M

M [s.f.] Undicesima lettera dell’alfabeto mesorachese, corrispondente alla dodicesima di quello latino e alla dodicesima, “Mi” (Μ μ), di quello greco da cui deriva,  che a sua volta deriva dal fenicio “Mem”; quest’ultimo traeva la sua origine probabilmente dal simbolo dell’acqua negli alfabeti iconografici, e si pensa che derivi appunto dal geroglifico che rappresentava una N nell’antico egizio e che passò a M in semitico perché con tale suono cominciava la parola “acqua” in questa lingua (OP), (Wiki), (VT).

Ma 1 [s.f.] Apocope di mamma, parola molto usata a Mesoraca, esempi: ma’, e cucinatu? ‘mamma, hai cucinato?’ (guarda anche il secondo esempio di mmi per l’uso improprio del verbo avere), oih ma’! ‘oh mamma!’. 2 [cong.s.] Congiunzione, come in italiano, es.: ma cchi cazzu me cunti?! ‘ma che cazzo mi racconti?!’. 3 [agg.] Aggettivo possessivo, in posizione enclitica, legato esclusivamente a sostantivi che denotano parentela, esempi: sorma ‘mia sorella’, cuginamma ‘mia cugina’. 4 [pron.pers.] Pronome personale ‘me’ unito al pronome ‘la’ (a), pertanto la forma corretta è m’a; come in italiano, i due pronomi combinati sono usati quasi sempre in frasi interrogative o in risposta ad una domanda, esempi: m’a cunti na fragulidda? ‘me la racconti una fiaba?’, m’a fai na mmasciata? ‘me la fai una commissione?’, m’a du’? ‘me la dai?’, (A) t’a fa a spisa? (B) m’a fa tutte e simane ‘(A) te la fa la spesa? (B) me la fa tutte le settimane’; guarda anche me.

Macàru [avv.] Variante di ammacàru.

Maccarrunàru [s.m.] Artigiano specializzato nella lavorazione (e vendita) della pasta; mestiere dato per estinto, salta all’occhio il fatto che fosse un uomo.

Maccarrùne 1 [s.m.] Maccherone, genere di pasta, di solito si indica/va quella fatta con la murinedda, es.: (loc.) a carne e i maccarruni appezzantiscianu i baruni ‘la carne e i maccheroni impezzentiscono i baroni’ (naturalmente in passato questi cibi non si potevano mangiare sempre, infatti nemmeno i baroni potevano permetterselo tutti i giorni). 2 Persona sciocca, babbea.

Maccaturàta [s.f.] L’insieme di oggetti o cose contenute in un fazzoletto, “fazzolettata”, es.: na maccaturata e cerase ‘una fazzolettata di cerase’.

Maccatùru [s.m.] Fazzoletto di tela usato per pulirsi il naso; si ravvisa anche maccaturu ppe ra capu ‘fazzoletto per la testa’; guarda anche mueccu.

Macchja [s.f.] Macchia, imbrattatura, sbavatura di colore.

Macchja du furnu [s.f.] Zona di montagna compresa tra il villaggio Fratta e la località chiamata Codda da rina (o d’Arina).

Macchja e l’urzu [s.m.] Località silana di Mesoraca, poco distante dal monte Gariglione e quindi nella parte più a monte del territorio comunale, in posizione nord-ovest.

Macéllu 1 [s.m.] Zona di Mesoraca vicina al cimitero e alla località Turra. 2 Mattatoio, macello, es.: (loc.) aru macellu ce vanu cchjù giuvani ca viecchji ‘al macello ci vanno più giovani che vecchi’ (antico proverbio che sottolinea il fatto che in guerra ci vanno più che altro i giovani; il proverbio può essere letto anche in un’ottica contemporanea, sono sempre i giovani ad andare in guerra e ad essere interessati a varie forme di nichilismo.

Machina [s.f.] Automobile, macchina, l’accrescitivo è machinùne e denota un’auto di grossa cilindrata, il diminutivo è machinìcchja ma è anche vezzeggiativo.

Machinètta [s.f.] Qualunque oggetto di piccole dimensioni costruito apposta per uno scopo, esempi: spita a machinetta ‘svita la moca’, passame a machinetta ‘passami l’accendino’, te fattu i capiddi ccu a machinetta? ‘hai tagliato i capelli con il rasoio elettrico?’.

Macina [s.f.] Quantità base di olive pari a circa quattro tumini, ovvero sei cirme, per essere macinata e torchiata; guarda anche pilata.

Macinìeddu 1 [s.m.] Macinino del caffè. 2 Automobile scassata. 3 Località montana, vicina al Monte Gariglione e alla località denominata Diffierienzi.

Macròne [s.m.] Magrone, ossia malta scarsa di cemento usata come base per il successivo gettito delle fondamenta, in maniera tale che queste ultime non poggino sulla nuda terra.

Macru 1 [s.m.] Parte magra di salami, affettati o pezzi di carne in genere, es.: tagghjame nu pocu e prisuttu du macru ‘tagliami un po’ di prosciutto (crudo) della parte magra’. 2 [agg.] Magro, snello, che ha poco tessuto adiposo, guarda anche lientu.

Maddàmme [s.f.] Località e contrada presilana vicina alle località di Sant’Anciulu e Petrara.

Maddaròtta [s.f.] Località e sorgente silana vicina al villaggio Fratta, contigua alla località chiamata Codda da Rina, variante Maddaròtte.

Madòsca [loc.] Eufemismo per Madonna, usato in esclamazioni o anche in imprecazioni di tipo blasfemo.

Màfaru 1 [s.m.] Persona losca, furba. 2 Persona tamarra, un po’ tonta, manovrabile.

Mafiùsu [agg. s.m.] Malavitoso, delinquente, persona appartenente ad una banda criminale; fino alla seconda metà del XIX secolo, era sinonimo di spavaldo, audace, fiero, grazioso, gentile, bizzarro, spocchioso, squisito.

Magàra 1 [s.f.] Strega, persona che inganna capace di sortilegi e magie; guarda anche magaria. Come nel resto d’Italia in passato era anche sinonimo di persona dai facili costumi, infatti l’accrescitivo magarùne denota una ‘cortigiana d’alto livello’, dall’aspetto da maliarda che compie magarie. Alcune magare in paese hanno operato fino agli anni settanta del Novecento e oltre ad occuparsi di malocchio, fatture e riti molto simili a quelli vudù, ricoprivano anche il ruolo di persone capaci di procurare aborti con tecniche barbare e raccapriccianti, come l’uso di grossi spilli infilati nell’utero della malcapitata per uccidere il feto. Al maschile (magaru) il termine ha un’ccezione positiva, oltre a essere un mago la persona in oggetto è anche scaltra, è connotato positivamente. 2 Piaciona, simpaticona, astuta, termine impiegato prevalentemente tra donne e adoperato in senso ironico-scherzoso, esempi: cchi magara ch’è a sueru ‘che sveglia (etera, cortigiana) che è la sorella’, oih magara! ‘oih magara (troia, puttana, ma quasi sempre usata come intercalare), (lap.) magara di munimienti ‘megera dei monumenti’ (ovvero donna che aveva perso il marito o un familiare in guerra e in occasione della commemorazione dei caduti andava sotto il monumento con i capelli slegati, piangeva in maniera plateale e si graffiava il viso con le unghie; guarda anche pilare).

Magarìa [s.f.] Atto di stregoneria, magia, sortilegio e per estensione inganno, imbroglio, es.: m’ha fattu na magaria ‘mi ha fatto un sortilegio’ (mi ha raggirato).

Magażżìenu [s.m.] Uno dei locali fondamentali di ogni casa di Mesoraca; cantina, seminterrato, scantinato, ma anche garage adibito a magazzino, in altre parole, luogo deputato alla conserva di vari alimenti come salami, olio, vino, conserva di pomodoro; talvolta è costruito apposta per uno scopo, es.: magażżienu de ligne ‘deposito della legna’.

Magghja [s.f.] Maglia, maglione. esempi: mintate a magghja e ncarne ca tramuti ‘mettiti la maglia della salute che prendi freddo’, magghja spaccata ‘maglia aperta’ (cardigan).

Magghjicùtu [agg.] Forte e robusto, anche se un po’ agreste, es.: nu giuvane bieddu magghjicutu ‘un giovane forte e robusto’.

Magghjistràle [s.m.] Magistrale, ovvero l’Istituto Magistrale di Mesoraca, fino a qualche anno fa situato in via S. Paolo a Filippa; il termine denomina anche la zona che ci sta attorno. Dal 1998 l’Istituto magistrale, per legge nazionale, è stato trasformato in un liceo della durata di cinque anni; attualmente tale liceo, di nuova costruzione, è collocato in zona Campizzi (inaugurato nel 2010) e chiamato Liceo Linguistico e Socio Psico Pedagogico.

Magghjistrale

Magistìeri [s.m.] Stratagemma, astuzia, ma anche maestranza o maestria verso un mestiere, abilità professionale.

Magnèsa 1 [s.f.] Nome di un vuddu della jumàra, situato poco più su del Maricìeddu; piccolo ma molto profondo con ottimi scogli per tuffarsi. 2 Magnesia, quella per digerire.

Màgula [s.f.] Vezzo, smanceria, carezzina, moina.

Maguràna [s.f.] Maggiorana, erba aromatica simile all’origano, Origanum majorana L., variante maguranu.

Majèstru [s.f.] Maestro, anche se questo termine lo usava mia nonna.

Majìdda [s.f.] Madia, ovvero grosso contenitore in legno di forma rettangolare con grossi bordi laterali, usato per impastare la farina, per conservarci il pane o altre vivande; fino a non molto tempo fa veniva escavata direttamente da un tronco; guarda anche Fratta.

Majìse 1 [agg.] Maggese, che si riferisce al mese di maggio.  2 [s.m.] Terreno agrario tenuto a riposo per un paio d’anni circa per poi essere lavorato per la semina di cereali, stratagemma ecologico per far riacquistare la fertilità ai terreni.

Maju [s.m.] Maggio, quinto mese dell’anno, esempi: (loc.) na pioggia a marzu e due ad aprile, e una a maju si se po avire ‘una pioggia a marzo e due ad aprile, e una a maggio se si può avere’ (piogge utili per il raccolto), (loc.) aprile fa u jure e maju nna l’unure ‘aprile fa il fiore e maggio ne ha (riscuote) l’onore’ (farsi bello con poco lavoro, dopo quello che hanno svolto gli altri), (loc.) u murire ciucciu miu si u bbena maju ‘non morire asino mio se non viene maggio’ (se ti muore l’asino è una disgrazia, ma se ti muore a maggio la disgrazia è compensata dal fatto che è il mese dell’amore e dei raccolti).

Mala 1 [avv.] Non buona, non giusta, non conveniente, es.: s’ha piatu chidda mala ed ha lassatu chidda bbona ‘s’ha (si è) preso quella cattiva ed ha lasciato quella buona’; guarda anche malu. 2 [s.f.] Malumore, broncio, cattiva (sorte), esempi: l’è piata a mala ‘gli è preso a male’, (loc.) si me vena a mala me sparagnu a bona e si me vena a bona me sparagnu a mala ‘se mi viene la cattiva mi risparmio quella buona e se mi viene la buona mi risparmio quella cattiva’ (parlando della morte, come arriva arriva la si accetta); guarda anche malu. 3 [agg.] Cattiva, sgarbata, poco di buono, impertinente, irrispettosa, scortese, esempi: cumu è mala chidda guagliuna! ‘come (quanto) è maleducata quella ragazza’, murire e mala morte ‘morire di brutta morte’ (ammazzati o in un incidente), (loc.) ara mala vicina falle a cucina ‘alla cattiva vicina falle la cucina’ (è strategico tenersi buona la vicina rompicazzo altrimenti sparlerà di te); guarda anche malu. 4 Primo termine di molti nomi composti che caratterizza negativamente la parola a cui è collegato.

Malabbidùtu [agg. s.m.] Malvisto, inviso, antipatico.

Malacapìzza [s.m.] Incosciente, scapestrato, persona poco raccomandabile.

Malacriànza [s.f.] Cattiva educazione, sgarbatezza, cafoneria.

Malacunnùtta [s.f.] Mala condotta, comportamento cattivo, atteggiamento disdicevole.

Malacuscìenza [s.f.] Cattiva coscienza, moralità dubbia, coscienza sporca, pensiero, sentimento o comportamento attuato o sentito con consapevolezza e inganno.

Maladùettu [s.m.] Alla lettera ‘mal adotto’ ‘cattivo adotto’, portare sfiga, trattasi di una più o meno piccola espressione del pensiero superstizioso, ovvero se non si compie un certo rituale, specie di tipo religioso o sociale, questo potrebbe essere di cattivo auspicio, es.: (A) domane aru Pascune chjova (B) u purtare maladuettu (A) domni a Pasquetta piove (B) non portare sfiga’; guarda anche cunzulu e licenziare.

Malafferùtu [agg.] Persona che ha subito un grosso trauma, incattivita e provata dal disagio patito.

Malafigùra [s.f.] Cattiva figura, magra, gaffe.

Malagùriu [s.m.] Malaugurio, cattivo auspicio, variante malagùru, es.: si n’agieddu e malaguru ‘sei un uccello di malaugurio’ (l’uccello del malaugurio per eccellenza è la cuccuvedda ‘civetta’).

Malannàta [s.f.] Cattiva annata, di solito riferito ad un pessimo raccolto.

Malannàtu [agg.] Malandato, malconcio; guarda anche mala.

Malanòva [loc.] Letteralmente ‘cattiva nuova’, esclamazione che si usa quando si vuole augurare cattiva sorte (dall’effetto simile simile ad un vaffanculo) a una persona o per sottolineare una cattiva notizia, esempi: malanòva u te pia! ‘malanova che ti pigli!’ (vaffanculo a te!, oppure ‘impiccati!’), uh malanova! ‘uh cattiva nuova!’ (merda!!), (loc.) chine caru si lu tinna, malanova li nne vinna ‘chi caro se lo tenne una brutta notizia gliene venne’ (la troppa cura o il troppo risparmio, alla lunga diventano controproducenti).

Malantrìnu [s.m.] Malandrino, delinquente.

Malanuttàta [s.f.] Cattiva nottata, momento caratterizzato da veglia con possibili cattive notizie, oppure da sonno spezzato da incubi.

Malaparòla [s.f.] Parolaccia, brutta parola.

Malapàsqua [loc.] Letteralmente ‘cattiva Pasqua’, imprecazione adoperata in momenti non felici o per mandare a quel paese qualcuno, vicina al significato di malanova, es.: (lap.) malapascqua u te vegna ‘cattiva Pasqua ti venga’ (che tu possa avere un brutto momento).

Malariùsu [agg.] Detto di sostanza o luogo che emana un cattivo odore; in particolare veniva detto così anche il lino dopo la prima “pestata” con il manganieddu.

Malascùtu [agg.] Disobbediente, ribelle, es.: (loc.) ccu na perzuna malascuta ci nne vo n’atra malaccriata ‘con una persona storta (ribalda) ce ne vuole un’altra più storta ancora’ (nata così).

Malàttu [s.m.] Smorfia, verso, boccaccia, presa in giro, es.: u mme fare malatti ‘non farmi ghigni’ (non prendermi in giro).

Malattùsu [agg.] Smorfioso, lezioso, vizioso.

Malatùsu [agg.] Malaticcio, spesso ammalato, cagionevole di salute.

Malettrattàre [v.tr.] Trattare male, trattare sgarbatamente una o più persone, talvolta anche con ingiurie pesanti.

Malìa [s.f.] Di qualcosa lasciata all’abbandono, all’incuria, che si fa andare a male, può essere riferito anche a se stessi o ad un’altra persona es.: si me jiettu a malia u mme recuperu cchjù ‘se mi butto all’abbandono non mi recupero più’; il termine non condivide il significato italiano di incantesimo o malocchio.

Malignitùdine [agg.] Malignità, cattiveria, maldicenza.

Malìżża [s.f.] Malizia, astuzia, furbizia, es.: caccia maliżża ‘caccia malizia’ (fatti furbo).

Malu [agg. s.m.] Cattivo, poco educato, irrequieto, in senso lato l’opposto del bene, esempi: tu averre vidire cumu è malu u figghju ‘dovresti vedere come è cattivo ed irrequieto il figlio’, (loc.) u malu esempiu vena di monaci e di prieviti ‘il cattivo esempio arriva dai monaci e dai preti’, u buenu u bruttu e u malu ‘il buono il brutto e il cattivo’, (loc.) pienzi aru malu ppe te truvare aru buenu ‘pensi al male per trovarti al bene’ (sorta di pessimismo costruttivo); guarda anche mala.

Maluchjùevu [s.m.] Letteralmente ‘cattivo chiodo’, canaglia, mascalzone.

Malucòre [agg. s.m.] Persona dura, senza cuore.

Malucriàtu [agg. s.m.] Maleducato, incivile.

Malucummenàtu [agg.] Malconcio, malandato, ridotto in cattivo stato; il termine è riferito a cose, animali o persone, ma è prevalentemente usato per indicare oggetti malmessi o usurati dal troppo impiego.

Malucupàtu [agg. s.m.] Persona sveglia, astuta, furba; cfr scatuzzu.

Maludènte [s.m.] Persona aggressiva, cattiva, orso.

Maludestìnu [s.m.] Cattiva sorte, sfortuna.

Malùecchju [s.m.] Malocchio, affascino, iattura, es.: mi cc’ha gghjettatu u maluecchju ‘mi ci ha fatto l’affascino’; cfr affascinare, vuvuiare e tagghjuniare.

Malumparàtu [agg. s.m.] Educato male perché viziato, con la stessa frequenza viene usata la variante malemparàtu.

Maluncappàtu [s.m.] Incappato male, capitato male.

Malupenzìeru [s.m.] Cattivo pensiero, molto adoperata anche la forma plurale malipenzìeri.

Malupìernu [s.m.] Cattiva compagna in amore, una scelta avventata.

Malusàngu [agg. s.m.] Irritante, fastidioso, ma anche persona che fa o che è antipatica, esempi: me fa malusangu ‘mi fa cattivo sangue’ (mi irrita), cchi malusangu e perzuna ‘che antipatica di persona’.

Maluspràticu [agg. s.m.] Maldestro, imbranato, poco pratico verso un mestiere (o un’azione da compiere) che richiede attenzione e saper fare.

Malùsu [agg.] Alla lettera “cattivoso”, non buono, di scarso valore, non funzionante, cattivo, variante mmalùsu, esempi: su funciu è malusu ‘questo fungo è velenoso’, oih cum’è mmalusu! ‘oh com’è cattivo!’ (brutto).

Malutìempu [s.m.] Maltempo, perturbazione atmosferica di rilievo, es.: acqua chjara, u se spagna du malutiempu ‘acqua chiara, non ha paura del maltempo’ (la persona con la coscienza pulita non teme le diffamazioni).

Maluvìżżu [s.m.] Alla lettera ‘cattivo vizio’, cattiva abitudine, semanticamente molto vicino a difiettu, es.: nn’ha maliviżżi fratitta ‘ne ha di viziacci tuo fratello’ (a voglia); guarda anche abbiżżiàre.

Mamma 1 [s.f.] Mamma, madre, in tutte le accezioni dell’italiano, da cui màmmasa ‘sua mamma’ e màmmata ‘tua mamma’, es.: (loc.) Cicciu toccame ca a mamma vo ‘Ciccio toccami che la mamma vuole’ (se mi provochi…). 2 Suocera, come titolo di rispetto, es.: cci’a chjami mamma ara socera tua? ‘ce la chiami mamma alla tua suocera?’.

Mammà [s.f.] Altro modo di chiamare la nonna, in realtà è altro modo di chiamare la mamma; forma vezzeggiativa di probabile importazione partenopea.

Mammalùru [s.m.] Indica un bambino o un ragazzino molto legato (un po’ troppo) alla mamma; in futuro probabilmente darà lavoro a psicoterapeuti e simili.

Mammàna [s.f.] Ostetrica, levatrice, mammana, persona che con l’esperienza e con il sapere trasmesso da una generazione all’altra, aiuta le donne a partorire; usato anche il diminutivo-vezzeggiativo mammanédda, esempi: (loc.) tra a mamma e a mammana s’affucau a criatura ‘tra la mamma e la levatrice soffocò la creatura’ (perdersi in chiacchiere o cose futili tralasciando le cose importanti), (lap.) chi la via ara mammana, era miegghju u t’affucava ‘che la possino alla mammana, era meglio se ti soffocava’ (intercalare benevolo riferito ad una persona adulta).

Mammarànne [s.f.] Letteralmente ‘manna grande’, ovvero nonna; cfr paparanne, es.: a bonanima da mammaranne ‘la buonanima della nonna’.

Mammarédda [s.f. inter.] Termine impiegato con valore prevalentemente interiettivo, in invocazioni che, a seconda del tono con cui sono pronunciate, esprimono sorpresa, meraviglia, ansia, spavento e, dopo la canzone degli Abba, anche simpatia; è l’equivalente di un’espressione nota in tutto il mondo ‘mamma mia!’ oppure ‘mammina mia!’, alla lettera ‘mammarella!’ e cioè, piccola mamma; molto usata anche la forma apocopata mammarè, esempi: mammaredda mia cchi paura chi me fattu avire ‘mammarella mia che paura che mi hai fatto avere’, mammarè cumu è avutu ‘oh mamma quanto è alto’, mammaredda mia cchi bifaru ‘porca miseria (mamma mia) che tamarro’.

Mammùecciulu [s.m.] Moccioso, marmocchio, pargolo, ma anche bamboccio, sciocco.

Manca di diavuli [s.f.] Località della Sila piccola situata a nord-ovest del villaggio Fratta, variante Manca du diavulu.

Mancamìentu [s.m.] Svenimento, mancamento.

Mancarèdda [s.f.] Castagneto vicino al monte Giove, situato a ovest del comune.

Mancialàru [agg.] Grande forchetta, golosone con striature di cafonaggine, una grande bocca che mangia; cfr lummardinu.

Manciàre 1 [v.tr.] Mangiare, cibarsi, esempi: l’aju vistu manciare e m’aju parutu vrigogna c’u canusciu ‘l’ho visto mangiare e mi sono vergognato di conoscerlo’, (loc) u pazzu fa re nozze e ru saviu se mmancia ‘il pazzo fa le nozze e il savio se le mangia’ (il cretino spende i soldi e i furbi se ne godono). 2 [s.m.] Cibo, il mangiare, es.: t’u purtasti u manciare? ‘te lo portasti il mangiare?’.

Manciàta 1 [s.f.] Abbuffata, scorpacciata, anche specificatamente di qualcosa, es.: na manciata e frittule ‘un’abbuffata di frattaglie di maiale’; cfr scaddarizzata. 2 [agg.] Come in italiano si usa il p.p. di manciare per indicare un oggetto o una superficie corrosa, mangiata, rosicchiata.

Manciatùra [s.f.] Mangiatoia, truogolo, ovvero lo spazio all’interno di un’ovile o una porcilaia ove gli animali trovano il cibo; il termine è poco usato e si usa molto di più scifu, es.: (loc.) c’ha avutu a manciatura vascia ‘ha avuto la mangiatoia bassa’ (ha avuto la vita facile).

Mancicùegni [s.m.] Cibarie, vivande, golosità.

Manciuliàre [v.tr.] Più che mangiucchiare, piluccare con una certa voracità, non distante dal significato di pappuliare.

Manciùne [s.m.] Mangione, crapulone, ingordo.

Mancu 1 [s.m.] Sinistra, parte sinistra, es.: te guardare a destra e a mancu ‘ti devi guardare a destra e a sinistra’. 2 Luogo dove non batte il sole, esempi: si cce fa u lippu aru mancu ‘cresce il musco dove non batte il sole’, (loc.) fare case a mancu, duve u cce trasa u sule cce trasa u miedicu ‘fare case orientate a nord, dove non entra il sole entra il medico. 3 [avv.] Nemmeno, neppure, per es.: mancu li cani ‘nemmeno i cani’ (nel senso di qualcosa da non augurare a nessuno).

Manebarbòne [l.avv.] Letteralmente ‘in mano ai Borboni’ e traduce l’espressione italiana ‘molto tempo fa’. Da notare che l’espressione ‘in mano ai Borboni’ sottintende che in una certa maniera si era sottomessi dai Borboni.

Manganiàre [v.tr.] Manganare, trattare il lino con il mangano, es.: (lap.) chi te vorranu manganiare cumu u linu ‘potessero manganarti come il lino’ (potessero bastonarti bene bene).

Manganàtura [v.tr.] Manganatura, dirompere il lino o la canapa con la gramola, il mangano.

Manganìeddu [s.m.] Bastone di forma rotonda usato per far cadere i semi della pianta del lino, per spezzarne la lisca e infine, per eliminare le radici.

nganu 1 [s.m.] Gramola, bastone, mangano, ovvero attrezzo per battere il lino e la canapa, variante manganaturu. 2 Persona non molto scaltra, stordito, ingenuo, rintronato.

Maniàre 1 [v.tr.] Maneggiare, mescolare, esempi: quannu era ara Squizzara nne maniava sordi ‘quando era (emigrato) in Svizzera maneggiava un sacco di soldi’ (guadagnava), l’è maniare assai a carne ppe re suppressate ‘va mescolata bene la carne destinata alle soppressate’. 2 [v.intr.] Sbrigarsi, fare in fretta qualcosa, fare veloce, es.: te maniare si u vvue perdire u postale ‘ti devi sbrigare se non vuoi perdere il postale’ (la corriera).

Maniàta 1 [agg.] Usata, maneggiata, di seconda o terza mano; parola spesso usata in tono negativo. 2 Donna logorata dal mal costume, puttana.

Manìate [v.rifl.] Sbrigati, muovi le mani, imperativo presente, seconda persona di maniare, esempi: maniate ca ni cce chjova ‘affrettati che ci prende la pioggia’, maniate u triculiare ‘sbrigati non perdere tempo’.

Manichentìle [s.f.] A mezze maniche.

Maniciòla [s.f.] Salva mano in cuoio e ferro usata dai bastai per spingere i grossi aghi usati nel loro lavoro; guarda anche zaccurafa.

Manicomiu [s.m.] Oggetto generico (un cellulare, un attrezzo) complicato nel suo uso, sia perché ha molte funzioni sia perché si presenta come tale; sono annoverate tutte le altre varianti di significato dell’italiano.

Manicrìeru [agg.] Smanioso, che non sta mai fermo ed ha la frenesia del toccare tutte le cose.

Manìcula [s.f.] Cazzuola, da cui maniculàta ‘cazzuolata’, esempi: mintace nu pocu e cimentu ccu ra manicula ‘mettici un po’ di cemento con la cazzuola’, jettace na maniculata e cimentu intra chiddu bucu ‘(buttaci) sistemaci una cazzuolata di cemento in quel buco’.

Manìgghja 1 [s.f.] Maniglia, presa. 2 Trapano a manovella adoperato dai falegnami.

Manigghjùne 1 [s.m.] Grossa maniglia, maniglione. 2 Persona furba, oppure persona molto raccomandata, in tal caso traduce l’italo-napoletano ‘ammanicato’.

Manna [s.f.] La parte più pregiata del lino, ma anche manipolo di lino; guarda anche stuppa e linazza.

Mannàja [l.avv.] Corrispettivo dell’italiano ‘mannaggia’, adoperato soprattutto per imprecare in maniera pesa, usato sempre come primo componente di una bestemmia, con uguale frequenza è usato anche il suo diminutivo aja, esempi: mannaja ara morte! ‘mannaggia alla morte!’, aja a san Zuccobaldo! ‘mannaggia a san Zuccobaldo!’.

Mannàra [s.f.] Mannaia, accetta, quella usata dai macellai, es.: te feddiu ccu ra mannara si u tta finisci ‘ti affetto con la mannaia se non la finisci’.

Mannàre [v.tr.] Mandare, indirizzare, spedire.

Mannarìnu [s.m.] Mandarino, Citrus reticulata Blanco.

Mannàtu [s.m.] Bonifico, mandato.

Mannédde [s.f.pl.] Modo di dire per incitare i bambini a battere le mani.

Mannìle [s.f.] Sorta di fazzoletto adoperato come copricapo femminile, non molto diffuso a Mesoraca, infatti proviene da San Giovanni in Fiore.

Mannìse [s.m.] Boscaiolo, taglialegna.

Mannulìnu [s.m.] Lo strumento musicale a corde ‘mandolino’, esempi: u paparanne sunava u mannulinu ‘il nonno suonva il mandolino, u culu a mannulinu ‘il culo a mandolino’.

Mànnulu [s.m.] Pezzo di legno lungo circa 60 centimetri con una borchia di lato per farci scorrere un pezzo di ferro e farlo girare, spesso usato dalle donne per filare il lino.

Mantenùta [s.f.] Amante sostenuta economicamente, es.: tena a mantenuta ’tiene l’amante’ (da sostenere).

Manticiùne [agg. s.m.] Persona mezza stupida, goffa, per molti versi simile al ciociò.

Mantra [s.f.] Mandria, gregge, esempi: cane e mantra ‘cane da mandria’, si nu cane e mantra ‘sei un cane di mandria’ (uso figurato ‘persona stupida’), (loc.) oje è Santu Nicola, ogne vaddune sona e ogne mantra povaredda fa na ricottedda ‘oggi è Santo Nicola, ogni vallone suona e ogni mandria poverina fa una ricottina’ (ci si riferisce al periodo in cui le mandrie di pecore iniziano a produrre latte idoneo a fare le ricotte, ovvero da autunno a primavera); guarda anche vaddune.

Mantu 1 [s.m.] Mantello, manto, es.: (loc.) pane e mantu u gravanu tantu ‘pane e mantello non gravano molto’ (sono due cose essenziali per chi viaggia). 2 Piacchiata, lavata di capo con schiaffoni, per es.: te fazzu nu mantu si u tte ricuegghji priestu ‘ti do tante di quelle sberle se non rientri presto’.

Manu 1 [s.m.] Mano, direzione, passata, smazzata; il diminutivo manùzza indica, nel gergo dei macellai, la carne che si trova sopra la scapola dei bovini. 2 [avv.] Se la parola è ripetuta due volte manu manu indica il concetto di ‘tra non molto’ ‘a breve’ ‘per poco’, esempi: manu manu arriva u trenu ‘a breve arriva il treno’, manu manu le cadia ‘per poco non gli cadeva’.

Manulàta [s.f.] Località di castagneti nel territorio del comune di Petronà, un tempo territorio di Mesoraca, es.: (loc.) ppe na manciata finu a Manulata, ppe na vivuta finu ara Luta ‘per una mangiata fino a Manulata, per una bevuta fino alla Luta’ (per una stronzata fai una fatica grossa, ovvero tanto sbattimento per una cosa di poco conto).

Manuliàre [v.tr.] Manipolare, maneggiare, cfr maniare.

Manzu [agg.] Mansueto, docile.

Mappìna 1 [s.f.] Canovaccio, asciugatoio, strofinaccio, es.: (loc.) e mappine su diventate tuvagghje e re tuvagghje su diventate mappine ‘gli strofinacci sono diventati tovaglie e le tovaglie sono diventate strofinacci’ (c’è chi millanta abilità non possedute e chi invece ce le ha, non ha la possibilità di esercitarle per colpa di qualcuno; il proverbio è usato anche come metafora per chi da povero diventa ricco e viceversa); cfr stiavuccu. 2 Schiaffo ben assestato, es.: jettale na mappina! ‘dagli una sberla!’; guarda anche fantalata e buffettune.

Marche [s.f.pl.] I contributi per la pensione, più precisamente la ‘marchetta’ usata per pagare i contributi a fini pensionistici; parola ormai poco usata.

Marchjàre [v.tr.] Marchiare, etichettare.

Marchju [s.m.] Marchio, bollo.

Margia [agg.] Terreno non coltivato da dissodare.

Maricìeddu [s.m.] Letteralmente ‘piccolo mare’, il termine è riferito ad uno dei tanti piccoli bacini naturali che il fiume Vergari forma nel suo corso, fino ad un paio di decenni fa era il più lungo; guarda anche vuddu e jumàra.

Marina [s.f.] Il territorio comunale è sostanzialmente suddiviso in due parti, a nord-ovest vi è il territorio montano e a sud-est la parte che declina verso la costa, arrivando a pochi chilometri dal mare; in questa porzione di territorio si concentrano maggiormanete le attività legate alla campagna, uliveti, colture e pastorizia, esempi: è gghjutu ara Marina ‘è andato alla (in) campagna’, passamu da Marina ppe gghjire a Botricieddu c’accurtamu ‘passiamo dalla marina per andare a Botricello che accorciamo’.

Mariòla [s.f.] Tasca interna della giacca, in passato invisibile ossia molto nascosta, ladra.

Marìtu [s.m.] Marito, coniuge, compagno, da cui marìtumma ‘mio marito’ e marìtutta ‘tuo marito’, esempi: (loc.) maritumma e gghjutu ara Merica e nnu mm’ha scrittu, u ssacciu cchi mancanza l’aju fattu… na piccula mancanza l’aju fattu, avia tre figghji e nn’ha truvatu quattru! ‘mio marito è andato in America e non mi ha scritto, non so che mancanza gli ho fatto, aveva tre figli e ne ha trovato quattro!’, (loc.) u primu t’u manna u Segnure, u sicunnu t’u manna u munnu e u terzu t’u manna u Diavulu ‘il primo te lo manda il Signore, il secondo te lo manda il mondo e il terzo te lo manda il Diavolo’ (il marito).

Marmaru [s.m.] Marmo, es.: u pavimentu e marmu ‘il pavimento di marmo’.

Marpiùne [s.m.] Marpione, furbastro.

Marràme [s.m.pl.] Sporcizia, confusione di materiali vari.

Marrapìeddu [agg] Persona irresponsabile che ciarla troppo a cui non puoi affidare un segreto.

Marrédda [s.f.] Piccola porzione della matassa del lino, ma anche piccolo mazzetto di steli della pianta stessa, ovvero la quantità contenuta in una mano; dieci marredde formano una diecuma.

Marrò [agg.] Marrone, il colore.

Marrunàru [s.m.] Grezzo, grossolano, persona che compie grossi errori.

Marrùne [agg.] Errore, inesattezza, sbaglio, es.: fa nu munte marruni ‘fa un mucchio di erroracci’.

Martèse [agg.] Guarda portugallu.

Marti [s.m.] Martedì, secondo giorno della settimana.

Martìeddu 1 [s.m.] Martello, da cui martedduzzu ‘martellino’ e marteddata ‘martellata’. 2 Grosso schiaffo, sberla feroce. 3 Cazzo, pene.

Marùca [s.f.] Chiocciola, Eobania vermiculata M., la specie più diffusa, Cernuella virgata Da C. e Theba pisana M. sono quelle che troviamo sugli steli delle piante; guarda anche vermituru.

Ingredienti: maruche e vermituri messi tre giorni a spurgare, sugo di pomodoro (o pelati), uno spicchio d’aglio, olio, origano, alloro, un peperoncino, sale, pepe, dado a piacere, basilico, prezzemolo. Procedura: bollire i simpatici animaletti a fuoco lento (atroce ma necessario), avendo cura di metterli dentro subito ad acqua fredda; quando l’acqua inizia ad essere molto calda e le maruche ben distese, alzare il gas e farle bollire per dieci minuti. Scolarle, lavarle e lasciarle in ammollo nell’acqua fredda per un paio d’ore, cambiandogli l’acqua una volta, sciacquare ancora. Non fare soffritto e mettere insieme tutto, maruche, sugo e tutte le spezie (abbondare con l’origano a rametti); fare cuocere per 35 minuti a fuoco medio.

Marùggiu 1 [s.m.] Il manico della zappa o dell’ascia; per estensione, indica anche un bastone di queste dimensioni. 2 Pene di rilievo, grosso pisello.

Marvàggiu [agg.] Malvagio, cattivo d’animo.

Marvàta [s.f.] Troppo cotta, stracotta, es.: ste secre su diventate na marvata ‘ste biete selvatiche sono diventate una poltiglia’.

Marvìzzu [s.m.] Tordo, Turdus iliacus L.

Marzu [s.m.] Marzo, terzo mese dell’anno, es.: (loc.) miegghju mammata aru liettu u te ciancia e nno u sule e marzu nu te puncia ‘meglio tua mamma al letto che ti pianga e non il sole di marzo che ti punga’ (versione filippara dello stesso proverbio presente alla voce tincire).

Mascàgna [s.f.] Tipo di acconciatura maschile, con i capelli tirati all’indietro.

scara [s.f.] Maschera, camuffamento, travestimento.

Mascata [s.f.] Sberla, ceffone; ne deriva mascatùne ‘grossa sventola’; cfr copanàta e mappìna.

Mascatùra [s.f.] Serratura, chiusura.

Mascèlla [s.f.] Pezzo di tavola o piccola tavola, impiegata dai muratori per i scopi più disparati.

Maschìettu [s.m.] Chiavistello, chiavaccio.

Masciddàru [s.m.] Parti esterne (le ali) della madia, impiegate per dare la forma al pane; guarda majidda.

Masciùne [s.m.] Letto d’altri tempi, assimilabile ad una tana.

Mascu [s.m.] Perno della serratura, chiavistello, es.: (loc.) unta u mascu ca trasi ‘ungi il serramento che (così) entri’ (se vai con un regalo (se ungi) ti si spalancano le porte).

Masculìnu [agg.] Mascolino, oggetto o vestito adatto a uomini.

Masculu [s.m.] Maschio, uomo.

Masinnò [l.avv.] Alla lettera ‘ma se no’, ossia ‘altrimenti’ ‘in caso contrario’.

Massàra [s.f.] Massaia, casalinga; nella prima metà del ‘900 e forse anche prima, la parola era anche sinonimo di ‘tessitrice’, ossia donna di casa che possedeva un telaio.

Mastazzòla [s.f.] È un biscotto non lievitato di origine araba, fatto con farina, miele caramellato, liquore all’anice e altri aromi; le mastazzole sono tipiche delle sagre e delle feste popolari, fanno parte della tradizione, ogni regione meridionale ha la propria versione e in molte ricette vi è il mosto cotto (vinicuettu) (Wiki); inoltre, ne esistono due varietà, la prima ha la forma di una fetta di pane bassa, qualche pezzo di mandorla disperso all’interno e consistenza morbida, la seconda varietà è invece bassa e molto compatta, di solito ha la forma di una figura (pesce, pastore, lettera esse).

Masticciàta [s.f.] Sassi della grandezza di una cuticchja usati per fare il primo strato nei pavimenti dei garage/magazzini, sopra i quali verrà poi messo il cemento e infine la pavimentazione.

Mastichiàre [v.tr.] Masticare, ruminare.

Mastrànza [s.f.] Maestranza, grande esperienza, sinonimo di mastria.

Mastravòta [s.f.] Scusa, stratagemma per svicolarsi da un impegno, astuzia, inganno, cambiamento di pensiero, opportunismo, es.: (loc.) fare na mastravota ‘fare una giravolta’ (essere voltagabbana), (loc.) ccu na mastravota la fricati puru sta vota ‘con un’astuzia la fregate pure questa volta’.

Mastrìa [s.f.] Maestria, abilità, bravura, sinonimo di mastranza.

Mastru [s.m.] Mastro, artigiano, operaio specializzato, esempi: (loc.) ad acqua e fuecu mastri puecu ‘con acqua e fuoco mastri poco’ (non c’è mastro che tenga con l’acqua e il fuoco, ossia non si scherza con questi due elementi), (loc.) quannu e jire a mastrìcchji va a mastràcchji ‘quando devi andare a (in cerca di) mastri piccolini è meglio andare a (in cerca di) mastri grandi’ (che non sbagli); in effetti il termine viene impiegato quasi esclusivamente per indicare il mestiere del muratore, molto di rado per altri lavori, esempi: mastru Totu ‘mastro Toto’, (loc.) fricate mastru ca u furnu cadiu ‘fottiti mastro che il forno cadde’ (il mastro muratore non è stato un buon muratore), ce jire aru mastru ‘ci devi andare al mastro’ (espressione tipica, si usa per comunicare all’interlocutore che per padroneggiare una certa azione è necessario conoscere bene il mestiere a cui è legata, ossia è fondamentale andare a istruirsi da un maestro; l’impiego di questa frase è quindi legata all’uso di toni ironici e derisori, di fatto, si chiarisce all’interlocutore che non è nelle sue capacità compiere un certo qualcosa, specie se quest’ultimo è un po’ incredulo sul fatto che quella stessa azione l’abbiamo compiuta proprio noi), (loc.) l’opera è fatta e penna, ce vo u mastru u ra difenna ‘l’opera è fatta e pende, ci vuole il mastro che la difende’ (il mastro ha sbagliato qualcosa, è quindi necessario di nuovo il suo intervento).

Masunàru [s.m.] Pollaio, luogo di riparo delle galline.

Matàfara [s.f.] Termine che indica qualcosa che si compie di nascosto, con furbizia, es.: sutta a matafara nne fa cose ‘sotto sotto ne combina di cose’; cfr mastravota.

Mataléna [s.f.] Località di campagna (uliveti) vicino alla località Cidùrzu.

Mataràzzu [s.m.] Materasso, letto, giaciglio.

Matassàru [s.m.] Naspo, ossia attrezzo o macchina che serve ad avvolgere il filo per formare matasse.

Materia [s.f.] Pus, materia purulenta.

Matìnu [s.m.] Mattino, prima parte della giornata, es.: (lap.) chi te viennu ppennu ud arrivi a domane matinu ‘che possa vederti non arrivare a domattina’.

Matrìa [s.f.] Suocera, da cui matrìamma ‘mia suocera’ e matrìatta ‘tua suocera’, es.: (loc.) miegghju nu malu maritu ca na mala matria ‘meglio un cattivo marito che una cattiva suocera’.

Matrimùenu [s.m.] Matrimonio, sposalizio, es.: (loc.) matrimuenu ara ruga e Sancianni a Roma ‘matrimonio nel rione e il comparatico a Roma’ (sembra sia meglio avere come moglie una vicina di casa e il compare invece più lontano possibile; per oscuri motivi, il compare si configurerebbe più come un probabile scocciatore, è quindi meglio sceglierlo distante rispetto a dove si abita).

Mattulu [s.m.] Grosso fascio di fieno ottenuto attorcigliando le erbe intorno ad un piccolo bastone di legno; posizionati ai lati del basto, due covoni erano trasportati da un asino, mentre per quantità superiori poteva essere adoperato un carretto, comunque trainato da un asino o da un mulo; esempi: me fattu jire culi mattuli ‘mi hai fatto andare culi mattuli’ (il significato attribuito è ‘mi hai fatto faticare, mi hai esaurito, mi hai fatto tribolare’), (loc.) te mignu ccu nu mattulu e vammace ‘ti picchio con un fascio di bambace’ (col tempo e la continuità si arriva a fondo).

Mattùne 1 [s.m.] Mattone, laterizio. 2 Film noioso, es.: u firme e stasira è nu mattune ‘il film di questa sera è noioso’.

Matuntìa [s.f.] Località di Mesoraca (uliveti) confinante con il quartiere Petrachjana e il monte Petrara.

Maturàre 1 [v.intr. v.intr.pron.] Portare qualcuno al colmo dell’irritazione e della esasperazione, esacerbarsi; accezione non presente nell’italiano; guarda anche chjumpìre. 2 [v.intr.] Maturare, arrivare a maturazione della frutta, anche di cose che necessitano tempo per diventare buone. 

Màżara [s.f.] Insieme di pesi di varia natura come pietre, fiaschi pieni, blocchi di cemento e così via, che insieme ad un asse (in genere un timpagnu) sono impiegati come pressa; alcune persone ovviano ai pesi apponendo sopra l’asse di legno uno o più puntelli; guarda anche suppressate e olive.

Mazza 1 [s.f.] Il bastone usato nel gioco della lippa che serve per colpire il pezzo di legno più corto, chiamato sciettula; guarda anche pizza. 2 Cazzo, pisello. 3 Grossa mazza, col manico in legno e la testa in metallo, da impugnare con due mani, usata per spaccare pietre, grossi ceppi, rottami, ma anche da dare violentemente in fronte ai maiali per provocarne la morte (mostruoso). 4 Grosso maglio in legno da impugnare con due mani, avente la parte finale piatta e di forma rettangolare, impiegata per battere coperte o tappeti sopra gli scogli del fiume.

Mazzacàne [s.f.] Pietra di media misura impiegata nella costruzione delle case.

Mazzàccaru [s.m.] Località di campagna e contrada di Mesoraca, a est rispetto al comune, vicino alla località Vardaru.

Mazzètta 1 [s.f.] Pizzo, tangente. 2 Mazzetta da muratore usata in accoppiata con lo scalpello; guarda anche pinciottu.

Mazzi [s.m.pl.] Mazzate, botte.

Mazziàre [v.tr.] Bastonare, percuotere.

Mazziàtu [s.m.] Percorso, bastonato; guarda anche curnutu.

Mazzicabròdu [s.m.] Alla lettera ‘masticabrodo’, ossia ciarlatano, fanfarone.

Mazzicàre [v.tr.] Masticare, triturare, sgranocchiare.

Mazzu 1 [s.m.] Culo, fondo schiena, es.: m’aju fattu u mazzu a cappieddu e prievite ‘mi sono fatto il culo come un cappello di prete’ (probabilmente quelli a tesa larga nda). 2 Mazzo, fascio, fascina, da cui mazzarieddu ‘mazzetto’, esempi: nu mazzu e vruecculi ‘un mazzo di broccoli’, nu mazzu e carte ‘un mazzo di carte’.

Mazzùelu [s.m.] Specie di bastoncino cavo e di solito in legno, lungo 15/20 cm ove le donne moderne ci infilano il ferro delle calze per non pungersi sotto le ascelle.

Mazzuliàre [v.tr.] Battere vigorosamente, mazzolare.

Mazzunàru 1 [s.m.] Imbroglione, baro, nel gioco a carte persona capace di fare il mazzune. 2 Persona tamarra, grossolana, goffa.

Mazzùne [s.m.] Abilità nel gioco delle carte consistente nel porre le carte più importanti in una specifica posizione del mazzo, così da farle arrivare al proprio compagno o a se stessi.

Mbambolàtu [agg.] Imbambolato, persona con aria attonita o assente.

Mbarzamàre [v.tr.] Imbalsamare, mummificare.

Mbè [cong.] Ebbene, quindi.

Me 1 [pron.pers.] Pronome personale ‘mi’, esempi: me mera? ‘mi dona?’, si me mmera ‘se mi vien voglia’, me fa fame ‘mi fa fame’ (ho fame); come in italiano, si unisce al verbo in posizione enclitica, esempi: rascame a catrea ‘grattami la schiena’, passame u pinciottu ‘passami lo scalpello’; guarda anche mi, mie, minne, mme (1^ acc.), mmi e mmie. 2 [pron.pers.c.] Pronome personale me nella sua forma combinata con il pronome e (le o li) oppure al verbo dovere (lo stesso e) e infine al verbo essere (è), la grafia corretta è quindi m’e, esempi: m’e purtau a cummari Lina me le portò la signora Lina’, m’e mmintu cchjù tardu ‘me li metto più tardi’, m’e dire chin’è statu ‘mi devi dire chi è stato’, m’è fujutu u cane ‘mi è scappato il cane’; guarda anche ma (4^ acc.), mma (1^ acc.), mme (2^ acc.), mmi e mu. 3 [s.f.] Apocope del nome Me(na) a sua volta aferesi di Filumena, forma adoperata quando si chiama la persona da lontano o in chiacchierate tra amiche.

Medicinàle [s.m.] Solvente liquido usato per lavare a secco nelle lavanderie.

Medùdda [s.m.] Midollo, cervello, sinonimo di intelligenza, es.: avire medùdda ‘avere intelligenza’.

Mele [s.m.] Miele, talvolta anche il nettare dei fiori, esempi: c’è vo nu pocu e mele subra a pittanchjusa ‘ci vuole un po’ di miele sulla pittanchjusa, suraca a mmele ‘fagioli (dal colore) del miele, (loc.) ha u mele ara vucca e u velienu aru core ‘ha il miele in bocca e il fiele al cuore’ (proverbio rivolto a chi sa ben camuffare l’odio e la malvagità), (loc.) avia u mele e u ssi l’ha saputu liccare ‘aveva il miele e non se l’ha saputo leccare’ (avevi una cosa bella tra le mani e te la sei lasciata sfuggire, proverbio dedicato a chi non ha saputo trattenere un amore), cchid è u sucamele? ‘cos’è il succhiamiele?’.

Meliàre [v.intr.] Miagolare, il miagolio dei gatti.

Mellìccu [s.m.] Muco, ma si usa solo quando ci si rivolge ad un bambino, es.: (loc.) (mamma) stujate u melliccu (bimbo) u mm’u stuju no ca m’u liccu ‘(mamma) pulisciti il moccio (bimbo) non me lo pulisco no che me lo lecco’; guarda anche mueccu.

Melùne 1 [s.m.] Anguria o cocomero, Citrullus lanatus Thunb., ossia melune ad acqua. 2 Melone retato, Cucumis melo L., ossia melune a pane.

Ménnare [v.tr.] Arrendersi, tenersi, correggersi, riparare ad un danno, variante mennìre, es.: u sse menna ‘non si tiene’ (corregge); molto poco usato il tempo all’infinito.

Mennulìddu [s.m.] Ugola, letteralmente piccola mandorla.

Mente [s.f.] Attenzione, prudenza, memoria, esempi: caccia mente ‘poni attenzione’, tenalu a mmente ‘tienilo in memoria’ (ricordatelo, anche come locuzione ironica), u fazzu a mente ‘lo faccio a memoria’, (loc.) chiddu chi tieni ara mente u ru dire aru dente ‘quello che tieni in mente non dirlo al dente’ (non confidare cose che poi ti possono nuocere); cfr cuscienza.

Menza 1 [agg.] Metà, mezza, esempi: pisaminne a menza ‘pesamene la metà’, na bona menza pignata e suraca ‘una buona mezza pignata di fagioli’. 2 [s.f.] La metà di un tutto, l’una e menza ‘l’una e mezza’, spartala a due menze ‘spartiscila a due metà’.

Menzagùstu [s.m.] Alla lettera ‘metà di agosto’, ossia il 15, che a Mesoraca non corrisponde al ferragosto, quest’ultimo è tradizionalmente festeggiato il 16, usanza in via d’estinzione.

Menzalùna [s.f.] Modello di legno a forma di mezzaluna, di quaranta cm circa, usata per stirare la parte del rinforzo della giacca, un tempo fatta di pilucammello.

Menzalùru [s.m.] Recipiente in legno per la misura della quantità di grano o altri aridi, pari a mezzo tomolo, ovvero a circa 21/25 kg (VT); altre fonti più vicine a noi riportano 33/35 kg (CFA); due menzaluri fanno una tuminata.

Menzamanìcula [s.m.] Alla lettera ‘mezza cazzuola’ ossia muratore di scarso livello, non bravo, poco capace.

Menzanìeddi [s.m.pl.] Pasta di grano duro conosciuta in italiano col nome di maccheroncini lisci.

Menzannòtte [s.f.] Mezzanotte, le ventiquattro, es.: (loc.) cchjù scuru da menzannotte u ppo benire ‘più buio della mezzanotte non può venire’ (peggio di così non può andare, ma piano piano arriverà l’alba, simile al napoletano ha da passà a nuttata).

Menzannùetti [s.m.pl.] Alla lettera ‘mezzenotti’, il termine è impiegato per indicare notte fonda, es.: s’è ricuetu ari menzannuetti ‘si è raccolto alle mezzanotti’ (è rincasato a tarda ora).

Menzànu [s.m.] Medio, che sta a metà, es.: u figghju menzanu ‘il figlio medio’ (secondo figlio di una famiglia che ne ha tre, oppure il terzo di una di cinque e così via).

Menzapugnètta [s.f.] Alla lettera ‘mezzasega’, ossia uomo basso, ma anche uomo che vale poco, inetto.

Menzìettu [s.m.] Largo piatto di portata in porcellana; ancora in uso, viene messo al centro cosicché ogni commensale possa servirsi    da sé; in passato nelle famiglie più povere, tutti i componenti mangiavano nel menziettu stesso.

Menzìna [s.f.] Lato, parte, direzione, metà di un animale macellato, esempi: l’atra menzina ‘l’altro lato’ (o l’altra parte), gira e l’atra menzina ‘gira dall’altra direzione’, na menzina e puercu ‘una metà di maiale’.

Menzìne [s.f.pl.] Grosse assi di legno allo stato grezzo, non ancora rifinite.

Menziùernu [s.m.] Mezzogiorno, le dodici.

Menzugnàru [s.m.] Bugiardo, menzognero, esempi: (loc.) u menzugnaru ha d’avire bona memoria ‘il ballista deve avere buona memoria’, (loc.) chine ppe menzugnaru è saputu, puru quannu dicia a verità ud è cridutu ‘chi per menzognero è saputo pure quando dice la verità non è creduto’; cfr pallista.

Menzùra [s.f.] Mezz’ora, trenta minuti.

Merandèlla [s.m.] Frutto nato da un incrocio tra la pesca Prunus persica L. (& Batsch) e la mela Malus domestica Borkh. Merendella è la variante maggiormente conosciuta nonché il nome proprio, anche perché questo frutto è particolarmente diffuso in Calabria.

Merca [s.f.] Ferita, cicatrice, deturpazione, segno; di rado usata la variante al maschile mìercu.

Mericànu [agg.] Americani statunitensi, es.: (loc.) mericani, jettavanu e bbumme e si nne jianu ‘americani, gettavano le bombe e se ne andavano’ (gli americani erano buoni solo a bombardare, testimonianza della buonanima di Giuseppe Carvelli; guarda anche Fratta).

Merìju [s.m.] Alla lettera ‘meriggio’ ‘mezzogiorno’, termine molto vicino al significato di spurìu (guarda spuriare), significa cazzeggiare meritatamente, talvolta ostentando il meritato riposo, quindi includendo scambiare due parole con gli amici, stare in compagnia, prendere un po’ d’aria fresca; di rado è usato anche il verbo merijàre ‘meriggiare’ derivato di meriju.

Merìre [v.intr.] Confarsi, convenire, calzare, essere adatto, addirsi, variante mérare; il termine è spesso usato quando si indossa un nuovo abito o un nuovo paio di scarpe, es.: me mera? ‘mi sta bene?’ (mi calza bene?); oppure si può riferire anche ad un particolare elemento di un insieme, sia esso appartenente ad un gruppo di oggetti che di persone, es.: s’arvule ccè mera ‘questo albero ci sta bene’.

Metìre [v.tr.] Mietere, falciare il grano o altro cereale, variante métare, esempi: (loc.) jetta a fama e bba a metare ‘divulga la fama e vai a mietere’ (fai sapere di essere bravo in qualcosa anche se poi non è vero), (loc.) e vistu zingari metare? ‘hai (mai) visto zingari mietere?’ (poiché le comunità Romanì sono non stanziali, risulterà difficile vederle nello stesso posto per un anno di seguito, la locuzione è quindi usata per far capire all’interlocutore che una certa cosa sarà difficile o impossibile che accada).

Metitùre [s.m.] Mietitore, falciatore.

Mi [pron.pers.] Pronome personale ‘mi’ o ‘me’, esempi: mi cce vo a quatrara ‘mi ci vuole la fidanzata’, mi nne vaju ‘me ne vado’; guarda anche me e minne.

Mìcciu [agg.] La parola è probabilmente da rapportare al napoletano ‘miccio’ (l’italiano ‘miccia’), ossia di cosa fatta troppo velocemente, il termine è usato solo in un paio di modi dire, esempi: sientu l’adduru du casu micciu ‘sento l’odore del formaggio miccia’ (sento puzza di pericolo, di imbroglio), amu fattu a fine du casu micciu ‘abbiamo fatto la fine del formaggio miccia’ (scomparsi velocemente dalla scena).

Micidàru 1 [s.m.] Persona litigiosa, che semina pesantemente zizzania. 2 Assassino, omicida, anche se è poco usato in tal senso.

Mie [pron.pers.] Forma forte del pronome personale ‘me’ (io), preceduto sempre dalle preposizioni ‘di’ e ‘da’ (guarda e e due) es. e mie t’e fidare ‘di me ti devi fidare’, vieni due mie ‘vieni da me’, senza e mie u cce va ‘senza di me non ci va’, (lap.) chi te via senza e mie ‘che ti possa vedere senza me’; guarda anche mmie e me.

Mìedicu [s.m.] Medico, dottore, esempi: (loc.) quannu u miedicu studìa, u malatu sinne va ‘quando il medio studia il malato se ne va’, (loc.) e fattu a visita du miedicu ‘hai fatto la visita del medico’ (si intercala quando si fa una visita veloce a qualcuno), sugnu jutu du u miedicu ‘sono andato dal dottore’.

Mìegghju [agg. avv.] Meglio, migliore, nel modo più giusto, esempi: (loc.) quannu vena u monacu ara casa a miegghju cosa ch’è, u ra pii a risa ‘quando arriva un monaco a casa la meglio cosa che è, di prenderla a ridere’ (perché potrebbe essere lì per l’estrema unzione), (loc.) miegghju n’amicu ca cientu ducati ‘meglio un amico che cento ducati’, (loc.) miegghju nu ciucciu vivu ca nu mieducu muertu ‘meglio un ciuccio (ignorante) vivo che un medico (sapientone) morto, (loc.) miegghju guai ca nno muerti ‘meglio guai che non morti’, (loc.) chine miegghju liga miegghju sciogghja ‘chi meglio lega meglio scioglie’, u miegghju e tutti ‘il migliore di tutti’, (loc.) a miegghju cosa è chidda c’u sse dicia ‘la migliore cosa è quella che non si dice’ (ogni tanto farsi i fatti propri è la cosa migliore), fallu miegghju ‘fallo nel modo più giusto’ penzace miegghju ‘pensaci meglio’, (loc.) ari picculi vasi stanu e miegghju medicine ‘nei piccoli vasi stanno le migliori medicine’ (variante di ‘nelle botti piccole ci sta il vino buono’), (loc.) e miegghju a miegghju ‘da meglio a meglio’ (intercalare per signifcare di migliorare sempre di più qualcosa, se stessi, una situazione), ce lassi u miegghju ‘ci lasci il meglio’.

Mìennula 1 [s.f.] Mandorla, Prunus dulcis Mill. & Webb, esempi: (loc.) a miennula chi u gghjura a gghjennaru u nne minti intr’u panaru ‘il mandorlo che non fiorisce a gennaio non ne metti nel cestino’ (il mandorlo è tra i primi alberi a fiorire, il suo fiore annuncia il risveglio dopo l’inverno, è quindi un buon segno per gli altri alberi da frutto), miennula du pede ‘mandorla dell’albero’. 2 Confetto, ossia il dolce costituito da una mandorla e dello zucchero cotto; guarda anche cumpiettu; da ricordare anche la miennula a fava (alla quale è stato tolto il tegumento e quindi chiara come una fava senza la buccia interna) e la miennula atturràta (mandorla tostata)

Mìenzu [agg. s.m.] Metà, maschile di menza.

Mìerculi [s.m.] Mercoledì, terzo giorno della settimana, mìercuri la variante.

Mìeritu [s.m.] Merito, valore.

Mìerulu 1 [s.m.] Merlo, Turdus merula L., es.: (loc.) canta mierula ca te passa ‘canta merla che ti passa’ (parla quanto vuoi, ma non la vinci). 2 Gay, omosessuale.

Mìevuza [s.f.] Milza, esempi: me fa male a mievuza e tantu c’aju currutu ‘mi fa male la milza da tanto che ho corso’, a Palermu m’aju manciatu nu paninu ccu ra mievuza ‘a Palermo mi ho mangiato un panino con la milza’.

Migghju [s.m.] Miglio, Panicum miliaceum L.

Migghjùsu [s.m.] Terreno cretoso e poco fertile.

Mii [agg.poss. s.m.] Miei, es.: chiddi sordi su i mii ‘quei soldi sono i miei’, tu minta i tui ca io mintu i mii ‘tu metti i tuoi che io metto i miei.

Milàinu [s.m.] Melo selvatico, Malus sylvestris L.

Milincìte [s.f.] Meningite, variante milincita, es.: (lap.) te viennu u te pia a milincita ‘che ti possa prendere la meningite’; cfr torcicueddu.

Milli [agg.num.card.] Il numero mille.

Milògna [s.f.] L’animale tasso, Meles meles L.; alcuni lo distinguono in milogna canina e milogna purcina, quest’ultima sarebbe anche apprezzata in cucina, secondo altri tale distinzione sarebbe solo una errata convinzione popolare.

Milòrdu [s.m.inv.] Milord, termine usato in senso scherzoso per indicare chi fa sfoggio dei propri averi.

Minàre 1 [v.tr.] Picchiare, menare (le mani), dimenare, esempi: t’ha minatu? ‘ti ha picchiato?’, finisciatila ca te mignu (o minu) ‘smettila che ti meno’, (loc.) chine mina prima, mina ridiennu, chine mina doppu, mina cianciennu ‘chi mena prima, mena ridendo, chi mena dopo, mena piangendo’ (meglio agire per primi in certe dispute), mina a cuda ‘muove la coda’ (intercalare usato quando una ragazza inizia a farsi notare). 2 [v.intr.] Correre, fare veloce, condurre, in particolare un mezzo come l’auto (in passato il carro), termine non molto usato, esempi: e minatu forte ppe arrivare a st’ura ‘hai corso forte per arrivare così presto’, a mini a ruspa? ‘la guidi la ruspa?’.

Minàta [s.f.] Aver dato o preso parecchie sberle, pestata, es.: m’ha fattu na minata u papà! ‘mi ha dato una suonata mio papà!’; cfr sarveregina e liscibbussu.

Minàticu [s.m.] Stipendio, paga, letteralmente il lavoro di un mese di un pastore stipendiato, di solito pagato con un tomolo di grano e una forma di formaggio, vitto e alloggio compresi; cfr furise.

Minatùri [s.m.pl.] Legni che si concentrano lungo gli scogli del fiume portati dalle piene.

Minatùru [s.m.]  Schiacciapatate, del tutto simile ad un frettazzo, lungo circa 30 cm e largo circa 18; si usava appoggiando la patata su un ripiano, tipo il timpagnu, e poi si schiacciava con forza.

Minchja [s.f.] Minchia, pene, esempi: cchi minchja me cunti! ‘che cazzo mi racconti!’, sta minchja! ‘sto cazzo!’, mi s’ammuscia ra minchja quannu te vidu ‘mi si ammoscia la minchia quando ti vedo’ (mi deprimo quando ti vedo, priapismo vissuto bene); cfr cazzu.

Minchjàta [s.f.] Minchiata, fesseria, cosa malfatta.

Minchjùne [agg. s.m.] Minchione, stupido, credulone.

Minestràre 1 [v.tr.] Scodellare, porzionare, servire una vivanda in tavola. 2 Spargere, versare, sulla tavola o sul pavimento oggetti o liquidi che sporcano o creano confusione, talvolta è adoperato anche per indicare un guasto ad una automobile, esempi: e minestratu tuttu nterra ‘hai sparso tutto in terra’, s’è minestrata subra a centessei vicinu aru Steccatu ‘(l’auto) si ruppe sulla SS 106 vicino a Steccato di Cutro’.

Minna [s.f.] Tetta, mammella, da cui minnùni ‘tettoni’, minnùta ‘tettona’ ‘prosperosa’, esempi: m’ha trappatu e minne ‘mi ha palpato le tette’, vo ancora a minna ‘vuole ancora la tetta’ (per sottolineare l’immaturità di una persona).

Minna [pron.pron.c.] Si tratta dei pronomi mi e ne e del verbo avere ha, la giusta grafia è quindi mi nn’ha, es.: mi nn’ha datu cinque ‘me ne ha dato cinque’; guarda anche me.

Minne [pron.pers.c.] Unione dei pronomi mi ‘me’ e nne ‘ne’, la giusta grafia è mi nne, esempi: cchi mmi nne frica ‘che me ne frega’, mi nne sa forte ‘me ne sa forte’ (me ne dispiace tanto); può legarsi anche al verbo essere (è) o dovere (e), esempi: mi nn’è benuta a gulia ‘me n’è venuta la voglia’, minn’e dare ‘me ne devi dare’.

Minnicàre [v.tr.] Mendicare, questuare.

Minnìcu [agg. s.m] Mendicante, accattone, (lap.) te via minnìcu ‘possa vederti mendicante’.

Mintìre 1 [v.tr.] Mettere, aggiungere, apparecchiare, sistemare, collocare, variante mìntare, esempi:  mintace cchjù cimentu ‘mettici più malta’, (loc.) duve cacci e nnu minti si ce fa na fossa ‘dove togli e non metti ci si crea una buca’ (se prelievi al bancomat e poi non rimpingui il conto è ovvio che vai in rosso), (loc.) chine u sse fa i fatti ara casa sua minta u sale ara cucina e l’atri ‘chi non si fa i fatti alla casa propria mette il sale alla cucina degli altri’ (proverbio rivolto a persone pettegole che non si fanno i cazzi propri), (loc.) quannu a tavula è mmisa chine u mancia perda re spise ‘quando la tavola è imbandita chi non mangia perde le spese’ (quando l’invitato non arriva poi dovrà provvedere da sé per mangiare), (loc.) si ad ogne petra minti u pede ud arrivi mmai ‘se ad ogni pietra metti il piede non arrivi mai’ (non serve prendersela per ogni cosa; guarda anche esempio di difennire), (loc.) u vinu minta sangu e a carne minta carne, e l’amiciżża minta corna ‘il vino mette sangue e la carne mette carne, e l’amicizia mette corna’ (anche il miglior amico può tradirti), è misu a tridici ure e nu quartu ‘è messo a tredici ore e un quarto’ (curioso modo di dire usato quando si vuole sottolineare che una certa persona è conciata male per aver bevuto troppo o aver sostenuto un intenso sforzo fisico), (loc.) minta u manicu due vo iddu ‘mette il manico dove vuole lui’ (si mette comodo dove più gli conviene). 2 Impiegare, metterci, es.: quantu cce minti ad arrivare? ‘quanto ci impieghi ad arrivare?’. 3 Indossare, vestire, es.: mintate a giacca ‘indossa la giacca’. 4 L’inizio di un fenomeno atmosferico, es.: s’è misu a chjuvire ‘si è messo a piovere’. 5 Scopare, trombare, es.: l’u mintu ‘(glie)lo metto’ (glielo ficco, la trombo). 6 Maturare, buttare, es.: quannu mintanu i niespuli? ‘quando buttano le nespole?’.

Minùta [agg.] Piccola, piccina, minuta, esempi: carne minuta ‘piccoli pezzetti di carne’ (o carne macellata da animali di piccola taglia)’, st’annu su minute l’olive ‘questo anno sono piccole le olive’.

Minuzzàgghja [s.f.] Minutaglia, minuteria, il termine può essere riferito a qualunque cosa possa essere ridotta in piccoli pezzi.

Minuzzàre [v.tr.] Sminuzzare, tritare, es.: minuzzame u petrusinu ‘tritami il prezzemolo’.

Misa [s.f.] Quantità, peso, p.p. del verbo mintire ‘mettere’: es.: na bona misa ‘una buona messa’ (pesata).

Misàle [s.f.] Tovaglia dove si apparecchia e si mangia, di solito è sopra un tavolo, ma in occasioni di gite in montagna è faile trovarlo steso sull’erba, esempi: para u misale ‘stendi la tovaglia’. u misale paratu, a cucina fatta e nnu le fa fame! ‘la tovaglia messa, la cucina fatta e non gli fa fame!’.

Misàta [s.f.] Paga mensile, pensione, es.: chine t’a passa ra misata? ‘chi ti passa il mensile?’.

Mise 1 [s.m.] Mese, es.: (loc.) u mise c’u c’è ‘il mese che non c’è’ (riferito a quelle persone che rimandano di mese in mese). 2 Ciclo mestruale, es.: ci’aju u mise ‘ci’ho le mestruazioni’. 3 [v.tr.] Participio passato di mintire, es.: duve l’aju mise? ‘dove le ho messe?’.

Misérta [s.f.] Zona della stalla, in genere dietro la mangiatoia, adibita al deposito delle balle di paglia e fieno.

Mìsita [s.f.] Posta, scommessa, es: scommettimu na misita ‘scommettiamo qualcosa’.

Missa [s.f.] Messa, cerimonia religiosa, esempi: (loc.) u ssi nne cantanu misse senza sordi ‘non se ne cantano (celebrano) messe senza soldi’, (loc.) aru giustu stacce e’ra missa vacce ‘al giusto stacci e a messa vacci’ (stai hai patti). Da sottolineare la cosiddetta missa pizzuta, ovvero messa che si officia quando una persona fa un voto; la persona in questione deve andare in giro per il paese a piedi scalzi raccogliendo offerte, come olio, salami, soldi e così via, e poi portarle in chiesa; si dice pizzuta, perchè ogni pizzu (posto) deve essere girato per chiedere qualcosa, anche dai propri nemici.

Mistìeri [s.m.] Mestiere, professione.

Misuràca [s.f.]  Mesoraca nella sua forma non italianizzata, in lingua locale. La fondazione del paese si perde nella notte dei tempi e anche se la mancanza di documenti porta a considerazioni non sempre suffragate da prove convincenti, vi è da sottolineare una sensazione che ogni persona avverte visitando il paese, ovvero la sensazione di trovarsi davanti ad un posto antico, intriso di storia ovunque. Sensazione riscontrabile nel linguaggio, decisamente particolare rispetto a tutto il circondario; nei toponimi, come Giove, Potamo, Manca del Diavolo, Sant’Angelo, Reazio e così via; nei luoghi, come la zona rupestre dei Casalini, i fastosi palazzi dei nobili o gli antichi ruderi di monasteri abbandonati. Gli abitanti sono chiamati misurachisi.

                                                              Mesoraca vista dal quartiere Santa Lucia (1)
Mesoraca vista dal quartiere Santa Lucia (2)
Mesoraca vista dal quartiere Santa Lucia (3)
Mesoraca vista dal quartiere Santa Lucia (4)
Mesoraca vista dal quartiere Santa Lucia (5)

Misurachisi [s.m.pl.] Nome degli abitanti di Mesoraca; misurachise è sia femminile che maschile, ma anche plurale femminile.

Misurìnu 1 [s.m.] Metro per sarti di lunghezza pari a 1,5 metri. 2 Il tappo in plastica di alcuni sciroppi medicinali o di alcuni fustini di detersivo per lavatrice che indicano le quantità.

Miu 1 [agg.poss.] Mio, esempi: u postu miu ‘il posto mio’, u miu è cchjù ranne ‘il mio è più grande’, cca c’è u miu ‘qui c’è il mio’ (qui c’è di mia proprietà). 2 [s.m.] Il ‘mio’, sottinteso il fallo, il proprio pene, accezione di cui si sta perdendo l’uso, es.: u vue u miu? ‘lo vuoi il mio’.

Mìzzica [inter.] Caspita! Accidenti! Minchia!

Mma 1 [pron.pers.] Vedi ma quarta accezione, il raddoppio della emme si ha quando il pronome personale me, combinato con il pronome a (la) o con il verbo avere ha, è preceduto dalla negazione u (non), esempi: u mm’a cunti giusta ‘non me la racconti giusta’, u mm’a scuerdu ‘non me la scordo’, u mm’ha datu nente ‘non mi ha dato niente’; guarda anche me. 2 [cong.s.] Guarda ma seconda accezione, variante mmah.

Mmacànte [agg.] Guarda vacante.

Mmaculàta 1 [s.f.] La piccola chiesa dell’Immacolata, posta poco prima di quella della Nużżiata su una collinetta argillosa a strapiombo sulla rupe (e quartiere) denominata Pipinu; la sua erezione pare risalga alla fine del Seicento. Nella seconda metà del Settecento, per intensificare la devozione e le pratiche di culto, nacque la Congrega dell’Immacolata, i cui confratelli erano tenuti al rigoroso rispetto di numerose regole (FS). 2 Il nome Immacolata.

Mmaledéttu [agg. s.m.] Maledetto, disgraziato, sciagurato, ma anche fastidioso, molesto, cattivo, esempi: u tti cce fare amicu ca è mmaledettu ‘non ti ci fare amico che è bastardo’, si nn’è gghjutu chiddu mmaledettu? ‘se n’è andato quel figlio di puttana?’.

Mmalìre [v.intr.] Valere, avere valore, variante bbalire (alternandosi a valire), a parte l’infinito questa forma è adoperata solo quando è preceduta dalla negazione u (non) ed è probabilmente influenzata dall’avverbio mala, esempi: jettala u mmala nnente ‘gettala non vale nulla’, u mmali ‘non vali’ (non sei buono, sei corrotto dentro), u bbala a pena ‘non vale la pena’, ca cchi d’ha de mmalire sa machina! ‘cosa deve valere questa auto!’.

Mmalùsu [agg.] Guarda malusu.

Mmarattàre [v.tr.] Impegnare, occupare, ingombrare, un tavolo, una stanza e così via, es.: c’è mmarattatu a ssu stigghju ‘c’è ingombrato in questo ripiano’; cfr sparattàre.

Mmaràttu [s.m.] Imbarazzo, impedimento, difficoltà, intralcio, impaccio.

Mmardàre [v.tr.] Bardare, imbrigliare, sellare il cavallo.

Mmarracavùne [s.m.] Letteralmente ‘riempitore di burroni’, ovviamente il termine è da leggere in senso figurato e denota un buono a nulla, uno che lavora male o che non ne ha molta voglia.

Mmarràre [v.tr.] Ostruire, sbarrare, chiudere con una barra, ma anche oscurare, nascondere alla vista attraverso un oggetto o noi stessi, esempi: mmarrate intra ‘barrati dentro’, si cc’è mmarratu davanti ‘si ci è interposto davanti’.

Mmasciàta 1 [s.f.] Commissione, faccenda, esempi: aj’e fare na mmasciata ‘devo fare una commissione’, fammila sta mmasciata ppe piacire ‘fammela questa faccenda per favore’; come tutti i termini generali di questo tipo, talvolta è usato per mascherare quello che ci si accinge a fare o che è sconveniente nominare, esempi: (A) due stai jiennu? (B) fazzu na mmasciata ‘(A) dove stai andando? (B) faccio una commissione’ (sottinteso: non posso/voglio dirti quello che ho da fare), chjuda a vrachetta ca ti se vida a mmasciata ‘chiudi la lampo che ti si vede la zona intima?’. 2 Messaggio, comunicazione, esempi: lil’e ditta a mmasciata? ‘gliel’hai detta l’informazione?’, te porta na mmasciata ‘ti porta un messaggio’, t’ha de dire na masciata ‘ti deve dire una notizia’.

Mmastardìre [v.tr. v.intr.] Diventare bastardo, imbastardirsi, rendere bastardo, da cui mmastarditu ‘imbastardito’.

Mmastàru [s.m.] Bastaio, sellaio.

Mmastu [s.f.] Sella, basto, es.: (lap./loc.) chi te viennu u te fumi a pagghja du mmastu ‘che tu possa fumarti la paglia del basto’ (ti auguro una forte astinenza da tabacco, tale che tu possa fumarti l’imbottitura di paglia del basto).

Mmazàre [v.tr.] Rimboccare, arrotolare, risvoltare.

Mme 1 [pron.pers.] Guarda me prima accezione, la forma con raddoppiamento della emme è usata quando il pronome è preceduto dalla negazione u (non), esempi: u mme stuffare ‘non mi stufare’, u mme ncialare c’u tta dugnu ‘non mi fissare che non te la do’. 2 [pron.pers.c.] È il pronome personale mme (guarda me seconda accezione) nella sua forma combinata con il pronome e (le o li) oppure con il verbo essere è, la forma corretta è mm’e (e mm’è), è sempre preceduto dalla negazione u (non) o dalla congiunzione e, esempi: u mm’e ddu’? ‘non me li dai?, u mm’e mparu e tabelline! ‘non me le imparo le tabelline!’, u mm’è gghjuta a carta ‘non mi è andata (venuta) la carta’, e mm’e tiegnu allora ‘e me le tengo allora’.

Mmè [inter.] Beh, ebbene, dunque; il termine è spesso intercalato per esprimere incredulità o per rafforzare qualcosa che non è andata per il verso giusto, assumendo il senso figurato di ‘merda!’, ‘cazzo!’, ‘boh!’, es.: mmè! E mo chi le cuntu? ‘porca miseria! E adesso cosa gli dico?’, mmè cchi le fa? ‘boh che gli fa?, mmè l’amu pierzu u trenu! ‘cazzo lo abbiamo perso il treno!’.

Mmecchjàre [v.intr.] Invecchiare, avanzare con l’età, a volte l’accento è spostato sulla prima vocale, esempi: ud e mmecchjare puru tu?! ‘non dovrai invecchiare pure tu?’, (lap.) te viennu ppennu mmiecchji ‘possa non vederti invecchiare’, (loc.) m’ha mmecchjatu ‘mi ha invecchiato’ (mi ha stufato, non la finiva più di parlare).

Mmece [avv.] Invece, guarda ammece.

Mmelenàre [v.tr.] Avvelenare, intossicare.

Mmelìenu [s.m.] Veleno, sostanza tossica, sostanza molto amara (accezione usata di rado).

Mmentàre [v.tr. v.intr.pron.] Inventare, ingegnarsi.

Mmenzavìa [avv.] Fuori, all’esterno, letteralmente ‘in mezzo alla via’, è altrettanto corretta la forma mmenz’a via, esempi: jettalu mmenzavia ‘buttalu in strada’, t’ha aspettatu mmenzavia ‘ti ha aspetato in strada’.

Mmeràre [v.intr.] Avere voglia, ‘se mi gira’ ‘se mi viene in mente’, manifestare o presentare una certa istanza, poco usata la variante mmerìre, esempi: si me mmera a gulìa ‘se mi viene la voglia’, si me mmera u viegnu ‘se mi viene in mente di venire’, si t’averra dde mmerare u t’azi, chjamame ‘se ti venisse voglia di alzarti, chiamami’, si me mmeranu i cinque minuti… ‘se mi girano i cinque minuti…’ (se mi arrabbio…).

Mmerda [s.f.] Merda, cacca.

Mmerdùsu [agg.] Merdoso, stronzo, carogna.

Mmernàre [v.intr.] Invernare, venire inverno, svernare, esempi: disprigamune ca cce mmernamu ‘sbrighiamoci che ci sverniamo’ (rischiamo che arrivi l’inverno ovvero ‘stiamo facendo tardi’), è mmernatu ‘è arrivato l’inverno’.

Mmeru [prep.] Verso, intorno, varianti mmìeru e mmerzu, esempi: mmeru e cinque arrivu ‘verso le cinque arrivo’, l’aju vistu jire mmerz’a jumara ‘l’ho visto andare verso (in direzione) il fiume’.

Mmeruccà [l.avv.] Alla lettera ‘verso qua’, da questa parte, parola composta da mmeru e cca, es.: vieni mmeruccà ‘vieni verso qua’.

Mmeruddà [l.avv.] Alla lettera ‘verso là’ da quella parte, parola composta da mmeru e ddà, es.: va’ mmeruddà ‘vai verso là’.

Mmestiliscìre [v.tr. v.intr.pron.] Imbestialire, andare in bestia, incavolarsi di brutto, variante bestialiscìre.

Mmestilisciùtu [agg.] Imbestialito, incazzato oltre misura, variante mmestialìtu o bestilisciùtu.

Mmeżżu [s.m.] Mezzo, termine generico usato per indicare un qualunque autoveicolo.

Mmi [pron.pers.] Pronome personale ‘me’ o ‘mi’ quando preceduto dalla negazione u (non), esempi: u mmi l’ha fatti i capiddi ‘non me li ha fatti (tagliati) i capelli’, u mmi l’e ragati ‘non me li hai portati’ (esempio particolare, il verbo avere andrebbe scritto così “ai” (u mmi l’ai ragati), infatti di rado qualche parlante lo usa, quasi sempre però è preferita la ‘e’ che non è certo la seconda persona singolare del verbo avere e nemmeno una delle sei accezioni a cui afferisce), u mmi ci’ha mmitatu ‘non mi ci ha invitato’; guarda anche me e minne.

Mmiàre [v.intr.] Cadere, franare, smottare, esempi: è mmiatu u stipu ‘è caduto l’armadietto’, s’e mmiata na frana ‘s’è caduta una frana’ (c’è stato uno smottamento).

Mmicherìa [s.f.] Fannullaggine, oziosità.

Mmìdia [s.f.] Invidia, livore, da cui mmidiùsu ‘invidioso’ ‘astioso’, esempi: (loc.) mancia puercu miu ca u nn’aju mmidia e tie (l’asino dice al porco) ‘mangia porco mio che non ho invidia di te’, (poiché sarai ammazzato), (metafora usata per chi fa tante parole e dimostra invidia), parri ppe mmidia ‘parli per invidia’, è nu mmidiusu ‘è uno invidioso’ (bilioso).

Mmidiàre [v.tr.] Invidiare, essere geloso.

Mmie [pron.pers.] Forma forte del pronome personale ‘me’ (io), la prima ‘m’ è di appoggio fonetico, si trova legato esclusivamente con le preposizioni semplici a, con e per, esempi: a mmie u dici? ‘a me lo dici?’, ccu mmie no ‘con me no’, ppe mmie puru ‘per me pure’; guarda anche mie e me.

Mmìenzu [l.avv.] In mezzo, al centro, esempi: si mmienzu ari piedi ‘sei in mezzo ai piedi’, mintalu intr’u mmienzu ‘mettilo dentro il centro’ (mettilo al centro).

Mmiscare 1 [v.tr. v.rifl.] Praticare, frequentare, relazionarsi, sinonimo di juncire, esempi: u tte mmiscare ccu chidda gentaglia ‘non ti mescolare con quella brutta gente’, u ssi cce mmisca cchjù ‘non si ci mischia più’ (non lo frequenta più). 2 [v.tr.] Mescolare, mischiare, ad es.: mmisca e carte e duna ‘mescola le carte e dai’ (la mano). 3 [v.tr. v.intr.pron.] Infettare, contaminare, contrarre, infettarsi, esempi: m’ha mmiscatu a freve ‘mi ha passato la febbre’ (l’influenza), vue du Nord n’aviti mmiscatu u coviddi ‘voi del Nord ci avete trasmesso il covid’.

Mmiscatìna [s.f.] Mescolanza di più cose venuta male, intruglio se si tratta di cibi o bevande, accozzaglia se si tratta di altro; spesso, ad accorgersi della non riuscita della mistura è chi poi la prova o la collauda, e non l’ideatore.

Mmità [s.f.] Metà, la metà di un tutto, es.: amu piatu l’olive a mmità ‘abbiamo preso le olive a metà’ (una forma di enfiteusi).

Mmitàre 1 [v.tr.] Invitare, rendere partecipe, esempi: (loc) a tavula cu ssi mmitatu pue jire u cce manci? ‘a tavola che non sei invitato puoi andare a mangiarci?’, (loc.) caru cumpari stasira te mmitu, porta a carne ca io mintu u spitu, porta u pane c’u miu è gghjurutu, porta u vinu c’u miu è acitu, porta a mugghjerta c’a mia è malata, caru cumpari stasira te mmitu ‘caro compare stasera t’invito, porta la carne che io metto lo spiedo, porta il pane che il mio è ammuffito, porta il vino che il mio è aceto, porta la tua moglie che la mia è malata, caro compare stasera ti invito’. 2 Avvitare, stringere, esempi: mmitacce na vita ‘avvitaci une vite’, l’e mmitatu male ‘lo hai avvitato male’.

Mmitàtu [s.m.] Invitato, commensale. 

Mmitu [s.m.] Invito, convivio, ovvero pasta e ceci da ditribuire al vicinato, esempi: priparu u mmitu ppe domane ‘preparo la pasta e ceci per domani’, m’anu ragatu nu pocu e mmitu ‘mi hanno portato un po’ di pasta e ceci’. Antica tradizione consistente nell’invitare tutto il vicinato a mangiare pasta e ceci il giorno di San Giuseppe, ovviamente per chi ha un Giuseppe in famiglia. In origine erano i nobili e i benestanti ad offrire questo piatto ai poveri del paese. Fino ad un recente passato era prassi votiva esclusivamente femminile, durante la settimana santa, preparare u mmitu du Segnure muertu, consisteva nel cucinare e distribuire a parenti e vicinato pasta condita con sugo di carne; sotto la ricetta del mmitu e San Giuseppe.

Ingredienti: 5 kg di ceci (in ammollo per 12 ore con acqua calda e sale), un litro di salsa di pomodoro concentrato, 5 scatole di pelati, 1 kg di sedano, olio, due cucchiai di peperoncino piccante tritato, pepe nero, qualche foglia di alloro, 5 kg di pasta (ditaloni), aglio, basilico, sale.

Procedura: cuocere i ceci in acqua e poco sale, dopo cotti lasciarli nella grossa pentola (per queste quantità si userà una quadara) ed aggiungere il sedano a dadini e l’alloro, mantenere il fuoco basso. Fare il sugo con il resto degli ingredienti (senza soffriggere niente) e farlo andare per 35 minuti, dopodiché iniziare a cuocere la pasta, che va tolta a metà cottura, quindi scolarla e mescolarla insieme al sugo e ai ceci (nella quadara), cospargere con il peperoncino e – cuncociare – cuocere insieme per altri 5 minuti. Servire molto caldo e a piacere aggiungere altro peperoncino; ottimo accompagnare il tutto con un panicieddu benedittu e un buon bicchiere di vino.

Mmitu in occasione di una festa in piazza a Filippa

Ingredienti: 5 kg di ceci (in ammollo per 12 ore con acqua calda e sale), un litro di salsa di pomodoro concentrato, 5 scatole di pelati, 1 kg di sedano, olio, due cucchiai di peperoncino piccante tritato, pepe nero, qualche foglia di alloro, 5 kg di pasta (ditaloni), aglio, basilico, sale.

Procedura: cuocere i ceci in acqua e poco sale, dopo cotti lasciarli nella grossa pentola (per queste quantità si userà una quadara) ed aggiungere il sedano a dadini e l’alloro, mantenere il fuoco basso. Fare il sugo con il resto degli ingredienti (senza soffriggere niente) e farlo andare per 35 minuti, dopodiché iniziare a cuocere la pasta, che va tolta a metà cottura, quindi scolarla e mescolarla insieme al sugo e ai ceci (nella quadara), cospargere con il peperoncino e – cuncociare – cuocere insieme per altri 5 minuti. Servire molto caldo e a piacere aggiungere altro peperoncino; ottimo accompagnare il tutto con un panicieddu benedittu e un buon bicchiere di vino.

Mmivìenza [s.f.] Da vivo, in vita, es.: fieti mmivienza ‘puzzi da vivo’.

Mmiviscìre [v.intr.] Sopravvivere, resuscitare, rinvenire, da cui mmivisciutu ‘rinvenuto’ ‘sopravvissuto’; guarda anche rimmiviscire.

Mmottìta [s.f.] Trapunta, coperta imbottita.

Mmu [pron.pers.] Guarda mu.

Mmucatàre [v.tr.] Tenere a mollo il bucato, ammorbidirlo.

Mmuccàre 1 [v.tr.] Imboccare, inghiottire, trangugiare, es.: mmuccate na fedda e pruevula ‘mangiati una fetta di provola’. 2 [v.intr.] Abboccare, lasciarsi ingannare, es.: ti l’è mmuccata ‘te la sei imboccata’ (te la sei bevuta, hai abboccato); vedi anche civare.

Mmuddàgghju [s.m.] Tappo, in genere di sughero.

Mmuddàre [v.tr.] Tappare, chiudere, bloccare, sbarrare, esempi: mudda a buttiglia du vinu ‘tappa la bottiglia del vino’, muddate a vucca ‘tappati la bocca’, (loc.) mmuddare l’uecchji ccu ru crivu ‘coprire gli occhi con il setaccio’ (nascondere qualcosa per finta).

Mmùlica [s.f.] Farsa, imbroglio, ma anche imperativo di mmulicare.

Mmulicàre 1 [v.tr.] Avvolgere, arrotolare, ingarbugliare, da cui mmulicàtu ‘contorto’ ‘ingarbugliato’. 2 Fregare, imbrogliare, es.: m’e mmulicatu ‘mi hai imbrogliato’.

Mmulicatìna [s.f.] Circostanza, cosa o situazione pasticciata, ingarbugliata; non molto distante dal concetto di mmulica; cfr mmiscatina.

Mmulichìeri [s.m.] Imbroglione, truffatore, furfante.

Mmurmuràre [v.intr.] Mormorare, criticare, spettegolare; viene altresì adoperata la variante murmuriàre.

Mmustu [s.m.] Mosto, succo d’uva; guarda anche vinicuettu.

Mmuttàre [v.tr.] Spingere, sospingere, spintonare, meno usata la forma ammuttàre, esempi: aiutame a mmuttare a machina ‘aiutami a spingere l’auto’, (loc.) Pietru tira e Maria mmutta ‘Pietro tira e Maria (re)spinge’ (Pietro vorrebbe fare l’amore, Maria non è della stessa opinione), l’ha mmuttatu ed è cadutu ‘lo ha spintonato ed è caduto’.

Mmutu [s.m.] Imbuto, imbottatoio.

Mmutummèla [avv.] Subito, prontamente, varianti mmutummella o mutummella, es: mmutummella ‘veloce veloce’.

Mmuvìna [s.f.] Disordine, confusione, subbuglio, baccano, es.: sta casa e nna mmuvina ‘questa casa è un caos’; viene altresì usata la variante muìna famosa in tutto il meridione (variante ammuìna).

Mmuvunàre [v.tr.] Creare disordine, confusione, movimentare, di rado usata la variante ammuvunàre, es.: e mmuvunatu tuttu u magazienu ‘hai disordinato tutto il magazzino’.

Mo [avv.] Adesso, ora, in questo momento, ma anche (per antìfrasi, per ironia) da tanto (tempo); molto usato momó ‘fare presto’ e moni variante epitetica spesso impiegata quando si deve rispondere in maniera più secca, esempi: mo sugnu arrivatu ‘adesso sono arrivato’, e mo chi si nn’è gghjutu! ‘da mo che se n’è andato!’ (da tanto che se n’è andato, adesso te ne accorgi?), momó ca jiettu a pasta ‘fai presto che butto la pasta’, (A) quannu si arrivatu? (B)  moni ‘(A) quando sei arrivato? (B) adesso’, mo ce vo!? ‘adesso ci vuole!?’ (intercalare di facciata, usato per lo più dalle comari, traducibile approssimativamente con l’italiano del Nord ‘ci mancherebbe altro, neh’); cfr paracatè.

Moccarùsu [agg.] Moccioso, marmocchio;  il termine è talvolta usato anche in senso sminuente, sia in tono scherzoso dagli adulti nei confronti di altri adulti, sia tra ragazzi, nei confronti di altri ragazzi magari più piccoli; in entrambi i casi il senso da attribuire è ‘sei troppo piccolo per questa cosa’, es.: oih moccarusu, vavatinne c’ancora te puzza a vucca e latte ‘oih ragazzino, vattene va’ che ancora ti puzza la bocca di latte’; con tono affettuoso è adoperato anche il diminutivo moccarusìeddu, es.: (loc.) ogni moccarusieddu ara mamma sua le para bieddu ‘ogni mocciosetto a sua mamma gli sembra bello’.

Modda [agg.] Soffice, morbida, leggera, femminile di mueddu.

Moddaccàru 1 [agg.] Molle, floscio, soffice. 2 Tempo meteorologico caratterizzato da umidità e scirocco.

Monachèdda 1 [s.f.] Girino, piccolo della rana.  2 Coccinella, Coccinella septempunctata L.

Monachìeddi [s.m.] Alla lettera ‘piccoli monaci’, ovvero abitini del tutto simili a quelli dei monaci e regalati per voto ai bambini (ad esempio rivolgendosi a Sant’Antonio); a compimento del rito votivo, l’indumento viene bruciato quando la misura non va più bene al bimbo che cresce; rito ormai in via d’estinzione.

Monacìeddi 1 [s.m.] Località presilana del territorio di Mesoraca posta a nord-ovest rispetto al centro abitato. 2 Faville, monachetti, sinonimo di spissule. 3 Il monachello simbolo dello spirito buono che abita le case.

Monavànti [l.avv.] Letteralmente ‘adesso in avanti’, espressione spesso preceduta dalla preposizione e (da), es.: e monavanti fatigu e cchjù ‘d’ora in poi lavorerò di più’.

Morfa [s.f.] Narice e per estensione l’intero naso.

Morga [s.f.] Il fondo residuale lasciato dall’olio.

Morgatìna [s.f.] Termine impiegato per indicare un piatto molto elaborato, ove si sono mescolati molti ingredienti, diciamo pure un guazzabuglio, spesso ricco di olio o grasso, tale da ricordare le impurità scure dell’olio d’oliva, ne sono esempi spezzatini con troppe parti grasse o sughi troppo elaborati, variante rimorgatìna (cfr), es.: t’a manci tu sa morgatina ‘mangiatela tu questa morgatina’.

Mortacìnu [agg. s.m.] Poco vitale, malaticcio, di conseguenza non allegro, sminchiato.

Mortìzzu [s.m.] Tutti i costi di un eventuale funerale, ovvero mettere i soldi da parte in maniera tale da avere degna sepoltura.

Morza [s.m.pl.] Pezzi, brani, porzioni, plurale di muerzu, variante morze, esempi: (lap.) te viennu u te fanu morza morza ‘ti potessero fare pezzi pezzi’, fammilu a due morze (o dui muerzi) ‘fammelo (tagliamelo) a due pezzi’.

Morzarìeddu [s.m.] Pezzettino di qualcosa, tocco, piccolo morso, diminutivo di muerzu.

Mossalùru [agg. s.m.] Persona che fa mosse, che si atteggia, che ostenta, che fa complimenti.

Mosse [s.f.] Atteggiamento o espressione esteriore, eseguito per cosiddetta buona educazione, non di rado manieroso e affettato, quindi falso, ne sono esempio, moine, leziosità, gesticolazioni, smancerie, es.: oih quantu mosse chi fa ‘oh quanti complimenti che fa’.

Mota [s.f.] L’Ape più famosa, quella con tre ruote; autoveicolo molto diffuso dalle nostre parti, non solo per scopi agricoli; due le varianti, moticèdda la ‘Vespa’ più famosa (a volte anche l’Apecar stessa) e motùne ‘moto di grossa cilindrata’.

Moticàre [v.tr.] Muovere, spostare, variante mueticàre, esempi: moticalu, vida s’è bbivu ‘muovilo, senti se è vivo’, moticate de cca ‘spostati da qua’; cfr muvire.

Mozzarèdda [s.f.] Mozzarella, es.: subr’a pizza mi cce piacia cchjù a pruevula c’a mozzaredda ‘sulla pizza mi ci piace più la provola che la mozzarella’.

Mpacce [l.avv.] In faccia, di fronte, variante nfacce; cfr nguacciu.

Mpace [l.avv.] In pace, in silenzio.

Mpacchjàre 1 [v.tr.] Urtare, colpire, indovinare, esempi: e mpacchjatu n’ueminu ccu ra machina ‘hai urtato un uomo con la macchina’, vidimu si ce mpacchji ‘vediamo se ci colpisci’ (indovini). 2 Impiegare, percorrere una certa distanza, es.: quantu cce mpacchji de cca ara Filippa? ‘quanto ci metti da qui a Filippa?’. 3 Imbrattare, molto poco usato; guarda mpacchjatina. 4 Giocarsela, sfida a carte, ossia gara tra due perdenti di una partita a carte a quattro, partita giocata per stabilire chi pagherà tutto, esempi: na mpacchjamu? ‘ce la giochiamo?’, e mpacchjamunila va ‘e giochiamocela va’ (va bene giochiamocela). 5 [v.tr. v.intr.] Unire, attaccare, esempi: mpacchja nu chjuevu aru muru ‘attacca un chiodo al muro’, e ficu mpacchjanu ‘i fichi invischiano’ (come la colla). 6 [v.intr.] Buscare, succedere, esempi: m’è mpacchjata a freve ‘mi sono buscato la febbre’, cchi tte mpacchja? ‘che ti succede?’.

Mpacchjatìna [s.f.] Accozzaglia, confusione, pasticcio, lavoro eseguito confusamente; guarda anche mprascatina.

Mpacchjàtu [s.m.] Toccato, mattoide.

Mpacchjatùra [s.f.] Congiuntura, unione, ossia particolare tecnica dei bastai per congiungere le curve in legno che formano il basto.

Mpàcciu [s.m.] Impaccio, ostacolo.

Mpacciàtu [s.m.] Impacciato, indaffarato.

Mpagghjàre [v.tr.] Impagliare, rivestire di paglia.

Mpagghjàta [s.f.] L’impagliatura dei fiaschi da vino, ma anche participio passato di mpagghjare.

Mpagghjàtu [s.m.] Imbranato, goffo, impagliato.

Mpalàre 1 [v.intr.] Lavorare col badile. 2 [v.tr.] Impalare, piantar pali.

Mpamàre [v.tr.] Rendere infame, calunniare, screditare.

Mpamità [s.f.] Bassezza, infamità, azione disonorevole, indegnità, tradimento, es.: monaci, pecurari e sbirri mpamità e sgarri ‘monaci, pastori e sbirri infamità e sgarri’.

Mpampalàtu [agg.] Stordito, intronato; probabile variante di mbambolatu.

Mpamu [s.m.] Infame, indegno, traditore; whistleblower, es.: u guistlblò è nu mpamu buenu ‘il whistleblower è un infame buono’; quasi tutti orientati gli altri corrispettivi locali semanticamente più vicini a whistleblower, cfr fangaricu, żaraffu, quacquaraquà, carne vinnuta.

Mpanàta [s.f.] Zuppa di siero, ricotta e pane raffermo.

Mpanicàre [v.tr.] Impiegare più tempo del normale nel fare qualcosa, es.: quantu ce mpanicatu? ‘quanto ci hai messo?’. 2 Sbattere, urtare, es.: se mpanicatu a nu muru ccu ra machina ‘è sbattuto contro un muro con la macchina’.

Mpannàtu [agg.] Appannato, velato, superficie coperta da una patina di vapore.

Mpannu [agg.] Non profondo, acque dove si tocca facimente il fondo, può essere riferito sia ad un vuddu che al mare, es.: nata aru mpannu ‘nuota dove non è profondo’ (ove l’acqua è alta quanto un panno).

Mpapinàre [v.intr. v.intr.pron.] Rincoglionire, istupidire, impappinarsi, da cui mpapinatu ‘inebetito’; guarda anche papinu.

Mpapocchjàre [v.intr.] Impasticciare, fare una papocchia, impastocchiare.

Mparàre [v.tr.] Insegnare, istruire, erudire, educare, imparare, esempi: mparame cuemu s’attaccanu i fili ‘insegnami come si attaccano i fili, mparamicce ara jumara ‘insegnami (come arrivare) al fiume’, (loc.) chine anna avanti te mpara a via ‘chi va avanti ti insegna la via’ (chi va col zoppo impara a zoppicare), (loc.) e patìre ppe tte mparare ‘devi patire per imparare’ (da certe esperienze è necessario passare), (loc.) u culu se mpara quannu è sulu, ca quannu è accumpagnatu se trova mparatu ‘il culo si educa quando è solo, che quando è accompagnato si trova educato’ (una persona veramente educata e rispettosa lo dimostra anche quando è da sola, quando poi si troverà in compagnia non farà fatica ad esserlo perché ci sarà abituata).

Mparcatùra [s.f.] Impalcatura, armatura.

Mparinàre [v.tr.] Infarinare, cospargere di farina.

Mparte [l.avv.] Al posto di, invece di, es.: mparte du picu me du a pala ‘al posto del piccone mi dai il badile’; cfr sparte.

Mparu 1 [agg.] Pianeggiante, comodo, agevole, esempi: na via mpara ‘una strada comoda’, c’è mparu ara Marina due nue ‘è pianeggiante alla Marina da noi’ (la nostra campagna), staju mparu ‘sto comodo’, (loc.) paga caru e seda mparu ‘paga caro e siedi comodo’ (generalmente le cose più costose sono anche le più buone); cfr sparu. 2 [s.m.] Piano, piccolo altopiano, infatti il termine è esclusivamente impiegato in accoppiata ad un toponimo e indica luoghi pianeggianti di montagna, esempi: mparu e Muntanu ‘piano di Montano’ (località di montagna a pochi chilometri dal villaggio Fratta), mparu di Napuli ‘pianoro dei Napoli’ (località, castagneto, più a valle di Muntanu). 3 [v.tr.] Presente indicativo di mparare, es.: me mparu ‘mi procuro cognizioni’.

Mpassàre [v.tr.] Fasciare, avvolgere in fasce, da cui mpassatu ‘fasciato’, es.: pari mpassatu (stai così fermo e teso che) ‘sembri fasciato’ (come un neonato); guarda anche fassa e mpassaturu; molto di rado usata la forma mpasciàre. Di norma fasciare un bambino comportava usare tre differenti indumenti, dapprima si stendeva in parte la fascia principale (fassa), secondariamente si sistemava sopra il fasciatoio (mpassaturu) e poi il pannolino vero e proprio (pannizzu); infine, il bambino, al quale erano avvolti i tre strati, secondo modalità differenti.

Mpassatùru [s.m.] Tessuto denominato di piché bianco (esterno cotone e interno flanella) usato per fasciare i neonati.

Mpasturàre [v.tr.] Impastoiare, mettere le pastoie alle bestie, cioè la fune che si lega alle zampe degli animali da pascolo.

Mpasturavàcca [s.m.] Serpente di grosse dimensioni che la tradizione (molto) popolare vuole si attorcigli ai piedi di mucche o capre per succhiarne il latte, Elaphe quatuorlineata de Lac., conosciuto anche col nome di cervone.

Mpatocchjàre [v.tr.] Pasticciare, impiastrare e, in modo figurato, infinocchiare, raggirare; cfr mpapocchjare.

Mpazziscìre [v.intr.] Impazzire, ‘uscire pazzo’, da cui mpazzisciùtu ‘impazzito’ ‘scompensato’ ‘fuori di testa’ ‘in escandescenze’.

Mpede [avv.] Daccapo, di nuovo, esempi: torna e t’e mintire mpede ‘di nuovo ti devi mettere daccapo’ (ripeti di nuovo dall’inizio), (loc.) mintate mpede ca è terra de linu ‘ricomincia di nuovo che è terra di lino’ (proverbio che si usa quando una certa azione deve essere ripetuta per la buona riuscita del progetto; il proverbio fa riferimento al fatto che la terra per la coltivazione del lino va arata di fino, quindi zappata più volte).

Mpena [cong.] Appena, non appena, es.: mpena finisciu arrivu ‘appena finisco arrivo’.

Mpennìre [v.tr.] Appendere, agganciare, affiggere, talvolta usata la variante mpénnare.

Mpernàre 1 [v.tr.] Librare, sollevare, ruotare intorno ad un asse, esempi: ha fattu mpernare u motorinu ccu na rota ‘ha fatto alzare (ha guidato) il motorino con una ruota’. 2 Eccitare, eccitazione sessuale maschile, es.: mi l’ha fattu mpernare ‘me lo ha fatto alzare’; cfr arrittàre.

Mperrettàti [s.m.] Tipo di pasta fresca simile ad un fusillo molto allungato (inferrettati), preparata aiutandosi con un ferro da calza o il rametto della pianta capituesti.                                                                 Mperrettati (preparazione)

                                                                Mperrettati

Mpesàre [v.intr.pron.] Avviarsi, partire, mettersi in viaggio, esempi: mpesate priestu ca c’è trafficu ‘avviati presto che c’è traffico’, me mpiesu mo ‘parto adesso’.

Mpestàre [v.tr.] Appestare, ammorbare un ambiente con un odore sgradevole, anche con un piritu o dei vruecculi affucati.

Mpetràre [v.intr.] Impietrire, atterrirsi, rimanere sgomenti, da cui mpetratu ‘gelato’ ‘allibito’ ‘perso nei pensieri’.

Mpetràta [s.f.] Selciato, strada sterrata, ma anche p.p. di mpetrare.

Mpettàre [v.tr. v.intr.pron.] Infettare, veicolare un’infezione, infettarsi, es.: tutta a famigghja s’è mpettata e coviddi, va a finire ca me mpiettu puru io ‘tutta la famiglia si è infettata di covid, va a finire che mi infetto pure io’.

Mpiàmmu [s.m.] Infiammazione, infiammo, esempi: u me fa mpiammu si sugnu statu iu! ‘che mi possa far male (infiammare) se sono stato io!’, (lap.) chi te via u te fa mpiammu ‘che ti possa fare male’.

Mpicatàtu 1 [agg.] Sporco, sudicio, es.: c’ha e manu mpicatate de ficu ‘ha le mani impiastricciate dai fichi’. 2 Molto maturo, marcio.

Mpìccia 1 [s.f.] Ostacolo, seccatura. 2 Capriccio, piagnisteo, specie quello dei bambini.

Mpicciàre [v.tr. v.rifl.] Intromettersi, impicciarsi, es.: (loc.) u tte mpicciare, u tte ntricare, u ffare bene c’u ricivi male ‘non ti impicciare, non intrometterti, non fare bene che non ricevi male’ (sostanzialmente fatti i cazzi tuoi).

Mpicciu [s.m.] Impiccio, noia, guarda anche mpiccia.

Mpicciùsu [agg.] Capriccioso, fastidioso, che si intromette.

Mpiciàre [v.tr.] Cospargere di pece, impeciare.

Mpiculàre [v.intr.pron.dif.] Appiccicare, sentirsi appiccicare, anche riferito ad una sostanza che appiccica, da cui mpiculusa ‘appiccicosa’ ‘viscosa’, es.: aju e manu tutte mpiculate ‘ho le mani tutte appiccicose’.

Mpiculatu [agg.] Nel gergo giovanile significa persona con la bocca patinosa (impastata) per aver fumato della cocaina.

Mpicunàre 1 [v.tr. v.intr.] Assestare un ragguardevole colpo con un attrezzo, di solito col piccone, es.: l’aju mpicunatu na botta ‘gli ho assestato una botta’; cfr picu. 2 [v.intr.pron.] Essere oppure divenire duro come un piccone e figurativamente fissarsi. 3 [v.tr.] Trombare, scopare in maniera selvaggia.

Mpiddàre [v.intr.] Rimanere affossati nella melma, impantanarsi, usato anche in senso figurato per indicare ritardo, es.: c’è si mpiddatu? ‘ci sei rimasto?’.

Mpìegu [s.m.] Impiego, lavoro.

Mpìernu 1 [s.m.] Inferno, geenna, es.: si juri favuzu vai aru mpiernu ‘se giuri falso vai all’inferno’. 2 [agg.] In bilico, in equilibrio non troppo stabile.

Mpigna 1 [s.f.] Obbligo, impegno, variante mpignu, es.: ta pii sa mpigna? ‘ti prendi questo obbligo?’. 2 Faccia, ovvero la persona con la sua credibilità, es.: guardame intr’a mpigna ‘guardami in faccia’. 3 Tomaia, cuoio non lavorato.

Mpignàre [v.tr.] Impegnare, insistere, intestardirsi, es.: uh mpignare, ca tantu u tti cce juecu ‘non insistere che tanto non ti rendo partecipe al gioco’.

Mpignùsu [agg.] Scocciatore, persona che insiste tanto, seccatore.

Mpilàre 1 [v.tr.] Infilare, introdurre, infilzare, esempi: mpilame l’acu c’u cce vidu ‘infilami l’ago che non ci vedo bene’, mpilate na fedda e carne ‘prenditi (infilza) una fetta di carne’. 2 Appendere, agganciare, inchiodare, es.: mpilame su quatru ‘appendimi questo quadro’. 3 [v.intr.] Scopare, fare all’amore, praticamente sinonimo di ficcare.

Mpilatùru [s.m.] Oggetto, più o meno elaborato e più o meno grande, utile ad aggevolare l’ingresso di qualcosa dentro qualcos’altro.

Mpilijinàre [v.intr.] Avvolgersi, sporcarsi con le ragnatele, da cui mpilijinàtu ‘avvolto nelle ragnatele’.

Mpillettàtu [agg.] Imbellettato, curato, elegante.

Mpillònicu [agg.] Persona che si atteggia come una persona agiata, ma che invece non lo è, es.: aju capitu, si nnu riccu mpillonicu ‘ho capito, sei un falso ricco’.

Mpiluccàre [v.tr. v.rifl.] Ubriacare, sbronzarsi, prendersi una pilucca.

Mpincìre [v.tr.] Affiggere qualcosa con della colla, in generale attaccare due superfici, di rado viene usata la variante mpìnciare; il termine è usato anche in senso figurato per sottolineare un ritardo o denotare collera, esempi: cce si mpinciutu! ‘(ti) ci sei (rimasto) attaccato!’ (hai tardato tanto!), te mpinciu aru muru ‘ti attacco al muro!’; guarda anche mpittu.

Mpinciulùsu 1 [agg.] Appiccicoso, attaccaticcio. 2 [s.m.] Ritardatario, persona che cincischia, es.: u cce su cazzi, si nnu mpinciulusu e prima categoria ‘non ci sono cazzi, sei un perditempo di prim’ordine’.

Mpinnacchjàre [v.intr.pron.] Vestirsi elegantemente, alla lettera dotarsi di un pennacchio.

Mpinnàre [v.intr.] Mettere le penne, es.: ce su tre aggedduzzi, ma u ssu mancu mpinnati ‘ci sono tre uccellini, ma non sono ancora impennati’.

Mpipitàre [v.tr. v.rifl.] Ubriacarsi, prendersi una sbronza.

Mpistàre [v.intr.pron.] Intopparsi, avere difficoltà a digerire e quindi a defecare, in particolare dopo aver mangiato molti fichi d’India, es.: su manciare mpista ‘questo cibo ingolfa’ (è indigesto, non fa andare di corpo); guarda anche nchjummare.

Mpistunàre 1 [v.intr.pron.] Letteralmente ‘impistonare’, ossia teso e duro come un pistone, ovvero ‘imbellettato’. 2 Ebbrezza di natura erotica, talvolta originata dal solo pensiero, che provoca eccitazione genitale maschile; cfr   arrittare.

Mpistunàtu 1 [agg.] Eccitato sessualmente, in erezione. 2 Imbellettato, tirato.

Mpittu [agg.] Participio passato del verbo mpincire, variante di mpinciutu, es.: (lap) chi cce vorre restare mpittu ‘(possa) tu volerci rimanere attaccato’ (possa tu morire all’istante, stecchito).

Mpizzalìti [s.m.] Seminatore di zizzania, colui che ‘accende liti’, piantagrane, es.: si nnu mpizzaliti e mmerda ‘sei un attaccabrighe di merda’.

Mpizzàre 1 [v.tr.] Appiccare, accendere un fuoco, provocare un incendio, esempi: se mpizzatu u fucune ‘hanno preso fuoco le canne fumarie’, ara muntagna sa de fare attenzione ppe nnu mpizzare fuecu ‘in montagna bisogna stare attenti a non provocare un incendio’, (loc.) mpizzare fuecu all’acquaru ‘appiccare il fuoco all’acquedotto’ (proverbio che s’intercala quando si vuol sottolineare un’azione o un lavoro inutile). 2 Aizzare, sobillare, istigare; cfr mpizzalìti.

Mpizzìngulu [agg.] Stare sul bordo di qualcosa, di solito riferito ad una sedia, cercando di occupare il meno possibile lo spazio a disposizione, un angolino.

Mpizzu [l.avv.] Sull’orlo, sul bordo di una rupe, di un ostacolo, di una sedia e così via.

Mpollòsu [agg.] Ampolloso, affettato, arrogante.

Mporma [avv.] Appena, nel mentre che, es.: mporma arriva chjamame ‘appena arriva chiamami’; aferesi di cumporma.

Mposimàtu [agg.] Imbalsamato, limitato, inamidato, indica una persona non scaltra nei movimenti.

Mpovarìre [v.tr. v.intr.pron.] Impoverire, immiserire.

Mpracidìscire [v.dif.] Infracidire, marcire.

Mpragànte [agg.] Essere occupati o impiegati in una faccenda, nello stesso momento in cui ci viene chiesto di farne un’altra, o di porci semplicemente attenzione, in termini giuridici “in flagrante”, esempi: sugnu mpragante ‘sono occupato’ (sto facendo un’altra cosa), sugnu mpragante ccu ru miedicu ‘sono impegnato col medico’; anche un oggetto può essere mpragatu, es.: u furnu e mpragante ccu ru pane ‘il forno è occupato col pane; inusuale l’uso del verbo all’infinito.

Mprascàre 1 [v.tr.] Sporcare, imbrattare, inzaccherare, esempi: e mprascatu u muru e cafè ‘hai sporcato (macchiato) il muro di caffè’, te si mprascatu ccu na mmerda ‘ti sei sporcato con una merda’. 2 Picchiare, pestare, malmenare, esempi: l’ha mprascatu na mappina ‘gli ha mollato uno schiaffone’, mprascalu! ‘menalo!’; cfr azziccare. 3 Appioppare, affibbiare, termine impiegato prevalentemente in senso sportivo, es.: li nn’ha mprascatu quattru ara Juve e quattru aru Milan ‘gliene ha assestato quattro (pappine) alla Juve e quattro al Milan’.

Mprascatìna [s.f.] Termine generico usato per indicare che un certo lavoro, specie di pittura/imbiancatura, è stato eseguito in maniera confusa o tecnicamente da cani, quindi da rifare, es.: e fattu na mprascatina ccu chiddi culuri ‘hai fatto una cagata con quei colori’; la stessa parola viene impiegata per indicare un’accozzaglia di cose mischiate disordinatamente.

Mprattàre [v.tr.] Imbrattare, sozzare.

Mprazza [l.avv.] In braccio, variante mprazzu.

Mprenàre [v.tr.] Ingravidare, mettere incinta.

Mpressa [l.avv.] Di fretta, velocemente.

Mpretta [l.avv] Sinonimo di mpressa.

Mpriacàre [v.tr. v.rifl.] Ubriacare, sbronzarsi, es.: stasira n’ame mpriacare ‘questa sera dobbiamo ubriacarci’; cfr ntrigghjare, mpiluccare, ntustare, tringare, mpipitare.

Mpriacàta [s.f.] Sbornia, sbronza; guarda anche pilucca.

Mpriàcu [agg.] Ubriaco, stordito dall’alcol, es.: d’estate quannu mi nne viegnu tutti i juerni mpriacu sugnu ‘d’estate quando me ne vengo tutti i giorni ubriaco sono’.

Mpriacùne [s.m.] Ubriacone, beone, esempi: …i mpriacuni du Tirune diciamilu chi ne su’… ‘…gli ubriaconi del (rione) Tirone dimmeli chi sono… (strofa di una canzone popolare), u mpriacune è sempre Piritedda ‘l’ubriacone è sempre Piritedda’ (intercalare usato quando qualcuno ci fa notare che stiamo bevendo tanto, addosandoci un ruolo che invece è ricoperto da molte persone, interlocutore compreso; Piritedda è probabilmente un nome fittizio o il soprannome di qualcuno, noto appunto per essere un ubriacone).

Mprìestu [s.m. v.tr.] Prestito, prestanza, ma anche indicativo presente prima persona singolare del verbo mprestàre.

Mprigamìentu [s.m.] Litigio, alterco.

Mprigàre [v.intr.] Litigare, rissare, es.: (loc.) quannu se mpriganu i mulinari guardate a farina ‘quando si litigano i mugnai stai attento alla farina’ (poiché il litigio potrebbe essere un pretesto per fottere farina in più).

Mprigùezzulu [s.m.] Persona attaccabrighe, litigiosa, che cerca il pretesto.

Mprilliccàtu [agg.] Adornato di monili e altri oggetti preziosi, ma anche vestito elegante, abbellito, variante mprilloccàtu; poco usata la forma all’infinito mprilliccare o mprilloccare.

Mprilloccàre [v.intr.] Luccicare, risplendere.

Mprillòccu [s.m.] Gioiello, gemma, prezioso.

Mprima [l.avv.] All’inizio, per prima cosa, innanzitutto, es.: mprima u cci’aju fattu casu ‘all’inizio non ci ho fatto caso’, mprima fatighi, pue te mpriachi ‘per prima cosa lavori, poi ti ubriachi’.

Mprischi-mpraschi [s.m.] Meno comune la forma mprisca-mprasca, persona che esegue un lavoro con superficialità o fretta, abborraccione, es.: oi mprischi-mpraschi cu ssi atru ‘oh perditempo che non sei altro’.

Mprogghje [s.f.pl.] Plurale di mpruegghju, falsificazioni, manipolazioni, manovre, truffe, variante mprogghja.

Mprudìettu 1 [agg.] Mettere in evidenza, alla mercé di tutti, anche nell’estensione di ostentare un vestito o un paio di scarpe, es.: mintire a torta mprudiettu ‘mettere la torta in bella vista’ (in maniera che tutti possono servirsi). 2 Nel mentre che si sta facendo qualcosa, indaffarati, es.: me truvatu mprudiettu ‘mi hai trovato mentre stavo facendo altro’ (ad es. lavare i piatti); guarda anche mpragante.

Mpruecculàre [v.tr.] Abbindolare, raggirare, es.: te fattu mpruecculare ‘ti sei fatto imbrogliare’.

Mprùegghju [s.m.] Imbroglio, raggiro.

Mpruènza [s.f.] Influenza, variante mpruvénza.

Mprugghjùne [s.m.] Imbroglione, impostore.

Mprunta 1 [l.avv.] Di fronte, davanti a sé. 2 [s.m.] Impronta, calco.

Mprusàgghja [s.f.] Riferito a cosa confusa, ingarbugliata, imbrogliata.

Mprusàre 1 [v.tr.] Avere fortuna, avere buona sorte. 2 Possedere, sodomizzare, poco usato. 3 Truffare, abbindolare, poco usato.

Mpruscinàre [v.tr. v.intr.pron.] Sporcare di polvere, rotolarsi per terra, impolverarsi, esempi: mprusciunia u żainu, ca ti nn’aspetta n’atru! ‘strascica a terra lo zaino, che te ne aspetta un altro!’ due te si mpruscinatu? ‘dove ti sei impolverato?’ (sporcato), pasta ara mpruscinata ‘pasta alla strascicata’ (con poco sugo); guarda anche mprusciuniare.

Mprusciuniàre [v.tr.] Rotolare o impolverare un oggetto, come ad esempio un vestito; forma attenuata di mpruscinare.

Mprustàre [v.tr.] Imprestare, dare in prestito.

Mpucàre [v.intr.pron.] Accaldare, scaldare, da cui mpucàtu ‘riscaldato’ ‘scaldato’.

Mpucìre [v.tr.] Spingere, pigiare, ficcare dentro, pressare, schiacciare (digitare), esempi: cchi tte mpuci! ‘cosa ti spingi!’, mpuciacce nu jiritu ‘ficcaci (pressaci) un dito’, quali bbuttuni aje mpucire ppe fare a chjocciola? ‘quali tasti devo schiacciare (digitare) per la chiocciolina?’.

Mpudda [s.f.] Vescica della pelle, bolla, in genere dovuta a una scottatura.

Mpugàre [v.tr.] Incoraggiare, indurre (un po’ furbescamente) qualcuno a fare qualcosa, incitare provocatoriamente una risposta, es.: vida ppe nnu te mpuganu ‘vedi di non farti provocare’.

Mpunìre [v.tr.] Aiutare qualcuno a sollevare e sistemarsi addosso un carico; di solito il termine è usato dalle donne che devono portare qualcosa sulla testa, es.: ajutame a me mpunire u cistune ‘aiutami a sistemare (sulla testa) il cestone’; guarda anche spunìre, strampunire e curuna. La pratica, femminile, di portare delle ceste sulla testa è molto antica, già in uso nell’Antico Egitto durante la VI dinastia, circa 2300 anni prima di Cristo.

                                                     Donne dell’antico Egitto mpunute

Mpunnàre [v.tr.] Portare a fondo, affondare, sommergere.

Mpuppa [l.avv.] In poppa, a favore.

Mpurcàre [v.tr.] Inforcare, infilzare.

Mpuriàtu [agg.] Infuriato, incollerito.

Mpurmàre [v.tr. v.intr.pron.] Informare, istruire, es.: mpurmate quannu parta l’aereu ‘informati (chiedi informazioni) quando parte l’aereo’.

Mpurnàre [v.tr.] Infornare, cuocere in forno, da cui mpurnàta ‘infornata’, ossia la quantità di prodotto che il forno riesce a contenere al suo interno; guarda anche fatta.

Mpurra [s.f.] Fodera, la stoffa che riveste le parti interne di giacche, pantaloni o gonne, es.: (loc.) u lle va mancu are mpurre ‘non gli va nemmeno alle fodere’ (non ne è all’altezza, non è in grado; in questo proverbio è sottintesa la fodera che riveste la cinta dei pantaloni).

Mpurveràre [v.tr.] Impolverare, sporcare, da cui mpurveratu ‘impolverato, sporco di polvere’; guarda anche mpruscinare.

Mpurzàre [v.tr.] Rinforzare, rafforzare, consolidare.

Mputàre [v.tr.] Imputare, accusare, es.: avogghja u te mputanu, sempre chiddu si ‘a voglia a che ti imputino, sempre quello rimani’.

Mputtaniscìre [v.tr.] Verbo ormai usato solo nell’accezione metaforica: imputtanire, corrompere, rendere commerciale ciò che prima era di qualità; guarda anche puttaniare.

Mputtunàre [v.tr.] Abbottonare, chiudere con bottoni; diversamente dall’italiano, l’accezione metaforica descrive una persona un po’ taccagna e non una persona che si chiude in un saggio silenzio, es.: s’è mputtunatu ‘si è abbottonato’ (quindi non scuce).

Mpuzu [l.avv.] Con i polsi, a braccio.

Mu [pron.pers.c.] Pronome personale me (me) combinato con il pronome u (lo), esempi: m’u tieni u pallone? ‘me lo tieni il pallone?’, m’u dici domane ‘me lo dici domani’; quando preceduto dalla negazione u (non) assume la forma eufonica mm’u, es.: u mm’u manciu mo ‘non me lo mangio adesso’; guarda anche ma e me.

Mucàre [v.tr.] Marcire, ammuffire, il guastarsi di frutta o verdura, da cui mucatu ‘marcio’, esempi: stai faciennu mucare i pumi ‘stai facendo andare a male le mele’, nu dente mucatu ‘un dente marcio’; cfr jurire.

Mucidu [agg. s.m.] Persona moscia, flaccida, lenta nei movimenti.

Muddìca [s.f.] Mollica, briciola, da cui muddicùsu ‘mollicoso’ ‘con tanta mollica, esempi: a muddica du pane ‘la mollica del pane’, na muddica e pane ‘una briciola di pane’.

Mùeccu [s.m.] Muco, moccio, es.: (loc.) i ricchi u mueccu su stipanu e i povari u jettanu ‘i ricchi il muco se lo conservano e i poveri lo buttano’ (il ricco si può permettere un fazzoletto mentre il povero lo fa con le mani); guarda anche melliccu.

Mùeddu [agg.] Molle, soffice, es.: (loc.) via mpara e pane mueddu ‘via piana e pane soffice’ (meglio una cosa comoda e sicura che un’altra sconosciuta e insicura, come un lavoro, decidere chi sposare, una scelta tra due strade); guarda anche modda.

Mùedulu [s.m.] Modulo, ovvero modello di curva di basto impiegato dai sellai per prendere le misure agli animali.

Mùertu [agg. s.m.] Morto, funerale, estinto, esempi: cchjù tardu passa u muertu ‘più tardi passa il morto’, vaju aru muertu ‘vado al funerale’, u pterodattilu è muertu ‘lo pterodattilo è estinto’, (loc.) muertu u cane, morta a rabbia ‘morto il cane, morta la rabbia’ (tolta la causa, vengono meno gli effetti), (loc.) mercante e puercu se vida quannu e muertu ‘mercante e porco si vede quando è morto’ (la ricchezza del mercante si vede solo quando è a miglior vita, così come il sapore del maiale si vede quando è insaccato), (loc.) ccu nu muertu de fame me mmiscai, ccu n’atru chi cercava pane a mmie ‘con un morto di fame mi frequentai, con un altro che cercava pane a me’ (quando cerchi qualcuno che possa darti una mano e invece la persona trovata è più malmessa di noi stessi), (lap.) chi te via muertu ammazzatu ‘che possa vederti morto ammazzato’.

Mùerzu [s.m.] Pezzo, frammento, brandello, anche quantità pari ad un morso, esempi: fattinne nu muerzu ‘fattene un pezzo’, nu mùerzu e casu ‘un pezzo di cacio’, (lap.) chi te viennu u te fanu morza morza e ogne muerzu u ru po na gaddina ‘che ti possano fare pezzetti pezzetti e ogni pezzetto (tanto piccolo) da poter essere portato da una gallina’; guarda anche morza.

Mugghjère [s.f.] Moglie, sposa, da cui mugghjérma ‘mia moglie’ e mugghjérta ‘tua moglie’, esempi: mi cce vo na mugghjere ‘mi ci vuole una moglie’, (loc.) si te pii na mugghjere bedda ti nne guedi na fedda, si ta pii brutta ta guedi tutta ‘se ti prendi una moglie bella te ne godi una fetta, se te la prendi brutta te la godi tutta’, (loc.) chin’avetta facce avetta mugghjere, e chine no perza ra sua ‘chi ebbe faccia (buona presenza) ebbe moglie (si sposò), e chi no perse la sua (faccia)’, (loc.) a mugghiere e l’atri è sempre cchjù bedda ‘la moglie degli altri è sempre più bella’ (l’erba del vicino è sempre più verde), (loc.) si u mpriestu forra buenu ognunu mpresterra a mugghjere ‘se il prestito fosse buono ognuno presterebbe la moglie’, (loc.) è miegghju na mugghjere cucchjaredda nno n’amante imperatrice ‘è meglio una moglie cucchiaino e non una amante imperatrice’ (dalla mogliettina non avrai mai grattacapi, da una amante esigente si).

Mugghju 1 [s.m.] Grosso gomitolo che si forma dopo l’orditura. 2 [agg.] Flaccido, fiacco, languido.

Muìna [s.f.] Guarda mmuvina. 

Mulattèra [s.f.] Mulattiera, strada percorribile con il mulo.

Mulinàru [s.m.] Mugnaio, mulinaro.

Mullettòne [s.m. agg.] Flanella, tessuto per fare lenzuola invernali, camice, mutande, cuscini, es.: lenzula a mullettone ‘lenzuola a mollettone’ (di flanella).

Mulu [s.m.] Mulo, Equus caballus x asinus.

Mùmmiu [s.m.] Persona inoperosa, abulica e indolente.

Muncìre [v.tr.] Mungere, spremere; il termine è usato sia per indicare l’atto del mungere un animale da latte, che per spremere un’agrume, esempi: va muncia e crape ‘vai a mungere le capre’, munciame due limuni ‘spremimi due limoni’.

Munimèntu [s.m.] Monumento, monumento ai caduti, plurale munimienti.

Munnàre [v.tr.] Mondare, sbucciare, pelare, sbaccellare.

Munnizzàru [s.m.] Immondezzaio, discarica, in passato, ma anche oggi, concetto molto flessibile, es.: ara Piducchjusa c’era nu munnizzaru, e ancora c’è! ‘alla Piducchjusa c’era una discarica, e ancora c’è!’.

Munnìzze [s.f.pl.] Immondizia, spazzatura, esempi: jetta e munnizze ‘getta le monnezze’ (il pattume), u cugghjire funci duve ce su munnizze ‘non raccogliere funghi dove ci sono monnezze’; il termine è impiegato quasi esclusivamente al plurale, mentre al singolare indica un generico piccolo oggetto, di qualsiasi materiale, classificato come rifiuto (granello di polvere, pagliuzza, pezzettino di carta, pezzetto di legno, un moscerino e così via), es.: cci’aju na munnizza intra l’uecchju ‘ho un bruscolo nell’occhio’.

Munnu [s.m.] Mondo, pianeta Terra, esempi: (loc.) aru munnu ce vo furtuna e all’uertu ce vo litame ‘al mondo (nella vita) ci vuole fortuna e all’orto ci vuole letame’, me gira u munnu ‘mi gira il mondo’ (il mesorachese, essendo ego-tolemaico-relativista, si pone al centro, infatti in italiano – sbagliando – si dice ‘mi gira la testa’, in mesorachese ‘mi gira il mondo’, il senso di nausea è però lo stesso), (loc.) tre intru u munnu su ri putienti: u Papa, u Rrè e chine u tena nente ‘tre nel mondo sono i potenti: il Papa, il Re e Chi non ha niente’, (loc.) morte chi te piasti li mia amuri, aru munnu u cce su cchjù cristiani ‘morte che ti prendesti il mio amore, al mondo non ci sono più persone’, (loc.) chine dicia donna dicia dannu, ruvina dell’uomo peste de lu munnu ‘chi dice donna dice danno, rovina dell’uomo peste del mondo’, nn’ha munnu! ‘ne ha mondo!’ (ha molta esperienza e furbizia).

Muntànu [s.m.] Località di montagna a pochi chilometri dal villaggio Fratta, ricca di pini, abeti, cerri e lecci; guarda anche mparu.

Fontana di Muntanu

Munte 1 [s.m.] Monte, montagna. 2 Mucchio, catasta.

Muntùne [s.m.] Montone, Ovis aries L.

Munzìeddu [s.m.] Cumulo, mucchio di qualcosa.

Mura 1 [s.f.inv.] Mora, il frutto del gelso o del rovo, invariante anche al plurale, es.: te piacianu cchjù e mura e cievuzu o e mura e ruvetta? ‘ti piacciono di più le more di gelso o di rovo’. 2 [s.f.] Plurale di muro, mura, pareti.

Muràgghju [s.m.] Muro in pietra tipico delle campagne, ovviamente a secco, anche se ultimamente si usa colarci dentro del cemento per renderlo più solido, sicuramente è più robusto ma perde in fascino, es.: (loc.) ogne muragghju vo a savurra sua ‘ogni muro in pietra vuole le sue pietre’ (ogni progetto ha bisogno dei suoi componenti per essere realizzato); guarda anche scilarmacu e savurra.

Murfùsu [agg. s.m.] Persona che articola poco bene le parole, che parla in parte col naso.

Murinédda [s.f.] Mattarello dentato per fare le tagliatelle fatte in casa; a Mesoraca le tagliatelle fatte con la murinedda non hanno la sfoglia ultrasottile, bensì la consistenza di grossi bigoli.

Murmuriàre [v.intr.] Guarda mmurmurare.

Murra 1 [s.f.] Molti individui, miriade, branco, es.: c’è na murra e perzune duv’u miedicu! ‘c’è un mucchio di persone dal medico!’. 2 [s.m.] Gioco di antiche origini, ma attualmente vietato perché considerato d’azzardo, in cui due persone abbassano nello stesso momento il pugno destro variando velocemente uno o più dita, oppure nessuno; scopo del gioco è quello di prevedere la somma totale dei due pugni dicendolo ad alta voce, vince chi arriva per primo ad un punteggio prestabilito.

Murròidi [s.f.] Emorroidi, dilatazioni varicose delle vene del retto e dell’ano.

Murrùne [s.m.] Ramo di un albero, specie di quelli rimasti dopo una potatura, es.: a chiddu ficu l’anu lassatu nu murrune sulu ‘a quel fico gli hanno lasciato solo un ramo’; alcuni parlanti indicano col termine anche un generico pezzo di legno.

Murtàle [s.m.] Mortaio, recipiente, anche in metallo, dove mediante il pestello si tritano sostanze di varia natura, soprattutto pietre di sale; guarda anche suzieri.

Murtidda [s.m.] Mirto, Myrtus communis L.

Muru [s.m.] Muro, parete.

Murzìeddu 1 [s.m.] Il brunch dei contadini, la colazione di mezza mattina di chi lavora in campagna. 2 Spezzatino piccante di interiora di vitello, originario di Catanzaro e servito dentro un pezzo di gucceddatu, ne deriva murzeddàru ‘venditore di murzieddu’.

Murzionàta [s.f.] Alla lettera ‘emulsionata’, ossia spremuta, essenza.

Musca 1 [s.f.] Mosca, Musca domestica L., da cui muscarìeddu ‘moscerino della frutta o dell’aceto’, famosissimo tra i genetisti (Drosophila melanogaster Meigen) e muscùne ‘moscone’, specie quello della carne Sarcophaga carnaria L., e quello della cacca col dorso verde Calliphora vomitoria L., esempi: pia e musche ccu re manu ‘prende le mosche con le mani’, è pagatu ppe minare e musche ‘è pagato per allontanare le mosche’ (ironico, per sottolineare che qualcuno è pagato per un lavoro che non compie), (loc.) ha piatu a musca ‘ha preso la mosca’ (si è arrabbiato). 2 [inter.] Zitto!, Stai zitto!, Mosca!, come nell’italiano.

Muscìa [s.m.] Spossatezza, stanchezza un pochino misto a noia, es.: teh cchi muscia chi me benuta ‘guarda un po’ che fiacca che mi è arrivata’.

Mùsciu [agg.] Moscio, flaccido, debole; riferito anche ad una parte del corpo non più innervata e quindi penzolante, es.: (loc.) ha ddittu u musciu aru cecatu duname u filu ca te mpilu l’acu ‘ha detto il moscio al cieco dammi il filo che ti infilo l’ago’ (quando due cose sono incompatibili).

scula 1 [s.f.] Gancio apposto alla sommità del fuso. 2 Punta del trapano a manovella; cfr manigghja.

sculu [s.m.] Muscolo, vigore, robustezza.

Musètta [s.f.] Zaino rustico dove in genere si ripone lo stiavuccu con dentro il pasto.

Mussaròla [s.f.] Museruola, ossia tipo di piccola gabbia che si adatta al muso dei cani per far si che non mordano, usata anche in senso metaforico, es.: (loc.) mintate a mussarola ‘mettiti la museruola’ (chiudi l’argomento, evita di parlare); nel 2020, con la diffusione del coronavirus, molti anziani lo adoperano come traduzione dell’italiano mascherina.

Mussistùertu [s.m.] Letteralmente muso storto, ovvero antipatico, persona che sparla.

Mussu [s.m.] Muso, broncio, grugno, viso, esempi: dunate nu puntu aru mussu ‘datti un punto alla bocca’ (non fiatare, che è meglio), stujate u mussu ‘pulisciti il muso’, (loc.) ha piatu u mussu ‘ha preso il muso’ (si è arrabbiato), (loc.) u jancu e u russu venanu du mussu ‘il bianco e il rosso vengono dal muso’ (rima persa, bianco e rosso sono colori che lasciano trasparire una buona alimentazione); ne deriva mussùtu ‘imbronciato’ ‘musone’.

Mustàzzi [s.m.] Mustacchio, baffi.

Mustràre [v.tr.] Mostrare, esibire, es.: mustramile tecchjedda ‘mostramele un po’’.

Mutàre 1 [v.tr.] Cambiare, sostituire, es.: muta l’acqua e l’olive ‘cambia l’acqua delle olive’. 2 Travasare, specie per il vino o l’olio, azione utile a levare le impurità, es.: domane mutamu u vinu ‘domani travasiamo il vino’. 3 [v.rifl.] Cambiarsi gli abiti, vestirsi, esempi: me mutu ‘mi vesto, mutate ca si luerdu ‘cambiati che sei sporco’; cfr tramutare.

Mutìrru [s.m.] Piccolo formaggio con dentro una anima di burro, conosciuto in italiano col nome di butirro.

Muvìre [v.tr. v.rifl.] Muovere, spostarsi, adoperarsi, variante mòvare, esempi: u tte movare ‘non muoverti’, si te muevi chjamame ‘se ti sposti chiamami’, t’e movare si vue guadagnare ‘ti devi adoperare se vuoi guadagnare’.

Muzzicàre [v.tr.] Mordere, morsicare, il termine è altresì usato per indicare le punture di insetti, esempi: fammicce muzzicare nu pocu ‘fammici morsicare un po’’, m’ha muzzicatu nu cane ‘mi ha morso un cane’, m’ha muzzicatu na zampalia ‘mi ha punto una zanzara’, avogghja u te muzzichi! ‘a voglia a morsicarti!’ (le mani dalla rabbia), (loc.) u cane muzzica e muzzica aru sciancatu ‘il cane morde e morde al poveraccio’ (quando la sfiga si accanisce), (loc.) u ru sacciu mancu iu cuemu me muzzica ‘non lo so nemmeno io come mi morde’ (ovvero ‘non so nemmeno io da dove nasca questa passione’ oppure ‘non so nemmeno io perché faccio questa cosa, quello che so è che mi piace’).

Muzzicùne 1 [s.m.] Grosso morso, es.: te jiettu nu muzzicune ‘ti do un morso’. 2 Spuntino, pasto leggero, es.: fatte nu muzzicune ‘fatti uno spuntino’. 3 Variante di muzzune, prima accezione.

Mużżu [agg. s.m.] Persona di poche parole, che non sa spiegarsi, goffa.

Muzzu [s.m.] Tronco, tagliato; guarda anche allammuzzu e muzzune.

Muzzunàru [s.m.] Alla lettera ‘persona che raccoglie mozziconi’, ossia persona che raccoglie e conserva di tutto, anche cose di scarso valore, una specie di mania, comporamento che può sfociare nel patologico.

Muzzùne [s.m.] 1 Mozzicone, cicca. 2 Monco, mozzato, es.: (lap.) chi te via musciu e ciuncu ccu re manu a muzzuni cumu chiddi da fera ‘che possa vederti paralitico, con le mani mozzate come quelli della fiera’ (in passato i poveri e i derelitti erano più numerosi lungo la fiera di maggio).

Multima modifica: 2022-03-13T10:51:05+01:00da mars.net