di Filippo Pavone
Come sempre, partiamo dal dizionario che la definisce la gioia come lo “Stato o motivo di viva, completa, incontenibile soddisfazione”, ma ancor più mi è piaciuta “Movimento o stato d’animo, che per qualsiasi ragione rallegri o piacevolmente commuova”.
La gioia, quindi, è qualcosa di più che una semplice emozione strettamente legata ad una sollecitazione esterna, è lo stato d’animo, più o meno stabile, dell’essere umano appagato, dell’essere umano che agisce per soddisfare i propri bisogni, spirituali o materiali, legati alla propria autentica natura.
E’ un concetto abbastanza semplice da comprendere, un po’ meno da attuare, considerata la difficoltà di riconoscere la propria autentica natura, ma ciò che ho trovato Vera-Mente sorprendente è l’aver scoperto che la Gioia è la nostra condizione naturale in assenza di sofferenza.
Da molto tempo mi interesso alle filosofie orientali e non mi ero mai spiegato perché il Buddha definisce l’illuminazione come “la fine della sofferenza” declinandola in tutte le sue accezioni (le quattro nobili verità: esiste la sofferenza, il desiderio è la causa della sofferenza, si può uscire dalla sofferenza, l’ottuplice sentiero per superare la condizione di sofferenza). Non una sola parola su cos’è il nirvana.
Solo di recente, banalmente guardando un video su Youtube, ho trovato una risposta per me soddisfacente. Ebbene, dopo aver immaginato l’universo come un insieme infinito di galassie immerse nel buio etere, torniamo nella nostra camera da letto e spegniamo la luce; il buio è già lì, non deve essere portato. Il buio non è qualcosa, ma l’assenza di qualcosa, l’assenza di luce. Per questo il Buddha non ci spiega la gioia, che è la nostra condizione naturale e non deve essere portata, ci indica la strada per “spegnere” la sofferenza.
Volendo affinare il ragionamento, premesso che nella fisica quantistica si parla di sovrapposizione degli stati, un emissione luminosa, per esempio, assume contemporaneamente la forma di onda e di particella e tornando nella nostra camera da letto, possiamo immaginare che anche in presenza di luce il buio, sotto forma di potenzialità, non cessa di esistere. Non è vero il contrario, quando la lampadina è fulminata la luce cessa definitivamente.
Trasferendo il concetto: mentre stiamo soffrendo, su un piano differente conserviamo tutta la potenzialità di tornare alla nostra condizione naturale di gioia e non è vero il contrario.
Se comprendiamo la nostra sofferenza nei suoi stati ripetitivi in cui si protrae, la stiamo già lasciando andare e stiamo permettendo alla gioia di affiorare naturalmente.