La Terza Cultura per evitare un nuovo Medio Evo
Oggi, c’è un difficile rapporto tra le scienze umane e le scienze sperimentali. Le prime, arroccate in un mondo isolato fatto di sapienza non-empirica che dà della realtà una visione pessimistica, proiettano il cultore verso il passato. Le seconde, invece, grazie a tutte le straordinarie scoperte che consentono un ampliamento della conoscenza e tendono per loro natura alla ricerca della verità , proiettano il cultore verso il futuro secondo una visione ottimistica. Una rivoluzione in atto, dunque, che sta portando l’uomo a vedere non solo il macrocosmo in cui vive ma anche il microcosmo di cui è fatto, a cambiare continuamente sia il modo di vedere la vita che quello di interpretare il mondo e l’universo. Le vecchie entità e i loro mezzi che governavano l’umanità sono in crisi. Nel 1991, John Brockman, presidente della Edge Foundation, in un saggio dal titolo The Emerging Third Culture, scriveva “Negli ultimi anni il campo di gioco della vita intellettuale americana si è spostato e l’intellettuale tradizionale ha assunto un ruolo sempre più marginale. Un’istruzione in stile anni Cinquanta, basata su Freud, Marx e il modernismo, non è una qualifica sufficiente per una testa pensante del giorno d’oggi. Di fatto gli intellettuali tradizionali americani sono in un certo senso sempre più reazionari e spesso fieramente (e perversamente) ignoranti di molti significativi conseguimenti intellettuali della nostra epoca. La loro cultura, che disdegna la scienza, è spesso non empirica. Utilizza un proprio gergo e lava in casa i propri panni (più o meno sporchi). È perlopiù caratterizzata da commenti di commenti, e la spirale di commenti si dilata fino a raggiungere il punto in cui si smarrisce il mondo reale”(da John Brockman – I nuovi umanisti – Garzanti, 2005). Tra gli intellettuali tutto ruota attorno alla parola spesso priva di fondamento. Si prospetta necessariamente, per questo, l’avvento di una terza cultura, in cui gli umanisti dovrebbero pensare come gli scienziati e gli scienziati come gli umanisti, perché in fondo ciò che accomuna gli uni agli altri sono i sentimenti che esprimono e la passione che mettono nel loro lavoro. Cambia il substrato del loro studio, ma ciò che opera è sempre e soltanto la mente umana. Si prospetta un nuovo umanesimo!
La terza cultura altro non è che l’unione tra la cultura umanistica e quella scientifica, la cui separazione ha creato e crea dei compartimenti stagni culturali dannosi, perché limitando la visione critica del mondo, costituiscono un freno allo sviluppo della conoscenza a livello individuale e alla risoluzione dei problemi collettivi.
Oggi, dunque, che la Scienza, frutto del pensiero dialettico (non è un caso che il metodo scientifico abbia ripreso il suo cammino nel XVII secolo, dopo un letargo di circa duemila anni, grazie non solo a Galileo Galilei ma anche al ripristino della filosofia epicurea, fautrice della libertà di pensiero, che subentrò prepotentemente alla filosofia aristotelica che invece ne era stata inibitrice), sta progredendo esponenzialmente,bisognerebbe far meno uso del dogmatismo, o , più precisamente, di un’educazione di stampo catechetico che insegna a obbedire, a eseguire ciò che viene comandato e impedisce all’individuo, sin dai primi anni di vita, di pensare in modo autonomo e creativo. Il dogmatismo porta l’individuo, di fatto, ad acquisire, sin dalla tenera età, insegnamenti e precetti che gli vengono posti come verità assolute, indiscutibili, inoppugnabili. Ciò lo condiziona e gli chiude la mente rispetto all’indagine di nuove frontiere speculative, a causa della categorizzazione del lavoro di un determinato settore, dove egli è costretto a ripetere, anche se apparentemente diversificato, per tutta la sua vita, ciò che gli è stato insegnato. Conseguentemente si crea una voragine tra i progressi scientifici e il suo livello di conoscenza. Ripetere non significa creare cose nuove, ma vuol dire produrre cose con stampo predeterminato e inibire l’ingegnosità.
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