di Filippo Pavone
Nessuno si salva da Solo, questa convinta visione di una società ideale dove l’esperienza di vivere è strettamente connessa con quella del tuo prossimo è la molla che ci ha spinto al mondo del volontariato.
E’ così che io e mia moglie MariaPia, poco più che cinquantenni di origine partenopea e ragusani di adozione con un passato tutto sommato sereno e intenso, abbiamo deciso di contattare Casa Rosetta e di trascorrere lì la notte della vigila del Natale scorso.
L’emozione ci ha rapiti già qualche giorno prima, mi rivedo mentre camminiamo divertiti e spaventati nei corridoi di un grande negozio di articoli sportivi rileggendo il “pizzino” che Arcangelo ci ha dato: cinque nomi e cinque età 13, 13, 14, 16 e 19. L’intento e quello di donare loro qualcosa di ludico e inutile da mettere sotto l’albero, i ragazzi, come noi, hanno fame di normalità di caldo buono, almeno cosi immaginiamo.
Ci siamo presentati lì nel pomeriggio della vigilia, ad accoglierci è Chiara operatrice del centro, alcuni dei ragazzi stanno giocando ai videogame, il primo contatto è diffidente, di studio, il centro è addobbato di tutto punto.
Ci adoperiamo in cucina per preparare il cenone, da qui i primi timidi contatti per creare una qualche relazione, man mano – all’apice di un crescendo – i ragazzi ci sorprendono facendoci ascoltare la loro musica, un RAP di ritmi tribali a noi sconosciuto, ma non ci perdiamo d’animo, controbattiamo prontamente infliggendo loro il nostro rock anni70 e finiamo tutti a ballare, Salvo – altro operatore del centro – compreso.
Poi la cena, le risate fragorose, la tombola (quella napoletana in cui il numero deve essere indovinato) e allo scattare della mezzanotte … la nascita del “Bambinello” e finalmente il fruscio della carta da regalo.
Nulla di straordinario, era questo il nostro proposito, solo il calore dello stare insieme a fare famiglia. Perché famiglia, al di là del significato anagrafico e della sterile retorica, è quel posto dove ognuno di noi si sente a proprio agio perché è l’amore disinteressato a guidare le relazioni.
Quei ragazzi sono persone speciali, posso leggere nei loro occhi tutto lo smarrimento del mondo e tutta la forza della speranza.
Io non conosco le loro storie e neppure mi interessa, sono persuaso – come dice il maestro di KungFu Panda – che il passato è storia, il futuro è un mistero, ma il presente è un dono! Sono le nostre azioni, ossia il passo che stiamo per compiere, a determinare chi siamo, cosa diverremo e, finanche, cosa siamo stati.
Da qui la mia collaborazione costante con il centro, il Kung Fu io conosco ed il Kung Fu insegno ai ragazzi che desiderano impararlo.
Kung Fu è una parola cinese che significa “duro lavoro” o “uomo meritevole”, il serio e quotidiano allenamento ti permette di comprendere, per esperienza diretta, che nulla di ciò che è veramente importante ti può essere regalato. Ogni conquista è il risultato – non garantito – di un serio lavoro. Questo vale nello sport, ma soprattutto, vale nella vita e nelle relazioni con il prossimo.
Attraverso il Kung Fu si impara a conoscere i limiti del proprio corpo per comprenderne e accrescerne le possibilità, ancorché sconosciute, generando un attitudine mentale che si rivela preziosa quando la vita di frappone degli ostacoli sulla tua strada. La forza di un atleta non si misura non suoi muscoli, ma dalla capacità ci conservare presenza e capacità di riflessione nei momenti critici della vita. Infatti, la parola coraggio, in cinese, è un ideogramma composto da tre ideogrammi: figliolo, misurare e forza che si traduce in “Il giovanotto che conosce la sua forza”, ossia la qualità che ci permette di produrre una azione giusta e equilibrata che ci porta esattamente al nostro fine, senza esagerazioni né mancanze.
E ancora, la pratica insegna ad agire nelle relazioni, sia quando queste sono “orizzontali” (amici, fratelli di pratica), sia quando queste si svolgono su un piano “verticale” come, per esempio nei confronti dell’istruttore: puoi scegliere se praticare o meno, ma se pratichi devi accettare la benevola autorità esercitata dall’insegnate che in cinese, non a caso, si chiama “ShiFu”, letteralmente “Maestro Padre”; accettare e riconoscere l’autorità per imparare e crescere .
Per tutte queste ragioni credo la pratica del Kung Fu possa vera-mente contribuire alla crescita di questi adolescenti, permettendo loro di veicolare un energia – non comune – accumulata nel dolore in forza vitale e non in rabbia devastatrice.
Fare un Bilancio ??? non è possibile, non sempre i ragazzi seguono il mio corso con continuità, fatta eccezione per qualche appassionato; ma non è questo il punto, credo sia importante esserci per essere uno dei punti di riferimento. Dal canto mio, questa è un’occasione proficua sia dal punto di vista umano che tecnico, l’insegnamento è la migliore modalità di apprendimento e l’affetto dimostrato da tutti i ragazzi del centro e per me motivo di gioia autentica e divertimento.
Hi 🙂 Thank you for the auspicious writeup. It if truth be told was a enjoyment account it. Glance complicated to far introduced agreeable from you! However, how could we keep in touch?