Due parole a caso su Bordighera (IM)

Per chi non é di Bordighera (IM) il nome di questa strada della città delle palme, comunque V. Veneto, non ha di certo importanza. Solo che, questa immagine datata, donatami, al pari di quella analoga che segue, dall’amico Giulio Rigotti, mi consente di effettuare qualche cenno e qualche considerazione del tutto personali. In questa fotografia d’antan si possono notare già in secondo piano la ex Chiesa Anglicana, oggi Centro Polivalente, e più ancora in fondo la torretta di Villa Etelinda, immortalata a suo tempo da Claude Monet. Una parte dei grandi alberghi della Via Romana, oggi tutti residences, che connotarono l’epoca d’oro del turismo di elite di Bordighera, non hanno, credo, necessità di specifiche indicazioni.

Questo scatto, che riguarda in modo molto approssimativo la stessa strada, mi fornisce il destro per una piccola nota: in molti casi sarebbe opportuno, per fare comparazioni adeguate, salire su qualche edificio, cosa che, nonostante le mie conoscenze, non mi pare ancora il caso di fare.
Via Vittorio Veneto ripresa a suo tempo dall’angolazione opposta. Nell’angolo a sinistra in alto, il campanile e la Chiesa di Terrasanta, progettata e finanziata da Charles Garnier, che non fece in tempo a vedere finita questa sua opera, dovuta al suo grande e testimoniato amore per Bordighera. Trascurando altri particolari, indico inoltre al centro gli storici campi da tennis e sulla destra, circondata da alberi, ancora la Chiesa Anglicana.

Questa fotografia, che confronta in maniera molto parziale lo stato attuale con quella precedente d’epoca, la metto quasi per provocazione, a significare che, per fare una sovrapposizione accurata, sarebbe necessario entrare nella stessa struttura – già Hotel progettato da Charles Garnier –  da cui venne scattata quella in bianco e nero. Ho cercato l’inquadratura ottimale, girando in collina, ma non ci sono riuscito. Intanto a sinistra si può notare, di colore bianco, il teatro, “Victoria Hall” – la cui destinazione d’uso, va da sé, è stata cambiata da tempo -, fatto costruire, al pari di altri significativi edifici, da ricchi turisti inglesi d’epoca. In fondo a questa strada a sinistra sussiste – anche in questo caso non più tale – il primo albergo che a fine XIX secolo accolse i primi sudditi della Regina Vittoria, attirati in Riviera dalle romantiche vicende de “Il dottor Antonio” di Giovanni Ruffini.

Claude Izzo

Il porto vecchio di Marsiglia, città di nascita dello scrittore e di ambientazione di molte sue opere
Fonte: Wikipedia

Di sicuro nelle opere di Claude Izzo, morto giovane nel 2000, la sua Marsiglia e dintorni, non molto lontani da questa riviera ligure di ponente, che ha con quei luoghi appena da me citati una qualche affinità paesaggistica e non solo, assumono contorni quasi magici. Si sentono l’odore del mare, i profumi dei fiori e delle erbe mediterranei, i sapori di cibi cosmopoliti. E si palpita per personaggi che sembrano usciti da una canzone di Francesco De Gregori, nel contempo in cui certi “cattivi” sembrano (almeno a me) un po’ esagerati, anche se fanno rinviare con il pensiero alle tante trame criminali realmente esistenti di qua e di là della frontiera.

Alla ricerca di mappe antiche

Pedemontanae vicinorumque regionum auctore Iacobo Castaldo descript. Anversa, 1598 ca., vale a dire Carta geografica della riviera di ponente da Portofino a Monaco, che comprende la parte del Piemonte fino alla Valle d´Aosta, tratta dal “Theatrum Orbis Terrarum” di Abraham Ortelius, disegnata da Jacopo Gastaldi (incisione in rame. 374×497 mm.), come l’ho desunta da qui.
Ero alla ricerca sul Web di icone antiche o antiquarie relative alla Liguria, quando, una volta rinvenuta la mappa, che già conoscevo, di cui qui sopra, mi si é aperto un percorso affascinante, che qui di seguito riproduco in modo parziale.
Una mappa con scene di animali dell’Asia da “Cosmographia” di Sebastian Münster (cartografo) pubblicata a Basilea da Henricus Petri nel 1628.
Isola Cocos in Oceania. Del 1719 da una descrizione del mondo curata da Allain Manesson Mallet, pubblicata a Francoforte.
Non ho potuto fare a meno di pensare, a quel punto, a La Pérouse, di cui ho parlato in un mio vecchio post, e agli altri coraggiosi navigatori dell’epoca, non solo francesi.
Infatti, a mio modesto avviso, non poteva che essere opera di un transalpino una mappa del 1780 di Tahiti: per la precisione di  M. Bonne, ingegnere e idrografo.
Sin qui le immagini, eccezione fatta, come ho già sottolineato, per la prima, sono state tratte da questo interessante sito.
Ho cercato Bonne su Wikipedia. Ho notato un altro ingegnere e idrografo, Rigobert Bonne (1727–1795), che ha disegnato questa mappa (fonte, va da sé, Wikipedia), che rammenta gli interessi francesi dell’epoca in Asia.
Volendo rinvenire una carta dell’Africa, che segnasse le basi usate nel 1700 dai transalpini, ho trovato, invece, sempre su questo sito, questa icona più antica, al cui fascino non ho saputo resistere: si tratta di Africae Tabula Nova di Abraham Ortelius – cui, pertanto, si torna ancora una volta -, pubblicata ad Antwerp nel 1592, come parte del già mentovato, famoso atlante, con testo latino, “Theatrum Orbis Terrarum”.

Racconti di guerra, grande ingiustizia del mondo

Il gruppo di case sparse in Slovenia, dove nacque il nonno materno

Racconti di guerra, grande ingiustizia del mondo, sentiti in famiglia.

La Grande Guerra.

Dalla viva voce della nonna materna, che era slovena dei dintorni di Salona d’Isonzo (come si chiamava durante il famigerato ventennio) e, dunque, all’epoca suddita, al pari del futuro marito, dell’Impero Austro-Ungarico, appresi fanciullo di bambini del luogo trattenuti sulle linee del fronte dell’Isonzo al pari di donne ed anziani, feroce anticipo italiano delle persecuzioni e dei campi di concentramento loro riservati poco più di vent’anni dopo. Bambini in allora obbligati a sentire le grida di agonia dei feriti gravi abbandonati tra i reticolati delle trincee. Anziani considerati spie e trattati di conseguenza, salvati solo all’ultimo minuto dall’esecuzione. Stupri o tentativi di stupro. Morti in quel ramo di famiglia, compreso il bisnonno, per il conflitto o per altre conseguenze del medesimo. Ma io da adulto non ho più approfondito, purtroppo.

Su un fronte più lontano l’altro mio nonno, quello paterno, a combattere. Schivo di parole in merito, però, eccezione fatta per meticolosi chiarimenti tecnici resi al sottoscritto di ritorno da Gorizia. Già, ma la pandemia di spagnola della prima famiglia gli lasciò solo lo zio tragicamente destinato a perire più tardi in Russia. Particolari appresi da adulto. Pudori arcaici di famiglia.

Più sfumate le testimonianze dirette della seconda guerra.

La malaria (altre persone a me care ne soffrirono nella loro conseguente breve vita) del nonno materno, reduce dall’Albania, più o meno costretto ad indossare di nuovo la divisa del carabiniere.

Quali orrori avrà visto in tale veste? Un anticipo del suo espatrio clandestino in Jugoslavia per riabbracciare la madre, con particolari – i duri interrogatori dei “titini” che, ormai da tempo italiano, ma date le sue origini slovene, lo ritenevano un spia – conosciuti solo da mio padre per essere svelati tanti, troppi anni dopo?

Ultima guerra, mio padre, lasciata Ventimiglia (IM): i bombardamenti aerei a  Napoli, la prima battaglia navale della Sirte:

la fuga da Pola, 8 settembre 1943, della squadra della corazzata Giulio Cesare, la successiva destinazione ad altri incarichi, spesa a terra tra Taranto e Lecce. A lungo senza contatti con i genitori e, sino all’indomani dell’8 settembre 1943, con il fratello più piccolo, anch’egli in  Marina. Il fratello più grande, che era nel Genio Ferrovieri, già morto (ufficialmente disperso!), come sopra accennato, nella sciagurata campagna di Russia, a dicembre 1942.

Da queste parti, in Riviera, ponente di Liguria, i civili in dura lotta per la sopravvivenza. Anche bambine di Bordighera (IM) a spingere carrette su e giù per il Col di Nava alla ricerca nel Basso Piemonte di farina in cambio di olio, cercando di evitare i feroci controlli tedeschi…