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Alice Nel Paese Delle Meraviglie

Alice nel paese delle Meraviglie è uno dei libri più famosi che esistano. Pensate che si trova al quarto posto nella classifica dei testi più tradotti vantando edizioni in ben 174 lingue differenti. Iniziamo parlando della sua origine ovvero un pomeriggio d’estate del giorno 4 luglio 1862 in cui Lewis Carroll (di cui tra poco parleremo) si trovava ad Oxford in barca con le tre sorelle Liddell: Lorina, Edith e Alice. Queste bambine chiesero al nostro autore di raccontare una storia ed è lì che nacque Alice in Wonderland proprio dal nome di una delle piccole. In alcune occasioni successive Carroll disse anche che Alice Liddell fu solamente una fonte di ispirazione per la protagonista della sua storia e a prova di ciò troviamo nel dodicesimo e ultimo capitolo di Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò un riferimento ad Alice Liddell, ovvero un acrostico, un gioco di parole in cui le prime lettere di ogni riga compongono una parola di senso compiuto, che forma i termini “Alice Pleasance Liddell” (il nome completo della bambina conosciuta da Carroll). Purtroppo Carroll perse i contatti con la ragazza quand’ella partì per viaggiare in Europa.

Il libro racconta la storia di una bambina la quale si addormenta e sogna di seguire un coniglio bianco nel Paese delle Meraviglie, un universo fantastico e paradossale popolato da strani animali antropomorfi. Carroll regalò alla piccola Alice Liddell il manoscritto di Le avventure di Alice sotto terra con la dedica “Come regalo di Natale a una cara bambina in memoria di un giorno d’estatenel Natale dell’anno 1864. Nell’opera erano riproposte, nell’episodio della pausa tè del Cappellaio Matto, alcune delle conversazioni che lo scrittore aveva avuto con la piccola. Solo il 26 Novembre 1865 lo scrittore decise di pubblicare Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. La prima edizione conteneva 10 mila parole in più rispetto al manoscritto originale. A quel punto Carroll, non soddisfatto della qualità della stampa, ordinò il ritiro dei testi pubblicati e ne fece uscire una seconda edizione nel Dicembre 1865. Fin dalla prima edizione il libro è stato accompagnato da illustrazioni a opera del vignettista satirico John Tenniel. Nel manoscritto originale i disegni erano stati prodotti dalla mano di Carroll.

Concentriamoci un attimo sull’autore di questo capolavoro apprezzato sia da bambini che da adulti. Lewis Carroll è lo pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, reverendo, matematico, fotografo, studioso di logica e scrittore inglese vissuto tra il 1832 e il 1898. Il suo nome d’arte non è altro che un gioco di parole fra i suoi due nomi di battesimo: Charles è diventato Carroll, Lutwidge Lewis. Si racconta che Charles soffrisse di una malattia neurologica la quale provocava allucinazioni e distorsioni nella forma degli oggetti rendendoli nella mente di Carroll più piccoli o più grandi, come accade all’inizio del libro ad Alice. Questa patologia fu scoperta nel 1955 dallo psichiatra inglese Todd che la battezzò “Sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie (AIWS)”, “sindrome di Todd” o “allucinazioni lillipuziane”.

Nel 1871 il reverendo scrisse il seguito de Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie intitolato Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò. La storia è ambientata sei mesi dopo la fine del primo libro ed inizia con Alice che incuriosita da uno specchio nel suo salotto scopre di poterci passare attraverso. La seconda opera è più malinconica rispetto alla prima in quanto pare che Carroll la scrisse in un periodo di tensione con la famiglia Liddell. Un’altra piccola differenza è la seguente: in Alice in Wonderland regna il gioco delle carte mentre nel secondo libro è più presente il tema del gioco degli scacchi.

Ogni passaggio delle due opere fantasiose di Charles ha un significato simbolico in stretto contatto con il clima conservatore dell’Età Vittoriana. Il mondo sottosopra rappresenta l’inevitabile conflitto tra età infantile e adulta. Dal Paese delle Meraviglie Alice non apprende nulla di utile per accedere al mondo degli adulti, questo perché il romanzo di Carroll non segue le regole del normale romanzo di formazione. Tutte le conversazioni che Alice farà non hanno un vero e proprio senso logico poiché Alice è una bambina che fugge dall’obbedienza a imposizioni e regole. La caduta nella tana del Bianconiglio è stata interpretata da molti studiosi come l’ingresso nell’inconscio e ricorda la sensazione di cadere tipica di alcuni sogni. La storia di Alice nel Paese delle Meraviglie infatti è racchiusa in una dimensione onirica, come scopriamo nel finale, spiegando così molte tecniche narrative quali fughe in brutte situazioni e la presenza di elementi topici, intesi come invenzione di mezzi dialettici per condurre un’argomentazione.

Per quanto riguarda i personaggi, anch’essi rappresentano un certo aspetto. Il Brucaliffo è associato alla razionalità degli adulti. Pur rappresentando anche la saggezza, questo personaggio si mostra insofferente nei confronti di Alice la quale, a quel punto, dovrà trovare da sola il modo per crescere. Un’altra interpretazione suggerisce però che il Brucaliffo rappresenti il cambiamento in quanto alla fine del dialogo con Alice si trasformerà in farfalla.

Anche il Bianconiglio simboleggia un aspetto del mondo adulto; egli infatti è noto per andar sempre di fretta ed essere quasi inafferrabile, ragion per cui è stato detto simboleggiare il genitore che carica d’ansia e stress il proprio figlio. Interessante anche il fatto che sovente non comprenda ciò che la piccola Alice gli dice. Nella lingua inglese contemporanea, il Bianconiglio è divenuto sinonimo di un evento inaspettato e particolarmente rivelatore.

Agli antipodi, Alice, questa bambina capace di rapportarsi col mondo senza perdere una dote tipica dei bambini quale la fantasia, è l’emblema dell’infanzia libera e spensierata.

Uno dei personaggi più controversi e strani è lo Stregatto o Gatto del Cheshire che nella traduzione italiana della favola a cura di Silvio Spaventa Filippi del 1913, viene chiamato Ghignagatto, mentre in altre traduzioni italiane viene chiamato “Gatto Cesare” a causa dell’assonanza con “Gatto del Chesire”. Egli non si schiera dalla parte di nessuno, inizialmente compare nella casa della Duchessa come un personaggio privo di funzione precisa, intento a scaldarsi presso il focolare. In seguito diventa soggetto di una conversazione importante con Alice, in cui rivela alla protagonista la legge fondamentale del “mondo alla rovescia” in cui la ragazzina si è ritrovata: poiché son tutti pazzi, occorre comportarsi al contrario di come è opportuno fare nel mondo reale. Lo Stregatto potrebbe simboleggiare anche il senso della vita se si leggesse attentamente il suo dialogo con Alice sulla direzione da prendere. Certo è che lo Stregatto rappresenta l’elemento di disordine all’interno dell’ordine costituito. Spesso viene individuato lo stesso Carroll in questo personaggio. Non si comprende bene da dove sia venuta a Charles l’ispirazione ma potrebbe essere da una favola inglese molto diffusa all’epoca. Piccola curiosità: nella fisica quantistica, il nome di “gatto del Chesire quantistico” è stato dato come soprannome al famoso “gatto di Schroedinger”, animale preso in prestito per spiegare alcuni paradossi della meccanica quantistica.

La Regina di cuori rappresenta innanzitutto la giustizia cieca poiché Alice si trova a rischiare la vita senza in realtà aver fatto nulla di male. Questo personaggio governa il suo regno arbitrariamente, mandando alla pena capitale chiunque rappresenti il minimo elemento di fastidio o di noia (come nel caso dei giardinieri), o per puro capriccio (come per il Fante di Cuori). Sebbene nei normali racconti fiabeschi/favolistici l’antagonista venga sempre sconfitto, invece in questo racconto Alice si salva solo perché riacquista le sue dimensioni consuete riconoscendo che i personaggi davanti a lei sono semplici carte da gioco.

Infine i due personaggi che meglio incarnano la stranezza del Paese delle Meraviglie sono la Lepre Marzolina e il Cappellaio Matto, coloro che vengono considerati esplicitamente pazzi da tutti gli abitanti del Paese delle Meraviglie. L’episodio del tè è quello in cui viene messa in evidenza la follia di questi due personaggi, ad esempio quando la Lepre Marzolina offre del vino sapendo già di non averlo. Sempre in questo punto della storia troviamo però un aspetto interessante ovvero la battaglia dell’uomo contro il Tempo. A questo tea party infatti gli invitati sono costretti a cambiare sempre posto ma c’è da dire che sembra realizzarsi proprio il desiderio del Cappellaio che riesce a prolungare all’infinito l’ora del tè con il tavolo sempre apparecchiato e la bevanda sempre versata che però non verrà mai bevuta.

C’è da dire che in Alice nel Paese della Meraviglie Carroll si riferisce anche a persone reali; l’esempio più famoso è quello del Ghiro in cui viene reso omaggio alle tre bambine, i nomi delle tre piccole infatti sono Elsie, che deriva dalle iniziali di Lorina Charlotte (LC), Lacie ovvero l’anagramma di Alice, e Tillie che sarebbe il diminutivo di Matilda, soprannome di Edith. Anche altri personaggi del libro accennano a figure di persone famose: il primo Ministro inglese Benjamin Disraeli (1804-1881) sarebbe raffigurato nella lucertola Bill, mentre il Cappellaio matto sarebbe un mercante di mobili conosciuto personalmente dall’autore; la Finta Tartaruga sembra essere un’allusione a John Ruskin (1819-1900), celebre critico d’arte e maestro di disegno delle Liddell. Alice nel Paese delle Meraviglie infatti ha anche una vena satirica, evidenziata soprattutto dai poemetti sparsi per il testo che sarebbero parodie di testi di autori contemporanei a Carroll.

ALCUNE CURIOSITA’

Nell’anno 1928 Alice Liddell mise all’asta il manoscritto di Le avventure di Alice sotto terra vendendolo per 15 400 sterline, una cifra esorbitante all’epoca.

Nel 1931 Alice nel Paese delle Meraviglie è stato censurato in Cina poiché rendere intelligenti degli animali antropomorfi fu considerato un insulto all’intelletto dell’uomo dalla Commissione Censura.

La Royal Mail ha inventato una serie di francobolli ispirati ai personaggi più strani e alle scene più curiose di Alice nel Paese delle Meraviglie.

All’incirca 1200 disegnatori hanno illustrato Alice in Wonderland, tra questi anche Salvador Dalì.

Dopo aver letto Alice nel Paese delle Meraviglie, la Regina Vittoria chiese a Charles di dedicarle il suo prossimo libro; allora Carroll si presentò con un trattato sui Determinanti. In matematica un determinante è il valore che si associa a una matrice quadrata secondo una precisa regola.

La vera Alice non era bionda come nel cartone della Disney, bensì castana.

Nel libro Alice pronuncia per ben 21 volte la parola curious/curiouser; questo lemma fu attribuito dall’Oxford English Dictionary proprio a Carroll.

In Alice nel Paese delle Meraviglie troviamo 25 riferimenti al tè.

Carroll è uno degli autori più citati nei testi di programmazione.

Il primo film in assoluto ispirato ad Alice nel paese delle Meraviglie venne girato nel 1903 in Gran Bretagna e durava solo 10 minuti.

La frase Non posso tornare a ieri perché ero una persona diversa alloradetta da Alice, riferendosi ai continui mutamenti del suo corpo nel Paese delle Meraviglie, è divenuta nel tempo emblema delle costante mutabilità della natura umana.

In una lettera dell’Aprile 1887 Carroll scrive Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio sono costituiti quasi per intero da frammenti e piccoli brani, idee singole scaturite da sole. Nello scrivere Le avventure di Alice nel sottosuolo aggiunsi molte idee nuove che sembravano crescere da sole attorno al nucleo originario. Molte altre ne aggiunsi quando, anni dopo, riscrissi il libro per pubblicarlo, anche se (e questo può interessare i lettori di Alice), ogni idea e quasi ogni parola del dialogo venivano da sé. Capitava che un’idea mi venisse di notte, e allora m’alzavo e accendevo il lume per appuntarmela; talora durante una gelida passeggiata d’inverno, per cui dovevo fermarmi e, con le dita intirizzite dal freddo, scarabocchiavo poche parole per evitare che quell’idea appena nata dovesse perire; ma dovunque e comunque venissero, ciascuna idea veniva da sé. Non sono come un orologio che, per farlo funzionare, basta caricarlo quando si vuole.”

 

 

 

Déjà-vu

Chi non ha mai avuto un déjà-vu? Quella strana sensazione di aver già vissuto in precedenza un certo episodio che in realtà non si era mai verificato prima. Il termine deriva dal francese: déjà significa “già”, vu “visto”. L’espressione déjà-vu è apparsa per la prima volta ne L’Avenir des sciences psychiques dello psicologo Boirac all’inizio del XX secolo. Il déjà-vu è un fenomeno psichico riconosciuto tra le alterazioni dei ricordi, dette anche paramnesie.

Esistono vari tipi di déjà-vu in base alla sensazione provata: il déjà visité, che in italiano si può tradurre come “già visitato”, ovvero una reazione psicologica che fa sì che il cervello trasmetta alla persona la sensazione di essere già stata nel posto in cui si trova ora; il déjà senti, in italiano “già sentito”, che si tratta dell’esperienza di credere di aver già stato sentito quello che ascoltiamo; infine il déjà vécu, in italiano “già vissuto”, ossia la sensazione di aver vissuto la stessa situazione precedentemente (quest’ultimo è il più comune dei tre tipi di esperienza).

Vi sono delle teorie esoteriche senza fondamento scientifico legate al fenomeno del déjà-vu: quella degli universi paralleli e quella della reincarnazione sono le più famose. La prima consiste nel sostenere che in un altro universo viva un’altra me che ha effettivamente già vissuto l’episodio che noi consideriamo un déjà-vu; la seconda teoria si basa sulla credenza di avere vissuto altre vite e quindi credere che il déjà-vu sia un ricordo di una delle nostre esistenze precedenti.

Molti scienziati hanno cercato di studiare questo fenomeno, impresa alquanto ardua in realtà perché questi “finti ricordi” sono imprevedibili e difficilmente riproducibili in laboratorio. Ora ad offrire una teoria è un team dell’università scozzese di Sant’Andrews, guidato da Akira O’Connor, secondo cui non si tratta di un falso ricordo o di un errore del cervello, ma di una sorta di verifica dei ricordi che abbiamo già immagazzinato. La ricerca è stata basata su un metodo per riprodurre la sensazione del déjà-vu in laboratorio tramite l’elencazione di una lista di parole collegate tra loro da un concetto chiave tenuto nascosto. Alla fine dell’esperimento si chiedeva ai volontari coinvolti di dire se avessero sentito il termine che accomunava tutti i lemmi letti in precedenza, la risposta fu negativa ma le persone aggiunsero che il concetto chiave risultava loro familiare, ricreando una specie di déjà-vu. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (RMF) si è scoperto che durante l’esperimento erano attive le zone cerebrali legate al processo decisionale e non quelle coinvolte nella memoria, come l’ippocampo. La conclusione del team di ricerca è stata la seguente: le regioni frontali del cervello stavano verificando i ricordi in memoria inviando un segnale proprio per effettuare un controllo, a causa di una sorta di divergenza tra quello che si è realmente vissuto e il ricordo invece presente. Il déjà-vupotrebbe quindi rappresentare un’indicazione di salute da parte del cervello che controlla tutto funzioni correttamente. Quest’ipotesi inoltre va a braccetto con ciò che già sappiamo: il fenomeno è meno frequente tra le persone anziane, la cui memoria è in fase calante. L’unica perplessità riguarda gli individui che non sperimentano déjà-vu. Magari il loro sistema di memorizzazione è più efficiente e non commettendo errori il cervello non ritiene necessario controllare?

Anche in America una psicologa si è occupata di questo fenomeno alla Colorado State University. Ella, grazie a una ricerca sperimentale pubblicata su Psychological Science, ha dimostrato che la premonizione degli eventi che stanno per accadere, spesso associata al déjà-vu, non è nient’altro che una sensazione: la capacità di previsione dei soggetti non è diversa da quella basata sul lancio di una monetina. La domanda a questo punto è: se il déjà-vu è un fenomeno di memoria, lo è anche la sensazione di premonizione? Qualche indizio per poter rispondere lo forniscono studi recenti secondo cui nel corso dell’evoluzione, la memoria umana si sia sviluppata in modo non solo da raccogliere ricordi del passato, ma da fornire anche qualche indizio sul futuro. “Non siamo in grado di ricordare coscientemente una scena precedente, ma il nostro cervello riconosce la somiglianza” ha spiegato Cleary “Questa informazione passa attraverso l’inquietante sensazione che siamo stati lì prima, ma non possiamo stabilire quando o perché”.

Spiegato tutto in parole semplici: il déjà-vu si verifica a causa di un “problema tecnico” nel cervello, un’anomalia della memoria: gli eventi che stanno accadendo sono memorizzati direttamente nella memoria a lungo o breve termine, dando così l’impressione che l’evento sia successo prima quando il processo corretto sarebbe quella di andare nella memoria immediata.

 

Origine di alcuni proverbi italiani

Tutti noi abbiamo usato o sentito proverbi, modi di dire, sentenze popolari, ma vi siete mai chiesti quale fosse l’origine di queste perle di saggezza volgari? Scopriamolo…

Piccola curiosità: lo studio dei proverbi viene definito “paremiologia”, dal greco παροιμία ossia “proverbio” e “logia”.

A CAVAL DONATO NON SI GUARDA IN BOCCA (consiglio: accettate tutto ciò che viene regalato senza essere troppo pretenziosi)

L’originale citazione “Noli equi dentes inspicere donati” deriva da San Girolamo e si riferisce alla stima dell’età di un cavallo (in passato fonte di ricchezza per chi ne possedeva uno) che avviene tramite il controllo della sua dentatura.

AVERE FEGATO (essere coraggioso)

Presso gli antichi, per esempio tra Etruschi e Greci, il fegato era considerato sede di ogni sentimento e qualità interiore.

CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE TEMPESTA (Significa che chi diffonde la discordia ottiene gravi conseguenze)

Si tratta di un proverbio di derivazione religiosa, infatti lo si può leggere in un passo dell’Antico Testamento nella Bibbia: «E poiché hanno seminato vento / raccoglieranno tempesta».

CHI TROPPO VUOLE NULLA STRINGE (accontentati di ciò che hai perché se si pretende troppo si rischia di rimanere a mani vuote)

L’uso frequente di questo proverbio è attestato dalla letteratura e viene fatto risalire alla morale della favola di Esopo “La gallina dalle uova d’oro” nella quale un uomo che aveva una gallina che produceva uova d’oro, uccise questo animale credendo di trovare molto materiale aureo all’interno del suo corpo rimanendo invece a mani vuote.

COMBATTERE CONTRO I MULINI A VENTO (combattere senza poter vincere)

L’espressione deriva dal libro di Cervantes dove il protagonista (che dà il nome all’opera) Don Chisciotte in un episodio combatte appunto contro i mulini a vento credendoli giganti.

DARE A CESARE QUEL CHE È DI CESARE (riconoscere i meriti a chi li ha)

La sua origine? Religiosa. “Rendete dunque ciò che è di Cesare a Cesare, e ciò che è di Dio a Dio” (Vangelo Luca, 20, 25) frase detta da Gesù in risposta agli emissari dei sacerdoti, i quali gli domandavano se fosse lecito pagare il tributo a Cesare da parte di un buon ebreo.

DARE L’OSTRACISMO (osteggiare qualcuno)

Torniamo nella Grecia Antica, ad Atene quando i membri dell’assemblea popolare scrivevano il nome di un cittadino su un pezzo di vaso di terracotta rotto (“òstraka”) al fine di esiliare la persona citata. La persona esiliata era ostracizzata.

IL GIOCO NON VALE LA CANDELA (si riferisce a un risultato che per essere ottenuto implica troppi sforzi e sacrifici)

Alcuni secoli fa, quando non c’era ancora la corrente elettrica, nelle taverne si usavano le candele e si giocava d’azzardo. Allora c’era l’usanza secondo la quale chi vinceva al gioco dovesse pagare almeno la candela usata per fare luce durante la partita; talvolta però il premio vinto era così basso che non bastava nemmeno per pagare la candela utilizzata.

L’ABITO NON FA IL MONACO (non fidarsi delle apparenze)

Questo proverbio deriva da un passo del capitolo XIX de “I Promessi Sposi”. In quel frangente il Conte zio fa riferimento a Fra Cristoforo che pur vestendo in quel momento l’abito da monaco, prima aveva commesso un omicidio.

NON DIRE GATTO SE NON CE L’HAI NEL SACCO (un’esortazione a non cantare vittoria troppo presto)

Questo proverbio in origine aveva un’altra forma ossia “Non dire quattro se non ce l’hai nel sacco“ in quanto risale al tragicomico episodio di un monaco che, dopo aver ricevuto in elemosina quattro pani, si mise ad esultare così rumorosamente da attirare l’attenzione di un cane affamato che gliene rubò uno prima che l’uomo potesse metterlo al sicuro nel sacco.

PIANTARE IN ASSO (ovvero abbandonare qualcuno da un momento all’altro, senza preavviso)

Ricordate il mito di Teseo e il Minotauro? Ricordate la bella Arianna? L’eroe greco in questo mito la abbandonò su un’isola chiamata Nasso. Originariamente infatti il proverbio era “piantare in Nasso” ma col tempo la N è stata omessa.

PRENDERE UN GRANCHIO (ovvero commettere un errore grossolano)

Il proverbio trae la sua origine dalla pesca infatti quando il crostaceo si attaccava all’amo i pescatori si illudevano avesse abboccato un grosso pesce mentre in realtà non era affatto così.

PRIMA PENSA, POI PARLA, PERCHÉ PAROLE POCO PENSATE PORTANO PENA (rifletti prima di parlare per evitare brutte conseguenze).

Questo proverbio è detto “la regola delle 10 P” e deriva da un episodio verificatosi nell’Antica Grecia quando un ateniese offese un guerriero e per questo fu ucciso.

SE SON ROSE FIORIRANNO, SE SON SPINE PUNGERANNO (serve per incentivare il proseguimento di un progetto indipendentemente dalla sua riuscita)

Questa citazione, divenuta poi proverbiale, si può attribuire all’ingegnere e matematico Michele Besso che lavorava con Albert Einstein; quando infatti il fisico esponeva i suoi continui dubbi l’italiano avrebbe risposto con quella sentenza.

VITTORIA DI PIRRO (vittoria che arreca più danni che vantaggi)

Questo proverbio appartiene all’Antica Roma. Pirro, re dell’Epiro, riuscì a battere i Romani a Eraclea e ad Ascoli Satriano, nel 280 e 279 a.C., ma le perdite superarono persino i vantaggi che ne trasse.

 

Arabismi nella lingua italiana

La lingua italiana è considerata una lingua neolatina ma molte parole hanno un’origine straniera, a cominciare da quella greca. Oggi approfondiremo alcuni dei lemmi derivanti dalla lingua araba e che tutt’ora sono utilizzati quando si parla o scrive in italiano.

ALCOL

Questo lemma ha sicuramente un’etimologia particolare: il termine deriva dall’arabo kuḥl, una particolare polvere che, mescolata con acqua, si utilizzava in Oriente per tingere di nero sopracciglia, ciglia e palpebre. Gli alchimisti in seguito utilizzarono questa parola per indicare ogni tipo di sostanza impalpabile. Il vero “autore” del vocabolo “alcol” fu però Teofrasto Paracelso, che per primo associò il termine allo spirito di vino, la parte essenziale e più nobile della bevanda, chiamandolo alcohol vini.

ALGEBRA

Deriva dal termine al-ǧabr e significa “rimettere a posto”, “ricostruire”.

AMMIRAGLIO

Gli Arabi eccellevano nella navigazione come nella matematica. Questo termine ha un’etimologia poetica ed evocativa: deriva dall’arabo amīr al-baḥr che letteralmente significa “comandante del mare” o “principe del mare”.

ASSASSINO (omicida)

Deriva dalla parola araba hashishiyya o anche hashshashiyya, letteralmente “fumatore di hashish”. Il termine fu usato per indicare gli adepti del gruppo ismailita dei Nizariti di Alamut in Persia, i quali obbedivano al loro capo noto come “il Veglio della Montagna”. Gli aderenti alla setta avevano costituito una sorta di organizzazione terroristica per realizzare azioni violente e assassini politici in vari paesi del Vicino Oriente. Si dice che, prima di andare a compiere simili crimini, i membri del gruppo fumassero una gran quantità di hashish.

BALDACCHINO

Deriva da bagdādī che letteralmente significa “di Baghdad”. Già in Levante però aveva assunto due significati specifici ovvero “stoffa preziosa proveniente da Baghdad” e “ornamento a forma di cupolare che sovrasta qualcosa”.

BIZZEFFE (in gran quantità)

Deriva dalla parola araba bizzaf che significa “molto, in abbondanza”.

FARDELLO

Dal termine arabo fard usato per indicare il carico trasportato dal cammello.

LACCA

Non è nata per cotonarsi i capelli, bensì al fine di rivestire e proteggere oggetti dipinti di vario tipo, da quelli ornamentali alle imbarcazioni. Il termine arabo da cui deriva è lakk.

LIMONE

Deriva dal termine arabo-persiano laymūn. Le prime piante di limone erano raffigurate già in dipinti di epoca romana, ma è solo con l’avvento degli Arabi che, dal X secolo, abbiamo traccia delle prime descrizioni letterarie di questo frutto.

MATERASSO

Questo termine nacque per indicare il tappeto su cui ci si “buttava” ovvero il Matrah che deriva dal termine “gettare” taraha.

MESCHINO (crudele)

Deriva dal termine arabo miskīn ovvero “povero, misero”.

RAGAZZO

Questo vocabolo deriva dalla parola araba raqqâs che designava il facchino, il garzone o anche il messaggero.

TAMARRO (zotico)

Sorprendentemente questo termine deriva dall’arabo tammar usato per riferirsi inizialmente ai venditori di datteri, in seguito ai mercanti di strada vestiti in modo eccentrico.

TRIPPA

Quanti piatti regionali vi vengono in mente? Ebbene codesta parola deriva dall’arabo tarb ovvero “omento”, ciò che comunemente chiamiamo trippa.

ZERO

Questo termine deriva dalla latinizzazione zephirum della parola araba aṣ-ṣifr ovvero “nulla”.

 

Congettura di Collatz

Fu enunciata per la prima volta nel 1937 da Lothar Collatz, da cui prende il nome, ed ha la qualità (o difetto) di essere semplice nell’enunciato ma irrisolta per quanto riguarda la dimostrazione; una congettura infatti è un problema ritenuto vero ma non dimostrato. Paul Erdős disse riguardo questa congettura: «La matematica non è ancora pronta per problemi di questo tipo» e arrivò ad offrire 500 dollari per la sua soluzione. Questo algoritmo è conosciuto anche come “congettura di Ulam” (da colui che fece circolare l’algoritmo nell’università di Los Alamos), “problema di Kakutani”(il quale si interessò al problema negli anni ’60), “congettura di Thwaites”, “algoritmo di Hasse” (amico di Collatz che diffuse la congettura), ma anche come “problema di Syracuse” (poiché Hasse presentò il problema negli anni ’50 durante una visita all’università di Syracuse), “problema 3x+1” o ancora come “congettura del chicco di grandine”, poiché i numeri salgono e scendono come chicchi di grandine in un temporale prima di cadere al suolo (ovvero prima di arrivare 1). Data la semplicità della procedura, la congettura ha attirato molta attenzione da parte di appassionati e matematici esperti; nel 1999 si è svolta la prima conferenza internazionale dedicata a questo problema.

Le indicazioni sono molti semplici: pensa a un numero naturale positivo; se pari, dividilo per 2; se dispari, moltiplicalo per 3 e aggiungi 1; ripeti la sequenza.

Algebricamente:

Alla fine si arriverà sempre a ottenere 1.

Esiste un grafo utilizzato per rappresentare il procedimento di questa congettura chiamato grafo di Collatz.

Seppur non sia stata ancora fornita una dimostrazione, i matematici non mettono in dubbio la validità di questa congettura per ogni numero naturale. Questo algoritmo è stato verificato per tutti i valori fino a 87*2^60 (anno 2017).

 

Oscar Wilde

Oscar Wilde è uno scrittore immortale che ha composto un romanzo, ovvero Il ritratto di Dorian Gray, numerose opere teatrali, saggi, poesie e addirittura due raccolte di storie per ragazzi che furono pubblicate nel 1888 con il titolo Il principe felice e altre storie e nel 1891 con il titolo La casa dei melograni. Personaggio molto particolare non fu accettato dalla società vittoriana per due motivi: tramite i suoi testi metteva in risalto i difetti del sistema di quell’epoca; era omosessuale. Wilde nacque a Dublino il 16 Ottobre 1854 da Sir William Wilde e Jane Francesca Elgee. I genitori dello scrittore furono anch’essi particolari: il padre fu un celebre oftalmologo irlandese, autore di importanti trattati medici e oculista personale della Regina Vittoria d’Inghilterra e del Re Oscar I di Svezia, venne accusato di violenza dalla diciannovenne Mary Travers a cui dovette pagare un risarcimento; la madre fu una celebre poetessa e accesa nazionalista irlandese che si faceva chiamare Speranza, che si vantava di nobili origini toscane in realtà inesistenti e che fondò un salone letterario sia a Dublino che a Londra. Da lei Oscar ereditò l’odio verso la rivelazione della propria età.

Wilde ebbe una vita “avventurosa”. Dopo aver frequentato il prestigioso Trinity College a Dublino e il Magdalen College, divenne presto popolare per la sua lingua sferzante, i suoi modi stravaganti e la versatile intelligenza. Tra le sue stranezze si può ricordare quella di vestirsi di nero il giorno del suo compleanno sostenendo di essere in lutto per la morte di uno dei propri anni. Ad Oxford fu iniziato alla Massoneria divenendo anche Maestro finché non venne espulso a causa del mancato pagamento delle rette annuali. Sempre all’Apollo University Lodge, dove vinse il premio Newdigate con il suo poema “Ravenna”, conobbe due fra i maggiori intellettuali del tempo, Pater e Ruskin, i quali lo introdussero alle più avanzate teorie estetiche, quale Arte per Amore dell’Arte, e affinarono il suo gusto artistico. Wilde infatti fu uno dei più famosi dandy inglesi, colui fece rinascere il Dandismo in Inghilterra: indossava solitamente calze di seta, pantaloni lunghi fino al ginocchio, una vistosa cravatta, una giacca di velluto con ampio colletto ripiegato e un fiore all’occhiello che cambiava ogni giorno. Del suo illustre romanzo, Il ritratto di Dorian Gray, la prefazione viene considerata il manifesto dell’Estetismo la cui prima regola è: “L’artista è il creatore di cose belle”.

Oscar viaggiò molto e imparò tante lingue: francese, tedesco, greco e italiano. Fu durante una visita a Londra nel 1897 che iniziò la sua carriera da scrittore componendo alcuni saggi e alcune poesie che successivamente furono pubblicate nella raccolta Poems. Nel 1882 Wilde fece un tour negli Stati Uniti tenendo discorsi su moltissimi argomenti come il Rinascimento inglese e l’arte contemporanea. Andò anche in Italia, Grecia e Francia. Nel 1884 incontrò la sua “anima gemella”, Costance Lloyd, che divenne subito sua moglie e con la quale ebbe anche due figli, Cyryl e Vyvyan. In realtà fu un matrimonio solo d’apparenza che non durò a lungo; infatti dopo la nascita dei figli lui e Costance si separarono proprio a causa della relazione omosessuale di Wilde con Robert Ross.

Oscar fu denunciato dal padre di Lord Alfred Douglas di “gross public indecency” (una forma più arzigogolata con cui veniva definita l’omosessualità davanti alla legge), inoltre subì due ulteriori processi per sodomia e per la bancarotta, causata dal ragazzo. Fu condannato a due anni di carcere e si racconta che Wilde in tribunale rispondesse alle domande in modo tanto ironico che a un certo punto la stanza fu svuotata perché la gente rideva senza sosta. Dopo la condanna del padre, il figlio Cyril cambiò cognome. Durante la prigionia lo scrittore compose il De profundis, una lettera autobiografica indirizzata “all’amico Bosie”, ovvero Douglas che ormai aveva abbandonato Wilde, nella quale non mancano le riflessioni amare di Oscar.

La sua fama raggiunse l’apice nel 1891 (che venne definito il suo “annus mirabilis” per la quantità di opere pubblicate) con Il ritratto di Dorian Gray. I critici del tempo identificarono Wilde con il protagonista del suo romanzo definendolo “emblema del degrado morale”. Ovviamente Wilde divenne famoso anche grazie alle sue opere teatrali: sempre nel 1891 uscì Salomé, un’opera drammatica incentrata sulla passione che venne censurata in Britannia. Nonostante quest’azione contro la sua arte, Wilde continuò a scrivere a mano mantenendo la nota sarcastica, difatti lo stesso anno pubblicò Intenzioni ovvero una collezione di saggi; l’anno seguente uscì Il ventaglio di Lady Windermere, commedia che cela giudizi negativi circa la società vittoriana. Nel 1893 scrisse Una donna senza importanza, anch’essa commedia che contiene aspre critiche in merito allo sfruttamento delle donne sia in ambito sociale che sessuale; nel 1895 Un marito ideale, incentrato sulla corruzione politica. L’opera che tutti ricorderanno però diverrà L’importanza di chiamarsi Ernesto nella quale viene presa di mira l’ipocrisia della morale della comunità di quell’epoca. Quest’ultime opere possono essere definite “commedy of manners” poiché rappresentano perfettamente le maniere e la morale della società del tempo, frivola e intrigante. L’ultimo testo di Wilde fu Ballata del carcere di Reading, un componimento poetico esistenziale terminato nel 1898 dopo essere uscito di prigione. Ad attenderlo fuori ci fu solo il suo vecchio amico Ross.

Uscito dal carcere lo scrittore ebbe da affrontare una grave perdita: la morte della madre. In seguito, tornando a Parigi, verrà informato anche della morte della moglie e si ammalerà di meningite.

Wilde in realtà aveva numerosi nomi, era registrato all’anagrafe come Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde e non erano rari i momenti in cui prediligeva farsi chiamare Wills, soprattutto all’Università; addirittura il nostro Fingal usò talvolta pseudonimi, tra cui Sebastian Melmoth e Sant’Oscar di Oxford.

Prima di contrarre la meningite Wilde ebbe la sifilide. Controllando infatti le numerosi immagini che ci sono pervenute dello scrittore, possiamo notare che in nessuna o quasi Oscar abbozza un sorriso. Questo particolare è dovuto alla sua dentatura rovinatasi proprio a causa della cura per la sifilide.

Il nostro scrittore irlandese, sostenitore del socialismo, morì il 30 Novembre del 1900 a Parigi. Curioso un aneddoto diffuso circa la sua dipartita, si racconta che prima di morire Wilde abbia detto “O se ne va quella carta da parati o me ne vado io” facendo riferimento alle pareti dello squallido hotel in cui alloggiava. Fu seppellito nel cimitero di Père-Lachaise. Si possono ancora vedere i baci che numerose persone lasciarono sulla tomba di Wilde, opera di Sir Jacob Epstein. Nel 1950 le ceneri di Robert Ross furono poste vicino a quelle del suo amante.