Jeanne Baré

Jeanne Baré (o Baret o Barret) è un personaggio molto particolare vissuto tra il 1740 e il 1807. Lei è considerata la prima donna ad aver circumnavigato il globo.

Nacque a La Comelle, un villaggio nei pressi di Autun, in Borgogna, da una famiglia umile, infatti il padre Jean fu un bracciante. Non si sa molto dei primi anni di vita della nostra esploratrice: imparò da bambina l’arte delle erbe e, forse grazie a un sacerdote, a un nobile locale o alla madre che probabilmente aveva origini ugonotte ed era quindi istruita, anche a leggere e scrivere.

La reincontriamo citata dal naturalista Philibert Commerson, il quale la assunse come governante nel paese di Toulon-sur-Arroux. Jeanne intrecciò probabilmente una relazione con Commerson tant’è che nel 1764 affidò un bambino all’Ospedale dei Trovatelli di Parigi. Dopo un anno che la coppia si era trasferita nella capitale francese e Jeanne aveva assunto il nome di Jeanne de Bonnefoy, Commerson fu invitato a far parte della spedizione di Louis Antoine de Bougainville, il quale aveva ricevuto il compito di esplorare le terre tra le Indie e le coste occidentali dell’America rivendicando le nuove scoperte sotto la bandiera di Francia. Il naturalista, dapprima titubante per le sue condizioni precarie di salute, decise di accettare e di portare Jeanne con sé. L’unico ostacolo era la legge che a quel tempo non ammetteva la presenza di donne sulla nave. I due architettarono un piano: poiché per Commerson era previsto il servizio di un servo, Jeanne si travestì da uomo nascondendo il seno sotto strette bende di lino e assunse la parte di un valletto chiamato Jean Baret .

La spedizione ebbe inizio nel dicembre del 1766 quando le due navi La Boudeuse e l’Étoile salparono dal porto di Rochefort. Su quest’ultima, una nave-magazzino di supporto alla prima, soggiornarono i due amanti. Grazie alla gran quantità di attrezzatura scientifica che Commerson portò con sé, il capitano concesse a Jeanne la propria cabina, involontariamente facilitando così alla donna di nascondere la sua vera identità. Il naturalista soffriva di mal di mare e di ulcere alle gambe e Jeanne si prese cura di lui. È solo quando la nave raggiunse Montevideo che si la nostra avventuriera diede inizio alle sue esplorazioni a terra. Jeanne si impegnò molto trasportando provviste e casse di attrezzatura, raccogliendo campioni di piante e catalogandoli con cura. A causa dei problemi di salute di Commerson spesso fu proprio lei a occuparsi di tutto ed fu sempre lei che in Brasile scoprì una pianta rampicante denominata Bougainvillea in onore del capitano della spedizione. In Patagonia fu Jeanne a sobbarcarsi la maggior parte degli sforzi accompagnando l’infermo Commerson in tutte le escursioni. Lui aveva bisogno di lei per muoversi ma ne apprezzava anche la competenza botanica. Insieme collezionarono piante, minerali, conchiglie. Alla fine della spedizione destinarono oltre 6000 esemplari raccolti al Muséum National d’Histoire Naturelle di Parigi.

Non fu facile nascondersi. A bordo si vociferava ci fosse una ragazza e la superstizione dei marinai dilagava. A insinuare il dubbio fu il medico di bordo Vivès che nel suo diario non risparmiò commenti cattivi su Commerson, con cui litigava spesso. Quando la situazione sembrava precipitare, Jeanne tacitò le voci confessando di essere un eunuco evirato da crudeli pirati Ottomani. Molte sono le versioni sullo svelamento dell’identità della donna: Pierre Duclos-Guyot e Nassau-Siegen scrissero di un incidente in Nuova Irlanda quando Jeanne, sorpresa nuda, sarebbe stata costretta da alcuni membri dell’equipaggio a rivelare il suo sesso; la maggior parte dei racconti però fa risalire l’incidente all’Aprile del 1768 a Tahiti. Si racconta infatti che nel momento in cui Commerson e Jeanne sbarcarono per le loro esplorazioni gli indigeni si accorsero il servo non era un maschio e lo definirono una mahu, una donna nel corpo di un uomo. Jeanne fu costretta a rientrare immantinente sulla nave e, interrogata dal capitano, confessò di essere una ragazza aggiungendo che Commerson non era a conoscenza dell’inganno.

Quando le navi arrivarono a Mauritius, poiché l’identità di Jeanne era ormai nota a tutti, la coppia si trasferì a terra da un amico di Commerson. A quel punto i due decisero di rimanere a Mauritius, ufficialmente per proseguire le ricerche botaniche sull’isola. Jeanne infatti continuò ad accompagnare il suo amante nei suoi viaggi tra il 1770 e il 1772, anche in Madagascar e sull’isola di Bourbon.

Nel 1773 Commerson morì e l’amico che ospitava la coppia venne richiamato in Francia. La donna allora trovò lavoro in una locanda di Port Louis e l’anno dopo sposò un ufficiale dell’esercito francese di passaggio. Insieme a Jean Dubemat tornò in Francia nel 1775 completando il giro del mondo.

Solo dopo molte traversie legali riuscì a ottenere l’eredità che Commerson le aveva destinato poco prima di partire. Con il marito si stabilì nel villaggio di Saint-Aulaye e della sua vita da allora in poi si sa ben poco. Nel 1785 la marina francese le concesse una pensione di 200 livree l’anno per i servizi resi alla ricerca scientifica. Morì, dimenticata, il 5 Agosto del 1807.

Il suo enorme lavoro di ricerca non è stato mai riconosciuto ma Jeanne è stata una donna capace di infrangere gli schemi dell’epoca: ha amato un uomo sposato, ha dato alla luce un figlio illegittimo, si è avventurata per mare travestita da uomo, ha esplorato terre remote senza paura e ha compiuto il giro del mondo. Di lei rimane un ritratto apparso nel 1816 nell’edizione italiana dei viaggi di James Cook. Vi compare bizzarramente abbigliata con un berretto rosso dei rivoluzionari francesi e abiti a righe che i marinai presero a indossare solo dopo il 1790. In mano stringe un mazzo di erbe e fiori, un riconoscimento alle sue abilità botaniche. Ora una pianta ha il suo nome: la Solanum baretiae.

Per finire questa piccola biografia di Jeanne Baré, vi lascio una pagina del diario di bordo di questa avventuriera.

Diario di bordo. Nave Étoile, Rio de Janeiro, 26 luglio 1768

Da qualche giorno il comandante Bougainville mi rivolge domande insistenti, i membri dell’equipaggio sono passati da sguardi sospettosi a battute pronunciate a mezza voce e strizzatine d’occhi tra di loro mentre passo sul ponte. Ho sempre più timore di venire scoperta ma dobbiamo tenere i nervi saldi, le conseguenze potrebbero essere gravissime, sopratutto per Philibert.

L’arrivo a Rio de Janeiro non è stato facile, allo sbarco alcuni marinai sono stati assassinati in una rissa, ma dopo qualche giorno ci hanno assicurato che non eravamo più in pericolo e siamo riusciti a scendere. In realtà sono scesa solo io, con alcuni uomini, perché Philibert è confinato sulla nave da settimane, sta male, soffre il mare e ha un serio problema alla gamba, un’ulcera che non guarisce.

Ad ogni modo sono riuscita a perlustrare la zona molto dettagliatamente e a raccogliere numerosi campioni.

In particolare molti esemplari della fioritura di una pianta che ha esaltato Philibert, non avevamo mai visto nulla di simile, abbiamo deciso di chiamarla bougainvillea in onore del nostro comandante.

Philibert ogni giorno ha parole di grande affetto per me, è fiero della mia resistenza e del mio coraggio. La sera ci mettiamo a catalogare e classificare tutti i ritrovamenti ed è il momento più bello, quello che mi ripaga di tutta la fatica. Tutti dormono, la nave è attraccata e si muove dolcemente, le nostre teste si sfiorano chine sul grande libro, sento il suo respiro mentre intinge il pennino e per qualche secondo rimane incerto, poi verga sulla carta ruvida il nome che ha scelto.

Da bambina andavo con mio padre alla ricerca di erbe officinali, lui aveva ereditato da suo padre la capacità di riconoscerle e la sapienza nel miscelarle e dosarle come medicine. Tante persone venivano da noi quando i loro figli avevano una brutta tosse, mal di stomaco, mal di testa. E lui aveva sempre una pozione, un piccolo cartoccio che consegnava nelle mani del genitore preoccupato. Ogni mattina quello era il nostro momento, ci infilano degli stivali e andavamo alla ricerca, camminando in silenzio e appoggiando le erbe delicatamente in un cestino, quando ero incerta sul ritrovamento gli porgevo la pianta, lui la esaminava e poi a volte annuiva, a volte dissentiva e la buttava a terra. Quando aveva cominciato a stare male andavo io, ormai esperta, da sola, a raccogliere le erbe. Poi all’improvviso era morto, le sue pozioni non aveva funzionato con lui, e io avevo continuato ad andare per prati la mattina presto perché era un modo per sentire meno il dolore e ritrovarlo nel silenzio dei mie passi.

Ieri Philibert ha vergato il mio nome sotto un fiore molto bello che ho trovato qualche giorno fa. L’ha chiamato Solanum baretiae, in mio onore. Io ho ringraziato ed ero onorata, ma in cuor mio l’ho dedicato a mio padre quel bellissimo fiore che a volte è viola, altre volte giallo. A tutte le mattine che abbiamo camminato insieme, nel freddo dell’inverno, nei primi tepori dell’estate.

 

Jeanne Baréultima modifica: 2019-08-19T15:33:02+02:00da gloria_2019

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