Storie un po’ così

Li avevo persi di vista da anni…
L. veniva a scuola in pullman da un paesello e come tanti adolescenti pativa quel tipo di locomozione. Cambiò per l’Istituto di Ragioneria, nel quale conseguì una sorta di borsa di studio per frequentare un anno di scuola (validato) in America ai fini di fare pratica di inglese. E all’epoca un po’ di invidia la provai. Anche perché ai liceali quei percorsi erano forse preclusi. Laureato, era ancora timido in pubblico, sì da chiedermi se poteva venire a presentarmi in qualche comizio nell’entroterra: per farsi le ossa a parlare in pubblico. Di sicuro più tardi, se non prima, frequentò N. e S. Divenne manager, prima in banca (lo incontrai per caso davanti al Duomo di Milano), poi in un’industria. Quando lavoravo ancora lo vidi di sfuggita qui in Riviera. E  mi persi in seguito i suoi numeri di telefono. Negli ultimi tempi ci siamo rivisti, ma sempre di fretta…
P. non credo abbia mai conosciuto gli altri di cui accenno. Era creativo ed estroso già da ragazzo. Per lui i viaggi in autostop erano una dimensione esistenziale. Mi lasciai coinvolgere, se non proprio da lui, da altri amici, ma si era tutti assieme a fare squadra, in quello che per me fu un mezzo viaggio, comunque interessante, ma per lui e per B. un giro in mezza Europa. Oggi é un versatile artista affermato. Poeta, anzitutto. Ecco, lui l’ho un po’ recuperato tramite Facebook.
G., anch’egli come P. di immigrazione siciliana, faceva il frontaliere nel Principato, quindi si alzava prima dell’alba, ma non mancava mai alle discussioni ed all’impegno del tormentato inizio anni ’70. Una sua leggera operazione mi fece conoscere, da visitatore, l’Ospedale di Monaco. Protagonista di un memorabile viaggio in auto (cui non potei partecipare perché decisamente impegnato sul campo)  in Francia con N. e S., dai cui resoconti ho attinto molti particolari per le mie storie. Conobbe una bella granatiera di norvegese che felicemente sposò. E fece il tranviere ad Oslo. Lui l’ho intravvisto a Ventimiglia già pensionato, con splendidi figlioli e matrona ancora più radiosa. “Ci vediamo.”. “Quando torno, ci sentiamo!”. I saluti ce li scambiamo tramite i suoi fratelli. Quando capita. Ma poi ci siamo rivisti più spesso, si può dire ogni anno. E tante vicende e tanti amici abbiamo rivisitato con i nostri discorsi appassionati. Soprattutto mi ha fatto conoscere buona parte della storia affascinante della famiglia di M.P., la prima moglie di N., venuta ad abitare dopo la pensione nei nostri luoghi, e che G. passa a trovare ogni volta che scende in Riviera.
N., d’immigrazione dal Polesine (e al secondo matrimonio di S. mi raccontò di sue ricerche storiche locali), faceva il bracciante nella campagna epicentro de “La curva del Latte” di Nico Orengo. Alle due di notte teneva testa a Francesco Biamonti in quelle lunghe discussioni nelle quali il romanziere di San Biagio della Cima, che non aveva ancora esordito come tale, dimostrava una sua grande dote, mai appieno oggi rammentata: la sua grande signorilità. N., dalla grande dialettica e dalla grande erudizione da autodidatta, conobbe una graziosa insegnante di Milano, la M.P. cui ho già accennato. Ne conseguirono l’amore e il trasferimento a Milano. In una di queste tappe, forse quella definitiva, lo accompagnammo io e S. Gustoso l’episodio delle strelitzie, da lui portate alla fidanzata, che, dimenticate a mollo, stavano per trasbordare dalla vasca da bagno. N. vinse un concorso pubblico, studiò pur lavorando, conseguendo via via diploma magistrale e laurea. E di conseguenza salì, mediante concorsi, i gradini di una onorata carriera, in diversi comuni dell’hinterland della metropoli lombarda. Ma quel suo amore di gioventù finì già diversi anni fa. Otto anni fa ho rivisto anche lui. Da allora ci siamo rifrequentati ogni volta che è tornato a Ventimiglia (IM). N., che mi ha fatto conoscere parte dei materiali da lui raccolti per la sua poderosa tesi di laurea, dedicata alle lotte dei braccianti del Polesine nel secondo dopoguerra. Ed autore di almeno un intrigante romanzo, di cui mi donò copia, presentato anche a Ventimiglia (IM) da un altro amico di gioventù, B.E., in un incontro pubblico di cui non avevo recepito notizia, perché quando lavoravo ancora mi facevo sfuggire troppi eventuali appuntamenti per me allora di carattere privato. Eppure ero già in pensione da poco quando N. era sceso da Milano per relazionare a sua volta su di un libro. Per me doppia occasione persa in quel caso. Trattandosi di memorie di carattere sociale sulla Ventimiglia di poco precedente la seconda guerra mondiale, su Ventimiglia durante il conflitto (bombardamenti, antifascismo, padre e figlio ebrei tragicamente catturati per i campi di sterminio), su Ventimiglia della ricostruzione e di pochi anni dopo ancora (con tante persone che pur ho conosciuto o di cui ho sentito le vicende, spesso affascinanti, come quella di Libero Alborno, uomo non poi troppo rivisitato da Nico Orengo nel suo “La curva del Latte“, quando lo rende come protagonista principale). Perché autore di questo lavoro è C., quel C. che proprio insieme a N. fu determinante per farmi entrare in politica. N. mi aveva confermato che al secondo matrimonio di S. c’era anche L., che non compare, perché arrivato in ritardo da Milano alla cerimonia, nelle fotografie di quel giorno, in cui, invece, si può notare che facciamo gli spiritosi io, lui e S., con T. tutto serio, ma senza la… sposa. N. mi aveva, inoltre, integrato la vicenda familiare della sua prima moglie, in parte confluita in un bel libro, scritto poco tempo fa da MP. N. mi aveva autorizzato, facoltà di cui mi sono avvalso più volte e mi avvalgo tuttora,  a trascrivere suoi pensieri e suoi ricordi. Purtroppo è deceduto l’anno scorso…
Storie un po’ così.

Un ragazzo che lavorò alla curva del Latte

Lo stato attuale della campagna citata nel trafiletto, situata in Latte, Frazione di Ventimiglia (IM)

Non potevo dubitare che, quando conobbe Nico Orengo, autore anche de “La curva del Latte”, N. gli rammentasse che, certo anni dopo quell’ambientazione storica, nella campagna condotta dal protagonista lui, prima di diventare a costo di grandi studi e di pesanti sacrifici un importante dirigente in due diversi comuni dell’hinterland milanese, ci avesse lavorato da bracciante, ricavandone anche il ritratto affettuoso del figlio reale di quel personaggio, figlio cui Orengo, particolare non secondario a me sfuggito, aveva dedicato un’altra opera.

Quel Bar Irene a Ventimiglia (IM)

Ogni tanto qualcuno mi parla del Bar Irene di Ventimiglia (IM), che era, prima di un trasferimento in sede più capiente più o meno proprio di fronte, ubicato dietro una delle vetrine di questa fotografia.

Questo uno scatto di qualche anno fa. C’é stato, in effetti, nel frattempo qualche cambiamento ancora nella situazione negozi!

Ne scrive talora su Facebook, delineando pregevoli note di costume, l’amico Gianfranco Raimondo.

Il fascino – nella mia memoria – di quel locale, irradiato dal 1968 a metà anni ’70, prima di cambiare anche nome, stava nel fatto, per dirla in estrema sintesi, che fu luogo, pur essendo fisicamente un semplice ritrovo come potevano essere tanti altri, di confronto civile e culturale per molti giovani e molti adulti.

La porta a destra, sotto il porticato, corrisponde alla vecchia sede della Camera del Lavoro di Ventimiglia (IM)

Mi riesce difficile spiegarne le ragioni: di sicuro giovò la presenza di un cinema, poi chiuso come tanti altri, e della Camera del Lavoro, oggi in una sede più grande a poche decine di metri di distanza.

L’ha conosciuto bene N., purtroppo scomparso prematuramente pochi mesi fa, N. che da più di quarant’anni era emigrato nelle vicinanze di Milano. N., che pochi anni or sono infine ritrovavo, come sempre colto ed acuto osservatore, in più temprato anche dalle importanti vicende culturali di una vecchia Milano, quella della Casa della Cultura, per intenderci, aveva di quel Bar Irene più in mente, o a cuore, persone anche dalla vita pittoresca, che credo di avere individuato anche in un pezzo di notevole pregio stilistico di un altro nostro conoscente, pezzo che prima o poi mi devo decidere a pubblicare. Solo che a quel Bar era lui soprattutto, N., quello che faceva interminabili discussioni con Francesco Biamonti… e talora poteva accadere che alle due della mattina il giovane proprietario, che di lì a poche ore avrebbe rialzato la saracinesca, appoggiato tutto assonnato al muro, assistesse in esterno con me e J. alla continuazione di uno di quei duetti.

Vi passarono in quegli anni uomini molto significativi. Francesco Biamonti, non ancora famoso e sempre disponibile a discutere. Di Elio Lanteri, emerso come scrittore originale di questo entroterra solo poco prima della morte, voglio ricordare la carica umana non usuale. Di Guido Seborga non sono del tutto sicuro di una sua qualche presenza al Bar Irene, ma la fugace conoscenza che ne potei personalmente avere l’ho ricavata di sicuro per occasioni maturate tra quelle mura.

Infine, arrivando al punto cui ho già accennato in premessa, una testimonianza già pubblicata del Maestro Scultore Elio Lentini, raccolta con usuale competenza da Bartolomeo Durante, che pur frequentò in quegli anni quel locale, fa vibrare ben altre intense corde di quelle che son capace di toccare io. Ne stralcio qualche passo qui di seguito: “La Ventimiglia che non c’è più: anni ’60 – ’70 l’ “Accademia” estemporanea del bar Irene … Aniante, Comisso, Laurano, Morlotti, Biamonti e tanti altri intellettuali nel ricordo di un protagonista: il Maestro Scultore Elio Lentini … Eran altri tempi, di ideologie e di passioni, tempi anche controversi intrisi comunque di sogni. L’autografo del Maestro Elio Lentini, che fu testimone di quella stagione, permette di riviverla assieme a personaggi divenuti celebri e con altre persone dimenticate anche contro la ragionevolezza. E’ uno spaccato di storia intemelia ma non di una storia ordinaria … in un modo o nell’altro i protagonisti di quella stagione, sempre sospesa sugli equilibrismi di quell’epoca controversa che corre dal ’68 ai primi anni ’70, hanno lasciato in molti un ricordo profondo … e anche degli insegnamenti.” Aggiungo, infine, che qui si trova la continuazione di questa testimonianza, in una pagina molto intensa, ancorché dettagliata.

Ed oggi, che, dopo una lunga assenza dalle scene, il nome di Bar Irene é risorto a qualche centinaio di metri di distanza da quel primo locale, constato che chi mi ricorda i lontani tempi di quell’esercizio pubblico appartiene per lo più alla sfera di una pregressa semplice vita di relazione.