Déjà-vu

Chi non ha mai avuto un déjà-vu? Quella strana sensazione di aver già vissuto in precedenza un certo episodio che in realtà non si era mai verificato prima. Il termine deriva dal francese: déjà significa “già”, vu “visto”. L’espressione déjà-vu è apparsa per la prima volta ne L’Avenir des sciences psychiques dello psicologo Boirac all’inizio del XX secolo. Il déjà-vu è un fenomeno psichico riconosciuto tra le alterazioni dei ricordi, dette anche paramnesie.

Esistono vari tipi di déjà-vu in base alla sensazione provata: il déjà visité, che in italiano si può tradurre come “già visitato”, ovvero una reazione psicologica che fa sì che il cervello trasmetta alla persona la sensazione di essere già stata nel posto in cui si trova ora; il déjà senti, in italiano “già sentito”, che si tratta dell’esperienza di credere di aver già stato sentito quello che ascoltiamo; infine il déjà vécu, in italiano “già vissuto”, ossia la sensazione di aver vissuto la stessa situazione precedentemente (quest’ultimo è il più comune dei tre tipi di esperienza).

Vi sono delle teorie esoteriche senza fondamento scientifico legate al fenomeno del déjà-vu: quella degli universi paralleli e quella della reincarnazione sono le più famose. La prima consiste nel sostenere che in un altro universo viva un’altra me che ha effettivamente già vissuto l’episodio che noi consideriamo un déjà-vu; la seconda teoria si basa sulla credenza di avere vissuto altre vite e quindi credere che il déjà-vu sia un ricordo di una delle nostre esistenze precedenti.

Molti scienziati hanno cercato di studiare questo fenomeno, impresa alquanto ardua in realtà perché questi “finti ricordi” sono imprevedibili e difficilmente riproducibili in laboratorio. Ora ad offrire una teoria è un team dell’università scozzese di Sant’Andrews, guidato da Akira O’Connor, secondo cui non si tratta di un falso ricordo o di un errore del cervello, ma di una sorta di verifica dei ricordi che abbiamo già immagazzinato. La ricerca è stata basata su un metodo per riprodurre la sensazione del déjà-vu in laboratorio tramite l’elencazione di una lista di parole collegate tra loro da un concetto chiave tenuto nascosto. Alla fine dell’esperimento si chiedeva ai volontari coinvolti di dire se avessero sentito il termine che accomunava tutti i lemmi letti in precedenza, la risposta fu negativa ma le persone aggiunsero che il concetto chiave risultava loro familiare, ricreando una specie di déjà-vu. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (RMF) si è scoperto che durante l’esperimento erano attive le zone cerebrali legate al processo decisionale e non quelle coinvolte nella memoria, come l’ippocampo. La conclusione del team di ricerca è stata la seguente: le regioni frontali del cervello stavano verificando i ricordi in memoria inviando un segnale proprio per effettuare un controllo, a causa di una sorta di divergenza tra quello che si è realmente vissuto e il ricordo invece presente. Il déjà-vupotrebbe quindi rappresentare un’indicazione di salute da parte del cervello che controlla tutto funzioni correttamente. Quest’ipotesi inoltre va a braccetto con ciò che già sappiamo: il fenomeno è meno frequente tra le persone anziane, la cui memoria è in fase calante. L’unica perplessità riguarda gli individui che non sperimentano déjà-vu. Magari il loro sistema di memorizzazione è più efficiente e non commettendo errori il cervello non ritiene necessario controllare?

Anche in America una psicologa si è occupata di questo fenomeno alla Colorado State University. Ella, grazie a una ricerca sperimentale pubblicata su Psychological Science, ha dimostrato che la premonizione degli eventi che stanno per accadere, spesso associata al déjà-vu, non è nient’altro che una sensazione: la capacità di previsione dei soggetti non è diversa da quella basata sul lancio di una monetina. La domanda a questo punto è: se il déjà-vu è un fenomeno di memoria, lo è anche la sensazione di premonizione? Qualche indizio per poter rispondere lo forniscono studi recenti secondo cui nel corso dell’evoluzione, la memoria umana si sia sviluppata in modo non solo da raccogliere ricordi del passato, ma da fornire anche qualche indizio sul futuro. “Non siamo in grado di ricordare coscientemente una scena precedente, ma il nostro cervello riconosce la somiglianza” ha spiegato Cleary “Questa informazione passa attraverso l’inquietante sensazione che siamo stati lì prima, ma non possiamo stabilire quando o perché”.

Spiegato tutto in parole semplici: il déjà-vu si verifica a causa di un “problema tecnico” nel cervello, un’anomalia della memoria: gli eventi che stanno accadendo sono memorizzati direttamente nella memoria a lungo o breve termine, dando così l’impressione che l’evento sia successo prima quando il processo corretto sarebbe quella di andare nella memoria immediata.

 

Déjà-vuultima modifica: 2019-07-12T09:32:29+02:00da gloria_2019

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