La Pérouse

Fonte: Wikipedia

Faccio inizio da questa battaglia navale, detta dei Santi, sviluppatasi nelle Antille dal 9 al 12 aprile 1782 durante la Guerra di Indipendenza degli Stati Uniti, per procedere a qualche accenno su La Pérouse. E, in parallelo, ad altri navigatori della seconda metà del Settecento. Perché tanti esploratori di quel periodo, francesi e britannici, si erano ritrovati su quei mari a combattere in quel conflitto, come già prima nella Guerra dei Sette Anni.

Di La Pérouse Jules Verne scrisse anche: “Durante l’ultima guerra egli era stato incaricato della delicatissima questione di distruggere gli stabilimenti della compagnia inglese nella baia di Hudson, ed egli si era disimpegnato dell’incarico da militare consumato, da abile marinaio, da uomo che sa conciliare i sentimenti dell’umanità con le esigenze del dovere professionale.”
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Nella riproduzione del dipinto, di cui sopra, viene fissato il momento dell’incarico ufficiale conferito a questo navigatore da Luigi XVI per la sua ultima missione per i mari del mondo, particolarmente voluta come risposta alle grandi avventure di James Cook.

La Pérouse fece levare le ancore da Brest il 1° agosto 1785.
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Come in tanti viaggi per oceani dell’epoca i rischi erano all’ordine del giorno. La precedente stampa attesta un sinistro occorso a un gruppo della spedizione sulla costa nord-americana – tra attuali Alaska e Canada – che si affaccia sul Pacifico. La Pérouse – scrisse ancora Verne – aveva eretto un monumento su cui si leggeva la seguente iscrizione, di evidente imitazione classica: “All’ingresso del porto sono periti ventun coraggiosi marinai. Chiunque voi siate, unite le vostre lagrime alle nostre.”

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A Mauna, nelle Isole Samoa, fu massacrata la piccola squadra sbarcata in cerca di rifornimenti alimentari e soprattutto di acqua, squadra condotta dal secondo di quella spedizione, il capitano Paul Fleuriot de Langle, che era anche uno scienziato. De Langle volle scendere a terra, nonostante il parere contrario di La Pérouse, il quale aveva acconsentito malvolentieri, e provocò gratuitamente la reazione esiziale degli indigeni. Allo stesso modo di quanto aveva fatto, nel determinare la propria uccisione, Cook, che almeno aveva l’alibi morale di un pessimo stato di salute.

Nell’ultima lettera, spedita da Botany Bay, Australia, a febbraio 1788, La Pérouse asseriva: “Risalirò alle Isole degli Amici e farò assolutamente tutto ciò che mi é ordinato dalle mie istruzioni relativamente alla parte meridionale della Nuova Caledonia, all’isola Santa Cruz di Mendana, alla costa del sud della terra degli Arsacidi di Surville e alla terra della Luisiade di Boungaville …”.
Jean François de Galaup, Conte de La Pérouse, nato presso Albi nel 1741, e le sue due navi del periplo intorno al mondo, l’Astrolabe e la Boussole, sembrarono di lì a poco svanite nel nulla. Ormai scoppiata in Francia la Rivoluzione, fu proprio l’Assemblea Nazionale nel febbraio 1791 a ingiungere al re di armare una spedizione di soccorso, che fallì lo scopo: durante la medesima perirono addirittura i due comandanti, Entrecasteaux e Kermadec. Solo trent’anni dopo si giunse alla conclusione, perché vi si trovarono effetti personali dei marinai, che La Pérouse e i suoi uomini fossero periti a Vanikoro, nelle Salomone.
Aggiungo che dell’itinerario noto di La Pérouse sussistono tracce documentarie sul Web, così come vi si ribadisce che fu di sensibilità illuministica. Sono rimaste copie dei suoi giornali di bordo, rimandati per tempo in Francia, molto interessanti. Li lesse Jules Verne, che ne trascrisse importanti notizie e affermazioni. Ne produco, in conclusione, almeno due: nella Kamciatka La Pérouse fece porre sulla tomba di Delisle de la Croyère, che era morto nel 1741 di ritorno da una spedizione condotta per conto dello zar, una lastra di rame incisa e rese il medesimo omaggio al capitano Clerke, il secondo di Cook, cui, alla morte, succedette nel comando.

Quella palestra a Ventimiglia (IM)

L’ex G.I.L. di Ventimiglia (IM), come viene ancora chiamata, oggi una palestra, se non sbaglio, in uso ad alcune società sportive. E lo spiazzo davanti un parcheggio a rotazione.

Per circa due decenni é stato l’unico impianto a disposizione delle scuole medie inferiori del centro città e degli istituti superiori.

Ci sono passato anch’io. Per otto anni.

In attesa di una lezione pomeridiana (allora per le superiori usava così), una volta ho sentito, tutto ammirato, un ragazzo un po’ più grande di me parlare di Puskás a Bordighera.

In quel sito, dentro e fuori, anzi, fuori, perché le prove di corsa si facevano logicamente all’aperto, ho coltivato i miei sogni da adolescente sull’atletica leggera. Io, inconcludente, come quasi sempre, se non si trattava, come allora, di studiare, e, poi, di lavoro. Sono anni che non scrivo di questi aspetti. Ci penserò.

Non riesco a ritrovare una fotografia scattata, nell’occasione della premiazione, insieme, tra gli altri, a due insegnanti del Liceo, che a me furono molto cari. Ero il capitano, per meriti di… età, della nostra squadra allievi di pallavolo, che vinse nel 1966 il campionato provinciale studentesco. E tutto il torneo, per nostra fortuna, mi sembra di ricordare, si era svolto all’aperto dell’ex G.I.L.

Il patrimonio di ricordi di quel sito non può che essere, pertanto, che comune a centinaia e centinaia di persone della mia zona. Capita, del resto, che tanti scrivano di quel luogo e della strada che da un altro nome ancora alla palestra, Via Chiappori. Molti di meno rammentano che nell’angolo di sud-ovest rimase a lungo il campo da tennis in terra battuta del Tennis Club di Ventimiglia, fondato intorno al 1950.

Appena finita la seconda guerra mondiale, l’edificio in questione venne adibito a scopi più pratici inerenti la vita che riprendeva a scorrere un po’ più tranquilla. C’era una mensa popolare, ad esempio: e fu là, dove mia madre ragazza allora lavorava, che i miei genitori si conobbero…

Prima ancora, come ci ricorda tristemente il nome, G.I.L., vale a dire Gioventù Italiana del Littorio, la palestra, come tante in Italia, venne eretta per celebrare biechi vanti del regime fascista. Di tanti racconti che ho sentito fare intorno a quel luogo per i tristi anni 1930, in genere concernenti il premilitare, aberrante istituzione del fascismo, voglio, in conclusione, riportarne almeno uno. Il seguente, che riprendo da un mio blog: “ il giovane pescatore, uno di quelli che aiutava gli ebrei stranieri, dannati dal regime con le leggi razziali, a fuggire in barca dall’Italia verso la Francia nella tormentata stagione 1938-’39 [in proposito: Ombre al confine di Paolo Veziano L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014], in futuro valente floricoltore, che si presentava al premilitare fascista a piedi nudi, sostenendo che in casa non si avevano soldi per comprargli le scarpe: al che il capomanipolo o centurione, il brutto ceffo in camicia nera, insomma, che dirigeva la situazione, lo mandava via, con tacita soddisfazione del nostro personaggio, che di tutta evidenza aveva ottenuto, almeno una volta, il suo scopo“.