G

G [s.f.] Settima lettera dell’alfabeto mesorachese, che è la settima dell’alfabeto latino, derivata, come la lettera C, dal Γ (gamma) greco. In origine, il segno C rappresentava la consonante occlusiva velare sonora “ġ” come in greco il Γ, ma nello stesso tempo anche la sua correlativa sorda “K”; quando poi si vollero distinguere graficamente i due suoni, per quello sonoro s’introdusse una C lievemente modificata, che fu appunto la G; guarda anche C.

Gabbamìentu [s.m.] Gabbamento, inganno benevolo, bugia a fin di bene. Guarda gabbare.

Gabbàre [v.tr. v.intr.pron.] Fregare, fare fesso, anche simpaticamente, ingannare, farsi beffe, deridere, burlare, esempi: m’è gabbatu ‘mi hai imbrogliato, si rimastu gabbatu ‘sei rimasto fregato’, si saperre quanti sacrifici aju fattu u tte gabberre e mie ‘se tu sapessi quanti sacrifici ho fatto non di faresti beffe di me’, (loc.) cuemu te dicu te gabbu ‘come ti dico ti inganno’ (ti do questa informazione, ma tu prendila con le pinze perché non sono sicuro che sia corretta), m’ha gabbatu u suennu ‘mi ha fregato il sonno, aju gabbatu u suennu ‘ho gabbato il sonno’ (sono riuscito ad addormentarmi).

Gabbìna [s.f.] Cabina, piccolo vano.

Gabbinèttu [s.m.] 1 Cesso, latrina, bagno. 2 Bruttura, orrore.

Gabbu [s.m.] Gabbo, beffa, burla, scherzo o inganno (per lo più benevolo) volto alla canzonatura o al divertimento; a Mesoraca vi è una sfumatura più psicologica, se il termine è riferito alle umane vicende indica parlare di qualcosa o qualcuno meravigliandosene, stupendosi, disapprovando oltre che burlarsene; questo stupore è dovuto al fatto che l’argomento è dissonante nella persona che si fa gabbo altrui, ovvero è una persona benpensante e conformista, oppure che si crede superiore, esempi: ti nne fai gabbu du cumpari Cola ca viva, eppue tu si mpriacu tutti i juerni! ‘ti fai burle del signor Nicola che beve, e poi tu sei ubriaco tutti i giorni!’ (ti stupisci che il compare Nicola beva tanto, e poi tu sei peggio di lui)’, ti nne fai gabbu du mieducu, e ppue u tte pii e medicine ‘te ne fai gabbo del medico e poi non ti prendi le medicine’ (dici che seguirai la cura prescritta e poi non prendi le medicine), si nne fa gabbu ‘se ne meraviglia’, (loc.) u cacatu se fa gabbu du piasciatu ‘il cacato – che si è fatto la cacca addosso – si fa beffe del pisciato – che si è fatto la pipì addosso’ (analogo a “il bue chiama cornuto all’asino”, in altri termini parlare bene ma razzolare male), (loc.) du gabbu u ssi nne mora ma si cce ncappa ‘della derisione (vergogna) non se ne muore ma ci si incappa’, (loc.) chine se fa gabbu du male e atri u sue è arriedi a porta ‘chi si fa gabbo del male altrui, il suo è dietro la porta’ (tardare può ma dietro non resta, ovvero sarebbe meglio curarsi delle proprie disgrazie anziché farsi beffe di quelle altrui).

Gàccia [s.f.] Ascia, accetta, da cui gacciùdda ‘piccola ascia’.

Gacciàre [v.tr.] Fare a pezzi con l’ascia, generalmente riferito all’azione di spaccare la legna, da cui gacciàta ‘colpo dato con l’accetta’, esempi: u pomeriggiu gaccìa ligne ‘il pomeriggio spacca legna’, aju gacciatu na zomma e deda ‘ha fatto a pezzi un ceppo di teda’, (loc.) m’aju jettatu na gacciata intr’i piedi ‘mi sono dato un colpo d’ascia tra i piedi’ (fare qualcosa che si reputa giusta e che invece si rivelerà controproducente), (lap.) chi te via gacciàtu ‘che ti possa vedere fatto a pezzi con l’ascia’ (anche nella versione chi te vorranu gacciare ‘ti potessero fare a pezzi’; cfr scilettare).

Gadda [s.f.] Caviglia, malleolo.

Gaddàta [s.f.] Pugno di varia intensità (in base alla cattiveria di chi lo dà o al pegno da pagare) dato con le nocche sulla testa del malcapitato.

Gaddétta [s.f.] Recipiente in legno usato nei frantoi per prendere l’acqua calda.

Gaddìna [s.f.] Gallina, Gallus gallus domesticus L., esempi: (loc.) vestuta cuemu na reggina e scavuza cuemu na gaddina ‘vestita come una regina e scalza come una gallina’ (puoi anche vestirti bene, ma se poi ti mancano le scarpe), (loc.) a gaddina canterina fa l’uevu ogne matina ‘la gallina canterina fa l’uovo ogni mattina’, parra quannu piscia a gaddina ‘parla quando piscia la gallina’ (si sta comunicando all’interlocutore di stare zitto).

Gaddinàru [s.m.] 1 Pollaio. 2 Venditore di galline.

Gaddinèdda [s.f.] 1 Gallinella, il termine è quasi esclusivamente riferito alla gallinella d’acqua, Gallinula Chloropus L. e non ad una gallina di piccole dimensioni. 2 Fungo della famiglia delle Ramariaceae, Ramariaceae aurea Schaeff. & Q., ottimo sottolio, previa bollitura, di colore giallo; le gallinelle bianche (Ramaria pallida Schaeff) o rossastre (Ramaria botrytis Pers.) sono molto meno commestibili ed hanno effetti lassativi anche notevoli).

Gaddòfaru [s.m.] Gallo sterile, quindi non idoneo per la riproduzione; talvolta per scherzo viene riferito anche a persone; varianti gaddofanu e gaddofalu.

Gaddu [s.m.] Gallo, Gallus gallus domesticus L., esempi: (loc.) a gaddina ricogghja e ru gaddu sperrunza ‘la gallina raccoglie e il gallo disperde’ (la moglie è brava a portare a casa, invece il marito è bravo a dissipare), (loc.) te fa l’uevu u gaddu ‘ti fa l’uovo il gallo’ (hai tutte le fortune), (loc.) canta u gaddu e scuetula e pinne te lassu bonasira e jamuninne ‘canta il gallo e scuote le penne ti lascio buonasera e andiamocene’ (finita la festa si va a nanna).

Gaddùzzu [s.m.] 1 Galletto, giovane gallo. 2 Il fungo conosciuto in italiano anche col nome di finferlo, Cantharellus cibarius F., appartenente alla famiglia delle Cantharellaceae. 3 Dongiovanni, Casanova.

Gàfiu [s.f.] Galleria, sottopassaggio, porta, strada che passa sotto una volta; il gafiu per eccellenza è l’attuale ingresso al centro storico di Mesoraca, anche se prima della costruzione del bracciu il medesimo era alllineato con la strada che porta al Pede da castagna.

Gagà [s.m.] Bullo, prepotente, guappo.

Gagarìare [v.intr.] Atteggiarsi da sbruffone, da bullo, da gradasso, es.: guarda cuemu se gagaria ‘guarda come si atteggia’ (da spaccone).

Gagumìdda [s.f] Camomilla, Matricaria recutita L. (o chamomilla).

Galantùeminu [s.m.] Galantuomo, in passato sinonimo di persona nobile, variante galantùemu.

Gàlapu [s.m.] Dimostrare abilità e bravura nel saper fare le cose usando le buone maniere, avere cortesia e garbo, da cui galapùsu ‘abile’, ‘bravo’, ‘garbato’, ‘galante’.

Galéra [s.f.] Rione di Mesoraca, chiamato anche Santa Teresa, compreso tra il cimitero e i rioni Cutura e Petrachjana.

Galiàre [v.intr.pron.] Ostentare vanità, sfoggiare qualcosa di elegante, es.: guarda cuemu sa galia ‘guarda come si pavoneggia’.

Galiàzza [s.f.] 1 Taglio, fessura. 2 Vagina, poco usato.

Gallètta [s.f.] Contenitore in legno per l’acqua o altra bevanda.

Gamma [s.f.] Gamba, ginocchio.

Gammarrìeddu [s.m.] Parte bassa del polpaccio, stinco.

Gammàta [s.f.] Dare un colpo di gamba, ginocchiata.

Gammìeddu [s.m.] Robusto legno ricurvo mediante il quale si appende il maiale ucciso per i piedi posteriori, per essere dapprima svuotato dalle interiora e poi diviso i due metà uguali.

Gammìtta [s.f.] Solco nella terra per far scorrere l’acqua piovana.

Gammuncìeddu [s.m.] Taglio di carne bovina di seconda categoria, si usa per fare lo spezzatino o il bollito e si trova fra il magatello e il garretto posteriore; in meridione è anche conosciuto col nome di “gamboncello”.

Gammùne [s.m.] Stinco, sia suino che bovino.

Ganga [s.f.] Molare, premolare, esempi: na ganga mucata ‘un molare cariato’, (loc.) a gamma cuverna a ganga ‘la gamba governa il molare’ (se non si muovono le gambe, cioè non si lavora, non si trova nulla da mettere sotto i denti; guarda anche il primo proverbio della voce pede), (loc.) vo’ manciare ccu due ganghe ‘vuole mangiare con due molari’ (quando si usano due strade per ottenere qualcosa c’è il rischio che le due strade seguite possano ostacolarsi e quindi avere come risultato un bel niente se non addirittura una perdita, usata anche la variante più forte vo’ manciare ccu cientu ganghe ‘vuole mangiare con cento molari’), (loc.) va cuemu na ganga e muertu ‘va come un dente di morto’ (si dice quando si vuole sottolineare che una cosa è fissata male, quindi instabile, insicura), ccu re canne te fanu male e ganghe ‘con le canne ti fanno male i molari’ (se bruci le canne per scaldarti ti faranno male i molari, il motivo è oscuro, forse si tratta di un semplice intercalare).

Gangarédda [s.f.] Alla lettera ‘piccola ganga’, parlantina, loquacità, es: tena na gangaredda! ‘ha una parlantina!’.

Gangareddùsu [agg.] Persona che parla tanto, loquace, ma conclude poco.

Gangariàre [v.intr.] Alla lettera muovere le ganghe ‘molari’, il significato è lo stesso di ganguliare.

Gangùlaru [s.m.] Mandibola, la mascella inferiore.

Ganguliàre [v.intr.] Letteralmente ‘muovere la mandibola’, ovvero mangiare con bramosia, ma anche parlare sbraitando.

Gannàggi [s.m.] Località di campagna e contrada di Mesoraca situata dopo la località chiamata Cidurzu.

Gargarùezzu [s.m.] Gargarozzo, gola.

Gargarìeddu [s.m.] Mento, bazza, varianti garigarieddu e gangarieddu.

Garìddu [s.m.] Cispa, cacatina degli occhi.

Garòppa [s.f.] Contenitore in legno usato come unità di misura per il grano, di tre chili.

Gàrrafa [s.f.] Antica misura più piccola del litro.

Garraffùne [s.m.]   Damigiana in vetro impagliata di capacità variabile, da 5 a 55 litri.

Garrùne [s.m.] Calcagno, garretto.

Gassu [s.m.] Gas, ossia ogni sostanza che si trovi nello stato aeriforme; nel nostro dialetto il termine indica quasi esclusivamente il gas (GPL) contenuto in bombole per cucine o accendini, es.: arricordate e chjudire u gassu ‘ricordati di chiudere il gas’.

Gattarìeddu [s.m.] 1 Gattino. 2 Specie di piccolo cardo commestibile, da fare a frittata.

Gattìgnu [agg.] Alla lettera ‘gattesco’, ovvero torbido, impuro, sporco, aggettivo riferito al vino, es.: vinu gattignu ‘vino che gratta’ (la gola).

Gattu [s.m.] Gatto, Felis silvestris catus Schreber, es.: (loc.) chine u ttena nente cchi ffare pia ri gatti e re mminta a filare ‘chi non ha niente da fare mette i gatti a filare’.

Gażża [s.f.] Pianta usata per ricavarne scope rudimentali, probabilmente una sottospecie di Erica arborea o scoparia L., es.: scupulu e gażża ‘ramazza di erica’; guarda anche scupulu e cannamazza (o cannamasca).

Gelusìa [s.f.] Gelosia, persiana delle finestre.

Gesìna [s.f.] Baruffa, litigio, grande momento di collera incottrollata, es.: u cci’aju vistu cchjù e aju fattu na gesina ‘non ci ho visto più ed ho fatto uno scempio’.

Gghjànna [s.f.] Guarda agghjanna.

Gghjazza [s.f.] Piazza, slargo, ma anche il rione che sorge intorno a piazza Vincenzo De Grazia, es.: ne vidimu ara gghjazza ‘ci vediamo alla piazza’ (non c’è possibilità di sbagliarsi, è la piazza storica).

Gghjégghjaru [s.m.] In passato il termine designava una persona della comunità albanese calabrese che pronunciava o parlava male il nostro dialetto, tant’è che la parola è diventata sinonimo di balbuziente; la parola è anche usata per indicare le persone che arrivano dall’Albania.

Gghjìesa [s.f.] Chiesa, chiesa cattolica, esempi: (loc.) fimmina e gghjiesa diavula e casa ‘donna di chiesa diavola in casa’ (pia in chiesa e un tormento in casa), (loc.) intr’a gghjiesa manci castagne! …dunamile due ‘dentro la chiesa mangi castagne! …donamele un paio…’ (è inutile fare i moralisti sui comportamenti degli altri se poi noi stessi ne siamo vittime).

Gghjostriàre [v.intr.] Gestire, coordinare, giostrare.

Ghettìne [s.f.] Specie di pantaloncini lunghi, provvisti di piede, in genere di flanella e adoperati per vestire i bambini piccoli o ragazzine.

Ghizziàre [v.dif.] L’amore fisico tra i conigli.

Giabbaliàre [v.intr.] Tenersi occupato con lavoretti di poco conto, lavoricchiare, vicino al significato di sporduliare.

Giacchicìeddu [s.f.] Corpetto, anche se le donne del paese non sempre brillavano in sex appeal, infatti, fino agli anni sessanta il reggiseno non era ancora arrivato in paese e veniva quindi ancora usato il corpetto, solo che veniva indossato sopra la sottana!

Giàccu [s.m.] Il reggiseno prima dell’invenzione del reggiseno, più simile ad un corpetto.

Gialinùsu [agg. s.m.] Pallido in viso, persona non in stato di salute, affetto da malattia o in preda ad un forte spavento, usate anche le forme giàlinu e jàlinu, esempi: chiddu gialinusu du figghju ‘quel malaticcio del figlio’, è nu gialinusu e mmerda ‘è un malato di merda’, da paura avia a facce virde ‘dalla paura aveva la faccia verde’; guarda anche jalinu.

Giallùengu [agg.] Persona molto alta, spilungone.

Giammichèle [s.m.] Lucciola, Luciola italica L.

Gigghjàre [v.intr.] Gemmare, germogliare, sbocciare.

Gìgghju [s.m.] 1 Sopracciglia. 2 Giglio, Lilium candidum L.

Giggiuléna [s.f.] Erbetta commestibile primaverile con infiorescenze rossastre, di sapore un po’ acido.

Gigigòmma [s.f.] Gomma da masticare.

Gioiùzza [s.f.] Vezzeggiativo, affettuosità intensa di solito rivolta ad un bambino, più evocativa dell’italiano ‘gioietta’, es.: gioiuzza mia! ‘gioiellino mio!’.

Giranzuliàre [v.intr.] Guarda giriare.

Giriàre [v.intr.] Girare, nel senso di cercare o stare attenti a qualcosa, anche a vuoto perdendo tempo, andare in giro, da cui giruliare e giranzuliare ‘gironzolare’, esempi: girìa intra chidd’arvuli ‘gira (cerca) dentro quegli alberi’, ha giriatu tuttu u pomeriggiu ‘è stato in giro tutto il pomeriggio’; guarda anche runzuliare, papariare, nzoniare, cirantuliare, triculiare, ronziare, picatiare, sporduliare.

Girivutàre [v.tr.] Girare qualcosa dal lato opposto, anche se stessi, fargli compiere un angolo di 180°, esempi: girivota e vrasciole ‘gira le polpette’, girivutamune, ormai è tardu ‘giriamoci (torniamo indietro), ormai è tardi’.

Giruliàre [v.intr.] Guarda giriare.

Girulìeri [s.m.] Chi sta molto in giro per il paese o viaggia molto, girulèra il femminile.

Giudìżżu [s.m.] Giudizio, buonsenso, saggezza, es.: u nn’ha dde nente giudizzu ‘non ha per niente senno’.

Giùgnu [s.m.] Giùgno, sesto mese dell’anno.

Giuvenìeddu [s.m.] Giovanottino, giovincello.

Gnastru [s.m.] Impiccio, intralcio.

Gne [inter.] Forma di richiamo per far avvicinare i maiali, es.: gne gne! ‘porco vieni qua!’.

Gnermitàre [v.intr.] Parlare in maniera confusa o difficile, ma anche perdere il filo del discorso, ingarbugliarsi, es.: u tte gniermitare ‘non ti confondere (perdere)’; guarda anche gniermitu.

Gnetta [s.f.] 1 Il laccio usato per lanciare la trottola. 2 Filo, lacciolo.

Gnettàre [v.tr.] Intrecciare, avviluppare, cucire specie nei lavori con il legno.

Gnierguliàre [v.intr.pron.] Insinuarsi, intrufolarsi, introdursi con difficoltà.

Gnìermitu [s.m.] Gergo, codice, in maniera non comprensibile, es.: parranu gnermitu ‘parlano in gergo’.

Gninocchjàre [v.intr.pron.] Variante di anninocchjàre e agninocchjàre.

Gninocchjùni [avv.] Variante di allanninucchjuni.

Gnizzàre [v.tr.] Ingessare, es.: ha nu vrazzu gnizzatu ‘ha un braccio ingessato’.

Gnizzione [s.f.] Iniezione, puntura sottocutanea o intramuscolare.

Gnìzzu [s.m.] Ingessatura, ma anche il gesso che usano i sarti per tracciare linee sui tessuti.

Gnòmmaru [s.m.] 1 Gomitolo, palla di filo. 2 Persona ingenua, sempliciotta, termine poco usato in questa accezione.

Gnorru [s.m] Fare l’indiano, fingere di non sapere, simulare di non capire; parola appartenente anche al gergo malavitoso, es.: u ffare u gnorru ccu mmie ‘non fare il furbo con me’.

Gnucìre [v.tr.] 1 Soffrire in silenzio ingiustizie, incassare, sopportare calunnie, subire rimproveri, in altre parole persona che non reagisce ad una provocazione, es.: gnuciu e citu ‘vilipeso e zitto’. [v.dif.] 2 Il ritorno del bel tempo, rasserenare.

Gnuecculùna [s.f.] Gran bella ragazza, ‘gnoccolona’.

Gnùestru [s.m.] Inchiostro, es.: na macchja e gnuestru ‘una macchia d’inchiostro’.

Gnurcificàre [v.tr.] Addolcire, rendere dolce una vivanda.

Gnure [avv.] Aferesi di (se)gnure adoperato da molte donne per rispondere quando qualcuno le chiama, anche se nasce come risposta di riguardo verso persone anziane, padroni, signori e così via, es.: (A) cummari Me’! (B) gnure! ‘(A) signora Me’! (B) sì!’ (Me’ è aferesi e apocope del nome Filomena).

Gnurnàre [v.intr.impers.] Albeggiare, fare giorno, da cui gnurnàtu ‘giorno fatto’, es.: u cce gnurnare ‘non farci giorno’ (non fare tardi).

Gollu [s.m.] Gol, rete, es.: quattru golli a żeru ppe l’Inter ‘quattro goal a zero per l’Inter’.

Gorna [s.f] Pozzanghera, acqua bloccata in una buca dopo una forte pioggia o dal fiume in piena, sinonimo di ruenzu, ovvero acqua morta.

Graffa [s.f.] Dolce della tradizione meridionale, d’origine partenopea; nella sua forma più semplice consiste in una ciambella fritta cosparsa di zucchero, molto simile al crustulu ma più lievitata; la varietà più diffusa nel crotonese ha la forma di una pagnottella farcita con crema bianca.

Granàtu [s.m.] Melograno, Punica granatum L.

Grànciu [s.m.] Di qualcosa che è andata a male, che si è guastata, termine particolarmente usato riguardo agli insaccati e ai salami, es.: sa suppressata è piata du granciu ‘questa soppressata è andata a male’ (si è guastata, le carni sono diventate giallognole, dovute ad una cattiva conservazione).

Grancu [s.m.] 1 Granchio di fiume, Potamon fluviatile Herbst, es.: (loc.) u nn’iza petra s’u bbida u grancu ‘non ne alza pietra se non vede il granchio’ (persona che non fa nulla per nulla). 2 Contrazione, crampo, addormentamento di una parte del corpo, es.: m’è benutu u grancu ara gamma ‘mi è venuto il crampo alla gamba’.

Granniàre [v.tr.] Maneggiare denaro, disporne, soprattutto se si ha un’attività commerciale, es.: chine fatiga grannia ‘chi lavora maneggia soldi’ (non esiste un termine corrispettivo in italiano); guarda anche sordiare.

Granninàre [v.intr.impers.] Grandinare, variante grannuliàre, da cui granninàta o grannuliàta ‘grandinata’.

Grappu [s.m.] Grappolo d’uva, sinonimo di piennula.

Grassìa [s.f.] Obesità, l’esser grassi e grossi, es.: (loc.) a grassia è na menza malatia ‘l’obesità è una mezza malattia’.

Grassòttu [s.m.] Persona con la ciccia, sovrappeso, da cui grassottìeddu ‘grassottello’.

Grassu [s.m.] 1 Grasso, strutto. [agg] 2 Persona (o animale) più che sovrappeso, obesa.

Grasta [s.f.] Vaso in terracotta con di solito piantato una spezia, es.: na grasta e vasilicoi ‘un vaso di basilico’.

Grastàre [v.tr.] Castrare, es.: amu grastatu u puercu ‘abbiamo castrato il maiale’.

Grastàtu [s.m. agg.]  Castrone, ossia agnello o capretto castrato; p.p. di grastare.

Grastàti [s.m.pl.] Indica una chiocciola del genere Cantareus con l’opercolo; guarda anche vermituru.

Grastìeddu [s.m.] 1 Rastrello. 2 Grosso pettine del telaio.

Grasùemulu [s.f.] Albicocca, Prunus armeniaca L.

Grattacàsa [s.f.] Grattugia, attrezzo per grattugiare il formaggio o altro, es.: (loc.) chissa è tutta a dote ncasa, a fressura e ra grattacasa ‘questa è tutta la dote in casa, la padella e la grattugia’.

Grattalùra [agg.] Varietà di fico dai frutti non molto grandi ma dal sapore eccezionale.

Grattàre [v.tr.] 1 Raschiare, sfregare. 2 Rubare, sgraffignare, es.: a chine l’e grattati sti sordi? ‘a chi l’hai rubati questi soldi?’.

Grattòfora [s.f.] Scherzo fastidioso consistente nel tenere ferma, con un braccio, la testa di qualcuno e allo stesso tempo grattargliela con le nocche dell’altra mano; se fatto ad un bambino non è irritante e rappresenta un gesto affettuoso.

Gravìgghja [s.f.] Griglia in metallo per arrostire pietanze, variante gradigghja.

Gravùsu [agg.] Pesante, gravoso appunto.

Grażża [s.f.] Grazia, esempi: Santacciomu miu famme na grazza ‘Santo Ecce Homo mio, fammi una grazia’, (giaculatoria) mamma sant’Anna, mamma sant’Anna tieni na figghja ch’in cielu cummanna, ppe ra sua santa verginità famme sta grazza ppe carità ‘mamma sant’Anna, mamma sant’Anna hai una figlia che in Cielo comanda, per la sua santa verginità fammi questa grazia per carità’.

Grażżu [s.m. agg.] Amante, innamorato, drudo, es.: (loc.) miegghju nu maritu scorpiddu nno nu grazzu imperatore ‘meglio un marito piccolo non un amante imperatore’ (il maritino è per sempre, l’amante ti fa sognare e poi ti abbandona).

Gregna [s.f.] Fascio di steli di lino o di grano; più gregne (mazzi) formano un cavagghjune (covone), es.: (loc.) Parma chjovitusa gregna gravusa ‘Palma piovigginosa mazzo gravoso’ (la pioggia che cade durante il periodo delle Palme fa bene al raccolto); parola in uso nell’antico italiano.

Gresimàtu [agg.] Cresimato.

Gridazzàru [s.f.] Persona che grida o alza la voce anche per un’inezia, diciamo pure uno schiamazzatore.

Griddu [s.m.] Grillo, Gryllus campestris L. e Gryllus domesticus L., es.: te mancerre i griddi frijuti? ‘li mangeresti i grilli fritti?’.

Grìecu [agg. s.m.] Greco, nel senso di proveniente dalla Grecia; in passato il termine indicava i cittadini provenienti dall’Albania, esempi: (loc.) si vidi nu lupo e nu griecu lassa jire u lupo e ammazza u griecu ‘se vedi un lupo e un greco lascia andare il lupo e ammazza il greco’ (antico e pessimo modo di riferirsi agli albanesi di Marcedusa), parri griecu ‘parli greco’ (non si capisce quello che dici); guarda anche gghjegghjaru).

Griggìa [s.f.] Quartiere e antica porta del paese, confinante con il quartiere della Veranna e comprendente parte del quartiere Campu.

Griggiòle [s.f.pl.] Varietà di castagne.

Grigna [s.f.] 1 Specie di criniera o gruppo di peli setolosi, situata tra il capo e il dorso del maiale; guarda anche nzite. 2 Malignità, superbia, cattiveria.

Grignùsu [agg.] Arrogante, insolente, permaloso, a volte anche poco socievole, poiché fetusu e mpizzaliti.

Grisa [s.f.] Affluente di un fiume.

Grimùne [s.m.] Setaccio di grosse dimensioni, di forma rettangolare, impiegato per separare le castagne secche dalla loro buccia.

Grispa [s.f.] Natica, chiappa.

Grispinieddu [s.m.] Bambinetto vivace e intelligente; cfr scatuzzu.

Grubbàre [v.tr.] Forare, bucare; guarda anche grubburiàre.

Grubbu [s.m.] Buco, foro, mia nonna usava in maniera equivalente grubburu, che in effetti dà più l’idea, esempi: grubburu du culu ‘buco del culo’, cchi grubbu! ‘che buco!’ (che culo!, che fortuna sfacciata!), sta casa è nu grubbu ‘questa casa è un buco’ (è piccola), (loc.) sacciu e duve si natu, e quale grubbu e culu ‘so (io) da dove sei nato, da quale buco di culo’ (intercalare sardonico di una mamma che richiama un figlio un po’ troppo ribelle, il messaggio trasmesso è ‘sarai anche diverso, ma sei mio figlio, sei nato dal mio ventre’), nn’aju sordi, schiccianu du grubbu da chjave! ‘ne ho soldi, schizzano dal buco della chiave!’ (intercalare per comunicare all’interlocutore che soldi non ce ne sono molti).

Grubburiàre [v.tr.] Bucherellare, sforacchiare; guarda anche grubbàre.

Gruddu [agg.] Tonto, grullo.

Grudduliàre [v.tr.] Scuotere, agitare, variante gruddulàre.

Grùessu [agg.] Grosso, goffo, voluminoso, esempi: ranne e gruessu ‘grande e grosso’ (lap.) chi te via u te rumpi n’anca du gruessu ‘che io possa vederti rompere un’anca del grosso’ (dalla parte grossa, il femore); molto usato anche il diminutivo gruossuliddu o grossuliddu ‘grossettino’.

Guà! [inter.] Parola che si intercala per accentuare un’idea, assume i significati di ‘senti’, ‘guarda’, ‘ascoltami’, esempi: guà, mancu m’ha salutatu! ‘guarda, manco mi ha salutato!’, guà, vida ca lu dicu a mammata ‘senti, vedi che lo dico a tua mamma’.

Guàddara [s.f.] Ernia dell’inguine; non di rado il termine è anche usato per indicare un grosso scroto, esempi: (loc.) subra a guaddara u carvunchju ‘sopra l’ernia il carbonchio’ (non solo l’ernia, ma anche il carbonchio, intercalare usato per indicare un particolare momento di iella), (loc.) si a mmidia forra guaddara forramu tutti guaddarusi ‘se l’invidia fosse ernia saremmo tutti ‘erniosi’’ (infatti, pur di provocare l’invidia altrui, si metterebbe in bella mostra).

Guaddarùsu [agg.] Persona con l’ernia; in molti considerano l’ernia alla stregua dei reumatismi, ovvero le persone con l’ernia sanno prevedere quando il tempo peggiora.

Guàdu [s.m.] Punto di vedetta.

Guagliò [inter.] Attenzione, o meglio chiedere l’attenzione ad un contesto giovane; forma sincopata di guagliuni, traduce l’italiano ‘ragazzi!’, o il milanese ‘raga’.

Guagliùne [s.m.] Ragazzo, ma anche fidanzato, come nell’accezione italiana, da cui guagliunìeddu ‘ragazzino’.

Guagliunàta [s.f.] Ragazzata, bravata.

Guàlu [agg.] Uguale, uniforme, es.: a settempre e a frevaru notte e gghjuernu sparta gualu ‘a settembre e a febbraio notte e giorno divide uguale’.

Guantìera [s.f.] Vassoio adoperato in casa per servire dolciumi e liquori; parola simile in italiano ma con l’accento sulla ‘e’.

Guàppu [s.m.] Bello, coraggioso, spavaldo, es.: u ffare u guappu ccu mie ca te spaccu u mussu ‘non fare lo spavaldo con me che (se no) ti spacco il musoì.

Guardiùne [s.m.] Guardione, ossia fettuccia di cuoio cucita sul bordo laterale della suola e parte dal calcagno fino a unire la suola alla tomaia; tiene uniti tutti gli strati inferiori della scarpa.

Guàttu [s.m.] Ovatta a forma di spallina, impiegata per le giacche.

Gucceddàtu [s.m.] Piccola ciambella di pane, ottima con spezzatini; guarda anche murzìeddu.

Gucchjulàru [s.m.] Guanciale del maiale, variante vucchjularu, ma anche mento prominente di una persona.

Gucciare [v.tr. v.intr.imp.] Guarda gucciuliare.

Guccirìa [s.f.] Macelleria, termine poco usato, viene preferito chjanca.

Gucciuliàre [v.tr.] 1 Gocciolare, sgocciolare sinonimo di gucciare. [v.intr.impers.] 2 Iniziare a piovere, sinonimo di ciciuliare e gucciare.

Guddàna [s.f.] Donna che sta in giro e da molta confidenza, per questo agli occhi della gente si configura come una donna “facile”, esempi: a guddana è na fimmina chi gira e va cercannu quale furnu fuma ‘la guddana è una donna che va in giro a vedere quale forno è in funzione’ (ovvero cercare persone con cui intrattenersi), (loc.) a cumpagnia fa l’ueminu latru e a guddana fa ra fimmina puttana ‘la compagnia fa l’uomo ladro e la collana (il regalo) rende la donna puttana’.

Guddu [s.m.] 1 Cucciolo di pecora o capra nato senza corna, femminile gudda. 2 Persona poco intelligente; cfr gruddu.

Gugghjàta [s.f.] Quantità di filo che si introduce nell’ago per cucire.

Guìda [s.f.] Striscia di cemento ‘in bolla’ fatta su muri grezzi o su pavimenti e usata come guida per apporre l’intonaco o la pavimentazione.

Gulìa [s.f.] 1 Voglia, desiderio, piccolo capriccio, esempi: me bbenuta na gulia e maruche ‘mi è venuta una voglia di chiocciole’, (loc.) chine u tena gulia e fatigare, prievite, monacu o surdatu sa de fare ‘chi non ha voglia di lavorare prete, monaco o soldato si deve fare’; guarda anche scilu, chjuritu e nguliare. 2 Macchia cutanea dovuta ad una pigmentazione anormale o ad un angioma; la tradizione vuole che sia un desiderio della mamma avuto durante la gestazione.

Guliùsu [agg.] Che fa voglia, sfizioso, guarda anche scilusu.

Gùmmulu [s.m.] Orcio, ovvero piccolo contenitore in argilla dalla forma antropomorfa, usato per contenere l’acqua o altri liquidi, di altezza variabile tra i quindici e gli ottanta centimetri circa; usato anche il diminutivo gummulìcchju, es.: (loc.) l’acqua aru crivu e ra biafa aru gummulu ‘l’acqua al setaccio e la biada all’orcio’ (proverbio usato per sottolineare il fatto che il padrone non sempre riconosce i meriti dei suoi sottoposti); all’occorrenza può essere impiegato anche come strumento musicale, soffiando sul bordo dell’imboccatura si ottiene un suono basso.

Gummulìcchju [s.m.] Lumachina di mare, Nassarius mutabilis L.; mollusco conosciuto anche col nome di ‘bombolino’.

Guttàru [s.m.] Gocciolio d’acqua, stillicidio, specie quelli provenienti da tetti marci o simili quando piove, es.: (loc.) nu guttaru e cuntinu rumpa na petra e mulino ‘un gocciolio di continuo spacca una pietra di mulino’ (nella vita se si insiste con costanza si riesce negli scopi).

Guttùne [s.m.] Cotone, Gossypium spp.

Gùvitu [s.m.] Gomito, da cui guvitata ‘gomitata’.

Gultima modifica: 2022-03-13T10:50:27+01:00da mars.net