Il pallido abissino

Fonte: www.grosvenorprints.com

Fu un lord Halifax, a quanto pare, che propose allo scozzese James Bruce (1730-1794) di andare alla scoperta delle sorgenti del Nilo. Lo sbarco a Massaua in Mar Rosso avvenne il 19 settembre 1769. Ma Bruce sarebbe stato trattenuto in territorio arabo se non avesse avuto l’accortezza di farsi rilasciare un firmano del sultano e lettere del bey del Cairo e dello sceriffo della Mecca. Ad Adua Bruce vide i resti di un convento di gesuiti, che sembrava piuttosto un forte. Ammirò ad Axum quelli che oggi sono obelischi famosi in tutto il mondo. Reputò di aver notato in alture tutte di marmo rosso più di un centinaio di tracce lasciate dagli scavi di colossali statue dell’Antico Egitto. Giunto a febbraio 1770 a Gondar, allora capitale dell’Etiopia, le sue prestazioni di medico contro il dilagare di una febbre tifoidea gli furono di grande aiuto per perfezionare il conseguimento del massimo appoggio del Negus e della corte per la sua spedizione. Nei mesi trascorsi a Gondar (anche dopo aver raggiunto la meta tanto agognata) raccolse informazioni preziose sul paese, anche circa la storia, pressoché uniche al momento della pubblicazione del resoconto di viaggio di Bruce. Il 4 novembre 1770 pensò di avere scoperto, con l’aiuto di guide locali, ma con sua decisione per il rilevamento del sito preciso, le sorgenti del Nilo, nelle vicinanze della chiesa di San Michele Geesh. Scrisse in proposito Bruce: “Certamente é più facile immaginare che descrivere ciò che provai allora. Rimasi ritto davanti a quelle sorgenti dove da 3000 anni il genio e il coraggio degli uomini più celebri avevano tentato invano di giungere“.
Tornato in patria, dopo un itinerario avventuroso, su cui é opportuno poi soffermarsi brevemente, l’esito delle sue ricerche venne accolto con molta incredulità.
Ai nostri giorni gli si accredita in genere la mera scoperta di un affluente del Nilo Azzurro. Accennavo poc’anzi al viaggio di ritorno, iniziato nel dicembre 1771: arrestato in un Sultanato dell’attuale Sudan, riuscì ad avere salva la vita e a riottenere la libertà combinando le sue doti diplomatiche con i buoni uffici – all’insegna degli ottimi rapporti maturati da lui in quelle contrade – di un governatore etiope; e arrivare al Cairo nel gennaio 1773, a Londra nel 1774, dopo un soggiorno in Francia.

Fonte: libweb5.princeton.edu

Questa mappa dell’Abissinia (nome a lungo usato, per lo meno in Europa, per definire l’Etiopia), stesa nel 1809-1810 da Henry Salt, altro grande esploratore, sulla base di osservazioni dirette sul terreno, ma anche di informazioni raccolte sul posto, certifica in una dicitura di essere tributaria per il Nilo e zone circostanti (ad ovest del Samen) delle mappe di Bruce.
Di recente le esperienze di Bruce, a lungo dimenticato anche in Inghilterra, sono state narrate da Miles Bredin in un libro – non mi risulta ancora tradotto in Italia – dal titolo evocativo, “The Pale Abyssinian”, che spero si possa tradurre adeguatamente in italiano come “il pallido abissino”. Bredin sottolinea opportunamente che David Livingstone riteneva Bruce “un viaggiatore più grande di ciascuno di noi”. E che Bruce aveva vissute avventure così grandi – tra queste, accoglienze favolose da parte di principi africani ignoti in Europa, le scalate delle tremende montagne dell’Abissinia, la traversata del terribile deserto della Nubia -, avventure tali da farlo ritenere un bugiardo negli ambienti ufficiali britannici. Bredin, se ho capito bene una recensione del suo libro, si spinge sino ad insinuare una ricerca… dell’Arca Perduta, che in effetti una tradizione della Chiesa Ortodossa Etiopica reputa tuttora conservata ad Axum.
Credo che la grandezza di Bruce risieda soprattutto nell’avere osservato, e tramandato, con grande attenzione quanto il suo coraggio temerario lo portò ad esplorare. Forse ancora adesso si insinua talvolta che il vero scopritore, europeo, delle sorgenti del Nilo Azzurro verso il 1604 sia stato Pedro Páez Jaramillo, gesuita e missionario spagnolo, che scrisse anche una Historia de Etiopia (1622) e, a quanto pare, primo europeo ad assaggiare il caffè. Affermazione che, vedo su Google Libri, faceva sua nel 1850 anche l’italiano l’italiano Giulio Ferrario in una sua corposa opera. Páez cui si attribuisce la frase “Confesso che mi rallegra vedere quello che avrebbero voluto vedere il re Ciro, Alessandro il Grande e Giulio Cesare“. Ma questa scoperta da molti, compreso a suo tempo lo stesso Bruce, viene ritenuta un’invenzione di Athanasius Kircher (1602–1680), noto gesuita, filosofo e storico tedesco, che invero molto sentiva il senso di appartenenza.
A prescindere dal fatto che le scoperte sono tali, quando ne derivano effetti concreti, credo che a Bruce la sorte abbia riservato diverse beffe: avendo lui descritto molte bene il Lago Tana, la più grossa é quella che oggi si ritiene – aspetto a lui ignoto! – che il Nilo Azzurro sia un emissario del Lago in questione.
Sono ricorso per l’immagine, di cui all’inizio, ad una stampa, di tutta evidenza, italiana (del 1820, disegno di Bramati, incisione di Rados; e la voce di catalogo attribuisce la scoperta delle sorgenti del Nilo a Bruce) per una sorta di omaggio a questo affascinante viaggiatore, che anche per sue pregresse esperienze nel Mediterraneo, specie in Algeria, non mancò, inoltre, di tramandare – altro capitolo importante! – le sue acute osservazioni sui resti materiali delle antiche civiltà egizia e romana.

Carte geografiche antiquarie

Le immagini, che precedono afferiscono un’opera del 1572, “L’isole più famose del mondo” (uscita a Venezia in tre volumi di 47 carte incise su rame da Gerolamo Porro, ampliato e riedito dopo quattro anni e ristampato più volte entro il 1686), di Tommaso Porcacchi, autore molto poliedrico (contribuì, tra l’altro, a editare gli ultimi cinque canti del “Furioso”): fanno parte – devo aggiungere – di una vera rarità bibliografica.
In questo caso credo sia da sottolineare l’attenzione posta anche in Italia alla geografia di luoghi lontani e esotici, non molto dopo l’avvio delle conquiste coloniali e dei viaggi di esplorazione europei.
Il Dominio di Terraferma della Repubblica di Genova e la città vista dal mare: lavoro di Johan Baptist Hormann (1664-1724).
Ho desunto informazioni e icone una volta di più da Cultura-Barocca.
Nell’occasione, volgo un riconoscente pensiero a quanti conservano, pur fra tanta incuria pubblica verso la cultura, libri e documenti preziosi, a quanti li consultano e studiano in ambienti in genere come minimo polverosi anche a fini divulgativi e non solo accademici, a quanti, soprattutto, digitalizzano, sempre in simile contesto, immagini, ritengo importanti perché antiquarie, come quelle che qui pubblico.