‘nipotino’.

Niputédde [s.f.pl.] Alla lettera ‘nipotine’; guarda chjinuliddi.

Nive [s.f.] Neve, precipitazione nevosa, in particolare nive acquagnùsa ‘nevischio’, acqua a nnive ‘acqua a neve’ (pioggia che potrebbe preannunciare neve) e acqua e nive ‘acqua di neve’ (neve che cadendo si è trasformata in pioggia), esempi: (loc.) (suocera) bona venuta nora mia mpalazzu, vorre durare quantu a nive du mise e marzu  (nuora) bonatruvata socra mia gentile vorre durare quantu a nive du mise d’aprile (suocera) ‘benvenuta nuora mia nel mio palazzo, possa tu durare come la neve del mese di marzo’ (nuora) ‘ben trovata suocera mia gentile, possa tu durare quanto la neve del mese d’aprile’ (scambio di simpatie tra suocera e nuora), (loc.) e vistu a maju e giugnu nivicare e subra u mare a nive ligare? ‘hai visto a maggio e giugno nevicare e la neve sopra il mare legare?’ (si dice quando si vuol sottolineare che una cosa non la faremo mai, o per un evento inconsueto/raro), ricogghjate priestu ca chissa è acqua a nive ‘rincasa presto che questa è acqua a neve’.

Nivèra [s.f.] Bufera di neve, grande nevicata, es.: ha fattu na nivera ‘ha fatto una grossa nevicata’; qualcuno indica ancora con questo nome la ghiacciaia, ossia la conservazione della neve pressata e accumulata in un luogo riparato e successivamente usata come ghiaccio durante la calura estiva.

Nna [cong.] Parola composta dalla congiunzione negativa nne ‘né’ e la terza persona singolare avere ha, la grafia corretta è nn’ha, es.: u nn’ha sordi? ‘non ne ha soldi?’; guarda anche nne.

Nnacàre [v.tr.] Cullare, dondolare; le culle d’altri tempi erano appese al soffitto e facilitavano il dondolio.

Nnaju [cong.] Parola composta dalla congiunzione negativa nne ‘ne’ e indicativo presente prima persona singolare avere aju ‘ho’, nn’aju ‘ne ho’, es.: u nn’aju sordi ‘non ne ho soldi’.

Nnamuràre [v.tr. v.intr.pron] Far innamorare, innamorarsi, da cui nnamuràta ‘fidanzata’ ‘innamorata’, es.: (loc.) a Pasqua e a Natale u tte jire a nnamurare ca tutte e fimmine brutte bedde paru ‘a Pasqua e a Natale non andarti a innamorare che tutte le donne brutte belle appaiono’.

Nnavìre [cong.] Parola composta dal pronome nne e l’infinito avire ‘avere’, molto simile al significato italiano di ‘averne’, es.: u nn’avire vrigogna si te piriti ‘non averne di vergogna se scorreggi’.

Nne 1 [pron.pers.] Pronome ‘ne’, esempi.: nne vue? ‘ne vuoi?’, u nne stipare ‘non ne conservare’; guarda anche ne, ce, e nna, nnaju, nnavire unito al verbo avere. 2 [avv.] Avverbio ‘ne’, es.: mo nne viegnu ‘adesso ne vengo’. 3 [cong.] Congiunzione ‘né’ con valore negativo, es.: u ssu benuti nné u patre nné u frate ‘non sono venuti né suo padre né suo fratello’; da distinguere da nn’è, es.: u cci nn’è ‘non ce n’è’.

Nneaccàru [l.avv.] Alla lettera ‘ne ha a caro’ con venature ironiche, ovvero ‘ha voglia solo di’ ‘è bravo solo a’ oppure ‘è già tanto se’, esempi: nneaccaru u dorma ‘ha voglia solo di dormire’ (oppure ‘è bravo solo a dormire’), nneaccaru ca a telefonu ‘è già tanto che la telefono’, (loc.) quannu te cada a cammisa curta, nneaccaru u ta strudi ‘quando ti cade corta la camicia, la cosa più saggia è consumartela’ (per non buttare via una cosa non buona o non perfetta, l’azione migliore non è gettarla, ma consumarla senza tanti problemi).

Nniànu 1 [s.m.] Tacchino, Meleagris gallopavo L., nnianìeddu ‘tacchino di piccola taglia’; guarda anche pennimueccu. 2 Indiano d’America.

Nno [avv.] Guarda nnu.

Nnocca 1 [s.f.] Fiocco, coccarda, adoperato anche il suo diminutivo nnocchicèdda ‘fiocchettino’. 2 Nodo, nodo della cravatta, es.: fatte na nnocca aru maccaturu ‘fai un nodo al fazzoletto’.

Nnu [avv.] Avverbio di negazione ‘non’, rinvenibile in questa forma quando si vuole dare più vigore alla negazione, spesso è preceduto dalle preposizioni a e ppe o dalle congiunzioni e e ma, variante nno, esempi: cada e duminica, nno de sabatu ‘cade di domenica, non di sabato, a gghjire e nnu butare e tiempu pierzu ‘ad andare e non votare è tempo perso, ppe nnu fare nente ‘per non fare nulla, jancu e nno russu ‘bianco e non rosso’, vacce e sira ma nno de juernu figghjarì ‘vacci di sera ma non di giorno figliolo’.

Nnuccu 1 [s.m.] Stupido, ingenuo. 2 Eunuco.

Nnugghja 1 [s.m.] Il pene degli animali, in genere quello del maiale, esempi: a nnugghja du puercu ‘il pene del maiale’, (loc.) vai cuemu a nnugghja du cane ‘vai come il pisello del cane’ (persona che non si ferma mai, un po’ di qua un po’ di là); è metaforicamente usato al plurale per sottolineare l’assenza di qualcosa, oppure che non si ha niente, es.: cci nn’ha nnugghje! ‘ce ne sono cazzi!’ (non c’è niente!), nnugghje c’è truevi si vai mo ‘cazzi ci trovi se ci vai adesso’; cfr tuetula e cazzu. 2 Salame fatto riempendo lo stomaco del maiale con tagli di carne non pregiata, come quella insanguinata del collo e parti grasse, impastata con peperoncino piccante, semi di finocchio e sale. In altre parti della Sila e delle Serre catanzaresi, con lo stesso nome viene indicato un altro salame, conosciuto a Mesoraca col nome di suzizza purmunara ‘salsiccia polmonare’.

Noni [avv.] No, proprio no, none, es.: noni, t’aju dittu ca no ‘no, ti ho detto che no’; cfr sini.

Nova [agg.] Nuova, novità, esempi: a stirapetra nova ‘la fionda nuova’, a via Nova ‘la via Nuova’ (Via Nazionale), Santu Ntria porta a nova, ccu ru sie è Nicola, l’uettu è Maria, u tridici è Lucia e u 25 è u veru messia ‘Sant’Andrea porta la nuova, con il sei è Nicola, l’otto è Maria, il tredici è Lucia e il 25 è il vero messia’; guarda anche nuevu.

Novìna [s.f.] Insieme di persone, o animali, o cose, o eventi pari a nove o circa nove.

Nozzulùsu 1 [agg.] Persona non sopportabile, che irrita facilmente. 2 Frutto o composto qualsiasi, che contiene molti semi; guarda anche nuezzulu.

Nquaciàre [v.tr.] Guarda ncuaciàre.

Nquaciatùre [s.m.] Guarda ncuaciatùre.

Nsagulàre [v.tr.] Legare con sagole.

Ntàbacu [s.m.] Impiastro, persona facile da infinocchiare.

Ntabbarràre [v.tr.] Coprirsi con il tabarro, il mantello dei contadini, molto pesante ma scarsamente elegante, da cui ntabbarràtu ‘incappotato’ ma anche ‘inelegante’.

Ntacca 1 [s.f.] Segno, incisione, tacca. 2 Vagina, vulva.

Ntaccàre [v.tr.] Incidere, fare un piccolo segno, specie sul legno, es.: olive ntaccate ‘olive incise’ (per favorirne velocemente la commestibilità).

Ntacciàre 1 [v.intr.] Frenare di colpo, es.: aju fattu na ntacciata ‘ho fatto una frenata’ (brusca). 2 [v.tr.] Apporre le tacce alle suole delle scarpe; guarda anche taccia.

Ntanàre [v.intr.pron] Rintanarsi, rifugiarsi, nascondersi, da cui ntanàtu ‘rifugiato’ ‘nascosto’, es.: va ntanate due mammata ‘vai a nasconderti (rintanarti) da tua mamma’.

Ntantavìgghja [s.f.invar.] Dormiveglia, mezzo dormire, mezza veglia.

Ntantu [avv.] Intanto, nel frattempo.

Ntappàre [v.tr.] Tappare, otturare.

Ntartaràre [v.tr.] Lordare, insozzare, insudiciare, da cui ntartaràtu ‘persona molto sporca’.

Ntassàre 1 [v.tr.] Metodo di pesca dell’anguilla o della trota molto poco corretto e molto dannoso per l’ambiente, consistente nel gettare cianuro di potassio o calce viva all’interno di una vasca naturale creata dal fiume (guarda vuddu) per uccidere o stordire i pesci presenti. In tempi neanche tanto antichi, per ntassare venivano usati i semi e le radici di una pianta chiamata euforbia (Daphne gnidium L.), racchiusi in sacchi che poi venivano pestati con i piedi dentro al bacino ove s’intendeva pescare. 2 [v.intr.] Scoreggiare o impuzzire, appestare, con qualcosa di maleodorante.

Ntenna [s.f.] Antenna, ossia dispositivo atto a captare, o trasmettere, campi elettromagnetici, es.: a ntenna da televisione ‘l’antenna del televisore’; guarda anche ntinna.

Ntennìre [v.tr.] Intendere, capire, comprendere, di rado sono usate le varianti nténnare, nténnere o ntinnìre.

Nterrìre [v.tr.] Spaventare, atterrire, es.: l’ha fattu nterrire ‘l’ha fatto impaurire’.

Ntestìnu [s.m.] Intestino, budello, da cui ntestinàte ‘intestino nel suo insieme’ e ntestìna ‘budella’.

Nticchja [avv.] Poco, un poco, una manciata, pezzetto, es.: damminne na nticchia ‘dammene un pochino’.

Ntìeru [agg.] Intero, completamente, ripetuto due volte è usato come rafforzativo, ntieru-ntieru.

Ntilettàta [s.f.] Parete, chiusura, divisorio, variante ntirilettata, es.: na ntilettata e canne ‘una parete di canne’.

Ntinna 1 [s.f.] Pilone o traliccio, in metallo o altro materiale (legno, cemento), montato con lo scopo di sostenere qualcosa, ad esempio cavi elettrici; guarda anche ntenna. 2 Nome del quinto vuddu della jumara, fratello maggiore della Ntinnicèdda, quest’ultima posta un centinaio di metri più a valle, esattamente compresa tra le località chiamate Acqua frisca e Piducchjùsa; ottima palestra per chi doveva imparare a nuotare; le piene e l’incuria delle persone hanno cancellato questo vuddu. 3 [v.intr.] Indicativo presente terza persona singolare di ntinnare.

Ntinnàre [v.intr.] Il suono che si produce facendo vibrare qualcosa di teso o sufficientemente rigido, risuonare, da cui ntinnu ‘tintinnio’ ‘suono’.

Ntisa 1 [s.f.] Il senso dell’udito, es.: a ntisa l’aju bbona ‘l’udito ce l’ho buono’. 2 Intesa p.p. di intendere, nel senso di aver sentito e compreso qualcosa da qualche parte, e quindi qualcosa di udito, esempi: sta nutizza parca l’aju ntisa ara radiu ‘questa notizia (mi) pare che d’averla sentita alla radio’, l’è ntisu a patritta? ‘l’hai sentito a tuo papà?’.

Ntisicchjàre [v.intr.] Irrigidirsi e tendersi come se si fosse morti, anche per motivi fuori dalla nostra consapevolezza, trasecolare, da cui ntisicchjàtu ‘morto stecchito’ ‘rigido’.

Ntopàre [v.tr.] Guarda ntupare.

Ntorciniàre [v.tr.] Guarda torciniare.

Ntragna [s.f.] Parte grezza del lino; guarda anche stuppa.

Ntrallàzzu [s.m.] Intrallazzo, imbroglio, intrigo, scambio illecito, affare, faccenda, incombenza, da cui ntrallazzare, ovvero ‘prestarsi a compromessi e traffici illeciti per ottenere vantaggi personali’, es.: cci’aju nu ntrallazzu, ne vidimu doppu ‘ho un affare adesso, ci vediamo dopo’.

Ntramezzàre [v.intr.pron.] Parola praticamente identica all’italiano intramezzare ‘porre tra mezzo’ ‘inserire in mezzo’, il significato nel dialetto è di ‘darsi da fare’ ‘interessarsi a fare qualcosa’ ‘ingegnarsi per la soluzione di un problema’, es.: dille a fratitta u se ntramezza ppe ru bigliettu e l’aeriu ‘digli a tuo fratello di interessarsi per il biglietto dell’aereo’; variante ntramèzzare.

Ntrappulàre [v.tr.] Intrappolare, catturare.

Ntrècciu [s.m.] Intreccio, orditura, anche trama, macchinazione.

Ntrega [l.avv.] Ripetuto due volte ntrega-ntrega assume il significato di ‘in attesa, in aspettativa’, es.: me fa stare ntrega-ntrega ‘mi fa stare in sospeso’.

Ntricàre [v.tr. v.intr.pron.] Impicciarsi, ficcanasare, intromettersi, intricare, esempi: u tte ntricare ca ce pienzu iu ‘non ti intromettere che ci penso io’, (loc.) u tte mpacciare u tte ntricare u fare bene c’u ricivi male ‘non ti impicciare non intrometterti non fare bene che non ricevi male’ (fatti i cazzi tuoi, che anche se fai bene c’è il rischio che ti fraintendano).

Ntrichìeri [s.m.] Impiccione, curioso.

Ntricu [s.m.] Intrigo, imbroglio, raggiro.

Ntrifilàre 1 [v.tr.] Riuscire a indovinare o trovare la via giusta, in generale avere un’intuizione (insight, soluzione) riguardo ad un problema da risolvere, esempi: a ntrifilasti a via? ‘indovinasti la strada?’, u ru ntrifili cchjù ‘non lo trovi più’. 2 [v.rifl.] Intrufolarsi, infilarsi, introdursi, es.: ntrifilate due u miedicu ‘intrufolati (nella fila) dal medico’.

Ntrigatùru [s.m.] Incannatoio, ossia il fuso di ferro che serve per riempire i cannelli, variante ntricatùru.

Ntrigghjàre [v.tr. v.rifl.] La proprietà di un liquore, o di una qualsiasi sostanza psicotropa, di salire in testa velocemente e pesantemente; vale anche come sinonimo di ubriacare, bere tanto, prendersi una trigghja, es.: ntrigghja assai su vinu ‘ubriaca molto questo vino’; guarda anche ntrummare.

Ntrimmédiu [s.m.] Termine generico dal significato ambivalente, ovvero oggetto non meglio precisato che risolve un problema, ma potrebbe anche crearlo, a seconda se ne abbiamo bisogno in quel momento; talvolta il termine è anche usato come sostituto di un oggetto che non ricordiamo il nome; vale, quindi, anche come sinonimo di arnese, impaccio, variante ntrimmìediu, esempi: levame su ntrimmiedu de palle ‘levami questo intralcio  dai coglioni’, passame u ntrimmiedu ppe azare a machina ‘passami il coso (il cric) per alzare l’auto’, chjuda su ntrimmiedu ca vula ‘chiudi questo oggetto (ombrellone) che vola’; guarda anche commidu.

Ntritrolàtu [agg.] Letteralmente ‘incetriolito’, ovvero ‘rincretinito’ ‘rincoglionito’; p.p. di ntritrolàre ‘rincitrullire’.

Ntrocchja [s.f.] Donna diversamente costumata, o che si atteggia come tale per divertirsi o divertire, es.: figghj’e ntrocchja ‘figlio di mignotta’; termine non molto usato.

Ntròitu [s.m.] Introito, guadagno, es.: cchi ntroiti n’avimu nue? ‘che guadagni ne abbiamo noi?’.

Ntrummàre [v.tr.] Bere molto, ubriacarsi, sinonimo di ntrigghjare; il termine può essere riferito anche ad un vino che da alla testa, che ubriaca velocemente, es.: aih cuemu ntrumma stu vinu! ‘aih come sale questo vino!’.

Ntrunàre [v.tr. v.intr.pron.] Assordare, frastornare con grida, rumori o musica, ma anche rincoglionirsi, sballarsi con alcol o altre sostanze psicotrope, intronarsi, variante ntronàre, da cui ntrunàtu ‘rintronato’ ‘rincoglionito’ ‘stordito’.

Ntruppàre [v.intr.] Il rinvigorirsi di una pianta dopo il suo trapianto o semina, in altre parole pianta che attecchisce con vigore con buttate e polloni numerosi, variante ntroppàre.

Ntrùscia [avv.] Essere senza soldi, al verde, es.: sugnu ntruscia ‘sono squattrinato’.

Ntuentuliscìre [v.tr.] Intontire, rincoglionire, istupidire, da cui ntuntìtu ‘intontito’ ‘stordito’.

Ntuerniàre [v.tr.] Contornare, circondare, cingere, ne deriva ntùernu o nturnu ‘intorno’.

Ntuessicàre [v.tr.] Avvelenare, intossicare.

Ntunàre [v.intr.irr.] Bussare, battere ad una porta.

Ntunnu [avv.] In tondo, intorno; cfr ntuerniare.

Ntupàre 1 [v.tr.] Scopare, andare a letto con qualcuno, variante ntopàre, esempi: a chidda li l’aju ntopatu ‘a quella gliel’ho ficcato’ (me la sono fatta), tutta a notte a ntupare cumu cunigghji ‘tutta la notte a trombare come conigli’. 2 Picchiare, menare le mani o i piedi, es.: ntopale due mappine ‘dagli due ceffoni’. 3 Segnare, fare goal, es.: ntopale nu gollu ‘fagli una rete’.

Nturdunàre [v.tr.] Rincretinire, istupidire, da cui nturdunìtu e di rado nturdunisciùtu ‘rimbambito’ ‘stordito’.

Nturvulàre [v.dif.] Intorbidare, agitare, es.: e nturvulatu u vinu ‘hai intorbidito il vino’.

Ntustàre 1 [v.tr.] Indurire, tostare, es.: mi cc’e fattu ntustare ‘mi ci hai fatto indurire’ (ghiacciare, ossia ‘ho sofferto molto il freddo aspettando il tuo arrivo’). 2 Eccitazione maschile, l’irrigidirsi del membro, ma anche scopare, trombare, esempi: mi l’ha fattu ntustare ‘me lo ha fatto venir duro’, li l’aju ntustatu ‘gliel’ho intostato’ (l’ho chiavata). 3 [v.intr.pron.] Ubriacarsi, stordirsi con l’alcol, da cui ntustàtu ‘ubriaco’; guarda anche tuestu.

Nu 1 [art.indet.m.] Articolo indeterminativo ‘un’, esempi: nu miedicu ‘un medico’, n’urzu ‘un orso’; guarda anche unu e na. 2 [pron.pers.] Pronome personale ‘ce’ (ni) unito al pronome ‘lo’ (u), la grafia corretta è n’u, esempi: nue n’u piamu ‘noi ce lo prendiamo’, u nn’u dire ‘non ce lo dire’. 3 [avv.] Avverbio di negazione non, variante nnu, esempi: e nu de venire dduecu!? ‘e non devi venire qui!?’, (loc.) fa u ciuetu ppe nnu gghjire ara guerra ‘fa il cretino per non andare alla guerra’, (loc.) è nu campare ppe nnu murire ‘è un campare per non morire’; guarda anche u.

Nueàtri [pron.indef.] Noi, noi altri.

Nubirtà [s.f.] Nobiltà, aristocrazia.

Nuce [s.m.] Noce, Juglans regia L., esempi: nuci e vinu cervieddu finu ‘noci e vino cervello fino’ (anche un focolare non guasta), (loc.) su cchjù e vuci ca e nuci ‘sono più le voci che le noci’ (sono più parole che sostanza); da segnalare altri due tipi di noce: nuce du cueddu ‘noce del collo’ (nuca) e nuce du pede ‘noce del piede’ (malleolo), es.: (lap.) chi te via u te rumpi a nuce du cueddu ‘che ti possa veder rompere la noce del collo’ (fracassarti la testa).

Nucìddu [s.m.] Nocciolo, sia l’albero che il frutto Corylus avellana L., il plurale invece è nucìdda o nucìddi.

Nuddu [pron.indef. s.m.] Nessuno, nessuna persona, niuno, esempi: nuddu te crida ‘nessuno ti crede’, nuddu u sapia ‘nessuno lo sapeva’, nudda perzuna ‘nessuna persona’ u ssi nuddu ‘non sei nessuno’, (loc.) amicu ccu tutti, fedele ccu nuddu ‘amico con tutti, fedele con nessuno’ (c’è molta Calabria in questo proverbio).

Nudu [s.m.] Nodo, groviglio.

Nue [pron.pers.] Pronome personale ‘noi’, esempi: megghju nue ca vue ‘meglio noi che voi’, ccu nnue u cce vieni ‘con noi non ci vieni’, (preghiera) Oh Regina incoronata che in cielo sei andata, e de nue u tte scurdare e l’anima mia tu me sarvare ‘Oh Regina incoronata che in Cielo sei andata, e di noi non ti scordare e l’anima mia tu mi (devi) salvare’.

Nùestru [agg.poss. pron.poss.] Nostro, esempi: u cuginu nuestru ‘il nostro cugino’, a famigghja nostra ‘la nostra famiglia’, cca cc’è u nuestru ‘qui c’è il nostro’ (di nostra proprietà), stai da parte nostra o chidda du nimicu? ‘stai dalla nostra parte o quella del nemico?’.

Nùettula [s.f.] Nottola, pipistrello comune, Nyctalus noctula noctula Schreber, es.: aju piatu na nuettula, era brutta cumu tie ‘ho catturato una nottola, era brutta come te’.

Nùevu [agg.] Nuovo, recente, esempi: u vinu nuevu ‘il vino nuovo’, mmisca u casu viecchju ccu ru nuevu ‘mescola il cacio vecchio con il nuovo’.

Nuezzulàru [s.m.] Persona che raccoglie i nùezzuli, ossia le olive rinsecchite a terra dopo la raccolta e per estensione ‘persona avara’ ‘spilorcio’.

Nùezzulu 1 [s.m.] Nòcciolo, come quello delle amarene, delle pesche o delle olive. 2 Al plurale, nùezzuli, indica i cacherelli delle pecore o delle capre.

Nùmaru [s.m.] Numero, cifra, es.: chi numaru è nesciutu? ‘che numero è uscito?’.

Nume [s.m.] Nome, fama, esempi: chi nnume l’anu datu? ‘che nome gli hanno dato’, mo tena u nume ‘adesso tiene il nome’ (è popolare).

Numinàta [s.f.] Fama, nomea, reputazione.

Nutàru [s.m.] Notaio, pubblico ufficiale, es.: (loc.) chine leva pane aru nutaru leva pane ari figghji sui ‘chi leva pane al notaio leva pane ai suoi figli’ (se le eredità passano attraverso il notaio è sicuro che poi i figli ne usufruiranno).

Nutìżża [s.f.] Notizia, informazione.

Nutte [s.f.] Notte, da cui nuttàta ‘nottata’ e nuttatàzza ‘nottataccia’.

Nużżiàta [s.f.] La chiesa dell’Annunziata, intitolata ai santi Pietro e Paolo Apostoli, chiesa matrice fin dai primi anni dell’Ottocento; non si hanno notizie certe sulla sua edificazione (FS); il termine dà anche il nome all’omonimo quartiere che vi è sorto attorno, confinante con le contrade Castieddu, Timpune e Piraina. 2 Il nome Annunciata o Annunziata.

Chiesa della Nużżiata

Nviperìtu [agg.] Inviperito, furioso.

Nzaccàre 1 [v.tr. v.intr.pron.] Infilare, mettere, mettere in saccoccia, ma anche infilarsi, intrufolarsi, entrarci, esempi: l’anu nzaccatu quattru golli ‘gli hanno insaccato quattro reti’, duve l’e nzaccatu? ‘dove lo hai ficcato?’, nzaccalu intr’a bugia ‘infilalo in tasca’, ni cci’ame nzaccare ‘dobbiamo intrufolarci’; variante nziccàre, anche se quest’ultimo è adoperato prevalentemente per riferirsi a cose piccole o a operazioni in cui occorre più precisione, esempi: nziccame l’acu cu cce vidu ‘infilami l’ago che non ci vedo’, nziccaccelu chjanu chjanu ‘infilacelo piano piano’. 2 [v.tr.] Conficcare, impiantare, esempi: anu nzaccatu i pali ‘hanno piantato i pali’, m’ha nziccatu nu jiritu intra l’uecchju ‘mi ha ficcato un dito nell’occhio’. 3 Ficcare nel senso di scopare, ovvero insaccare il pene nella vagina, variante nziccàre, probabilmente su influsso del verbo ‘ficcare’, esempi: nziccalilu ‘infilaglielo’ (trombala), li l’aju nziccatu ‘gliel’ho infilato’ (l’ho scopata).

Nzalàta [s.f.] Insalata, es.: intr’a nzalata e pumadueri a ra misurachise cce mintire: pumadueri, cipudda russa, vasilicoi, riganu, spagnolieddu friscu, uegghju, sale e ancuna oliva ‘dentro l’insalata di pomodori alla mesorachese ci devi mettere: pomodori, cipolla rossa (di Tropea), basilico, origano, peperoncino fresco, olio (d’oliva), sale e qualche oliva’.

Nzammài [l.avv.] Letteralmente ‘non sia mai!’, esclamazione impiegata per scongiurare l’avverarsi di una cattiva notizia, spesso si intercala quando qualcuno parla in maniera leggera di argomenti, fatti o avvenimenti riguardanti la salute (o il lavoro) dell’interlocutore o di qualcuno a lui molto vicino; dirette derivazioni di questa locuzione sono nzammaiddìu ‘non voglia mai Dio’ e nzammai dittu l’Acciomu ‘non sia mai detto l’Ecce Homo’ con la stessa accezione di nzammai, ma in questi casi è richiesta anche l’intercessione divina.

Nzanguinàre [v.tr.] Sanguinare, perdere sangue copiosamente.

Nzapunàre [v.tr.] Insaponare, strofinare col sapone.

Nzapurìre [v.tr.] Insaporire, condire, la variante nzapuriscìre ha lo stesso significato, ma è più riferito a cibi che hanno bisogno di cuocere insieme un po’ per prendersi di sapore, o passare un certo periodo di tempo, più o meno lungo, a stretto contatto; sinonimo di piare seconda accezione.

Nzarvamìentu [l.avv.] Alla lettera ‘in salvamento!’, la migliore traduzione è ‘sia lodato Dio è in salvo!’; esclamazione adoperata in molte occasioni, in particolare quando si apprende che qualcuno è arrivato a destinazione dopo un lungo e tortuoso viaggio, ma anche quando si finisce un lavoro estenuante, esempi: nzarvamientu è arrivatu! ‘grazie a Dio è arrivato!’, nzarvamientu ppe oje ni cci’amu cacciatu ‘lodato Gesù per oggi ce ne siamo cacciati’ (abbiamo finito il lavoro della giornata).

Nzegmamìentu [s.m.] Insegnamento, scuola, consiglio.

Nzegnàre [v.tr.] Insegnare, istruire, educare.

Nzerta 1 [s.f.] Varietà cultivar (innestata) del castagno comune (Castanea sativa Miller) a cui è facile levare la buccia interna; cfr curcia. 2 Il segno della vaccinazione contro il vaiolo sul braccio sinistro.

Nzertàre [v.tr.] Innestare, trapiantare; termine poco usato, è preferito nzitare.

Nziccàre [v.tr. v.intr.pron.] Guarda nzaccare.

Nziccatùru 1 [s.m.] Luogo molto stretto, angusto, es.: chidda casa è nu nziccaturu ‘quella casa è un buco’. 2 Aggeggio a forma di tubo (o di ago di siringa ingrandito 1000 volte) che viene avvitato nella parte terminale della macchina tritacarne e su cui si appone il budello da riempire; guarda anche inchjituru.

Nziccu [agg.] Cibo non cucinato, non condito con sughi o simili, come ad esempio dei panini, es.: oje manciamu nziccu cu cci’aju nente prontu ‘oggi mangiamo a secco che non ho niente di pronto’.

Nzicuniàre [v.intr.] Fornicare, fare su e giù.

Nzìeche [avv.] Ripetuto due volte nzieche-nzieche assume il significato di ‘filato non uniforme’.

Nzìemi [avv.] Insieme, unitamente, assieme, esempi: facimu u vinu nziemi ‘facciamo il vino congiuntamente’, jamucce nziemi ‘andiamoci assieme’.

Nzìertu [s.m.] Innesto, inoculazione, inserimento della gemma.

Nzina [avv.] Fino a, finché, unione di nzinu ‘fino’ e a ‘a’, quasi con lo stesso significato è adoperata la variante nzìnic’a, esempi: arrivu nzin’a ra Filippa e bbuetu ‘arrivo fino a Filippa e torno indietro’, nzina c’ud arrivu u tte muvire ‘fino a che non arrivo non ti muovere’, nzina a mo ‘fino a d’ora’, nzinica u bbena mammata u tt’azare de cca ‘fino a che non arriva tua mamma non alzarti da qui’; guarda anche nzinu.

Nzinefìne [l.avv.] Alla lettera ‘senza fine’.

Nzinga [s.f.] Fare segno con una parte del corpo per comunicare qualcosa a qualcuno, da cui nzingàta ‘occhiolino’ ‘occhiata’ ‘segno’, esempi: l’aju fattu nzinga u vena ‘gli ho fatto segno di venire’, famme na nzingata quannu si prontu ‘fammi un cenno quando sei pronto’.

Nziniàre [v.tr.] Istigare, insinuare; cfr nzirriare.

Nzinu [prep.] Fino, ossia il punto spaziale o temporale al quale si vuole arrivare o dal quale si vuole partire, come in italiano è sempre unito ad una peposizione o ad un avverbio, esempi: nzinu ara Marina mi nne sugnu jutu ‘fino alla Marina me ne sono andato’, nzinu ad ajieri ‘fino a ieri’, nzinu allora, mi nne sugnu scurdatu ‘fino allora, me ne sono scordato; guarda anche nzina.

Nzìpidu [agg.] Insipido, povero di sale, poco saporito, anche in senso figurato ‘privo di carattere o personalità’.

Nzirriàre [v.tr.] Invogliare, stimolare, incitare, non di rado anche nel significato di ‘fomentare’, esempi: nzirrialilu u parta ‘invoglialo a partire’, chin’è ca nzirriatu a lite? ‘chi è che ha fomentato la lite?’.

Nzitàre 1 [v.tr.] Innestare, l’atto dell’innesto, da cui nzitatùra ‘innesto’, es.: aju nzitatu nu paru e arvuli d’oliva ‘ho innestato un paio d’alberi d’ulivo’. 2 [v.intr.pron.] Apparentarsi, allearsi.

Nzitatùre [s.m.] Persona esperta di innesti, ossia persona capace di inserire su una pianta un ramoscello o una gemma allo scopo di migliorarne il frutto.

Nzite [s.f.pl.] Grossi e duri peli del dorso del maiale, un tempo adoperati addirittura come ago; infatti, i vecchi calzolai usavano la parte del pelo che si inserisce nella pelle del maiale come punta dell’ago, l’altra estremità era annodata allo spago incerato, con la sugghja si faceva il buchino nel cuoio e infine s’iniziava a cucire; guarda anche grigna.

Nzivàtu [agg. s.m.] Unto, sporco di grasso, ma anche persona o animale ingrassata; guarda anche sivu.

Nzocchinè [l.avv.] Alla lettera ‘non so chi è’, ossia ‘chiunque’ ‘chiunque esso sia’, es.: nzocchinè jia a sa piare ‘chiunque andava a prendersela’.

Nzoccumè [l.avv.] Alla lettera ‘non so com’è’, ossia ‘alla bell’e meglio’ ‘in maniera abborracciata’, es.: nzoccumè sugnu arrivatu ‘non so come, sono arrivato’.

Nzomma [avv.] Insomma, in sostanza.

Nzoniàre [v.tr.] Alla lettera ‘zoneggiare’ ossia perdere tempo prima di un appuntamento, ma anche sistemare cose non utili; guarda anche triculiare.

Nzonnilisciùtu [agg.] Insonnolito, preso da molto sonno ma non del tutto addormentato, rincoglionito dal sonno.

Nzocquàntu [l.avv.] Alla lettera ‘non so quanto’ (non importa quanto), es.: nzocquantu cci’aje fatigare ‘non so quanto ma devo lavorarci’.

Nzottàre [v.intr.pron.] L’andare sotto, ovvero rispettare l’impegno venuto fuori da una conta; viene adoperato in tutti quei giochi in cui è prevista una persona che deve pagare pegno (rimanendo sotto appunto), ne sono esempi unamantellaluna o alle belle statuine, variante nzuttàre, es.: t’e nzuttare ‘devi andare sotto’.

Nzuccaràre [v.tr.] Zuccherare, addolcire.

Nzùennu [avv.] In sonno, in sogno, es.: vename nzuennu ‘vienimi in sogno’.

Nzulentàre [v.tr.] Disturbare, molestare.

Nzumpràtu [agg.] Confuso, stordito, scoordinato, adombrato, variante usata di rado nzumbràtu; il lato meno bello del bere molto (oltre a quello medico naturalmente), il post-sbronza che produce quel determinato stato psicofisico di torpore, confusione, mal di testa, disorientamento; la proprietà di essere nzumprati può essere anche un tratto personale senza necessariamente bere alcolici; inoltre, può derivare anche da altre sostanze psicotrope consumate abbondantemente.

Nzunza 1 [s.f.] Grasso di animale, specie quello della gallina o del maiale, sugna, da cui nzunzàtu ‘unto’ ‘sporco’ ‘insozzato’, esempi: nn’avìre nzùnza! ‘devi averne di grasso!’ (sei molto gretto, cfr corchja), (loc.) su due anime e na nzunza ‘sono due anime e un grasso’ (sono molto affiatati). 2 Sinonimo di eroina (la droga).

Nzuràre [v.intr.] Prendere moglie, sposarsi, es.: quannu te nzuri? ‘quando ti sposi?’.

Nzurcàre [v.tr.] Solcare, fendere, dissodare.

Nzurdàre [v.tr.] Assordare, diventar sordi.

Nzurfàre 1 [v.tr.] Solfare, ovvero irrorare le foglie di alcune piante, come la vite, di polvere di zolfo per combattere alcune malattie crittogamiche. 2 Tirare, aspirare col naso una droga come coca o roba.

Nzurtàre [v.tr.] Recare fastidio, noia.

Nultima modifica: 2022-03-13T10:51:15+01:00da mars.net