Su sofferenza e Geniosi-terapia
Ci chiediamo quale ruolo specifico possa ancora avere l’ipnosi-terapia(geniosi-terapia) in un momento nel quale i cambiamenti sociali e culturali sono in rapido mutamento e la terapeutica farmacologica e chirurgica ha raggiunto vette di notevole rispetto.
Intanto va ricordato che malgrado i risultati ottenuti dalla ricerca scientifica in medicina e le conseguenti applicazioni terapeutiche, la sofferenza e il dolore dell’uomo nelle loro manifestazioni psicologiche e somatiche continuano a mietere vittime e questo perché, forse, il dolore e la sofferenza non possono essere completamente eliminati dalle dinamiche dell’esistenza per la specifica funzione che essi hanno.
Il dolore ha una funzione fondamentale che non sempre è compresa da coloro che lo vivono e l’atteggiamento prevalente di fronte al fenomeno del dolore è di difesa, di rifiuto e di ribellione.
L’intima funzione del dolore è biologicamente costruttiva ed è fondamentale nell’economia della vita come ricostruttore di “ordine” e stimolatore di attività cosciente.
“Il dolore è parte integrante della vita dell’uomo con funzioni evolutive importanti, e quindi irriducibile fattore sostanziale che impone l’evoluzione” .
La medicina e la farmacologia si orientano alla eliminazione delle cause immediate del dolore senza considerare che, ad una osservazione più profonda, si evidenzia che esso è risposta ad una causalità più vasta in cui rientrano dinamismi sia fisiologici, sia psicologici e sia spirituali.
Il dolore va sì eliminato, ma occorre comprenderne il significato, esso è conseguenza della nostra libertà di uomini e della nostra ignoranza delle leggi che sostengono la vita: è il dolore che, educativamente, evidenzia l’errore del nostro agire.
Le nostre illusioni, soltanto perché credute vere, non mutano la legge che, comunque, attraverso il dolore si fa comprendere.
Cito Pietro Ubaldi che nella “Grande Sintesi” scrive: “L’uomo nella sua ingenuità pretenderebbe di violare e modificare la Legge piegandola a se stesso, è pieno di illusione di potere e di saper tutto e tutti frodare, si ride delle reazioni e considera il fratello caduto come un fallito, invece di tendergli la mano perché gli sia resa quando alla sua volta cadrà.
Dovrebbe invece comprendere che in un mondo in cui nulla si crea e nulla si distrugge, anche nel campo delle sottili qualità morali, non si neutralizza un effetto se non riconducendolo invertito alla causa, perché ivi trovi la sua compensazione; non si annulla una quantità di carattere cosciente e morale, se non viene riassorbita nella vita.
La miope mentalità moderna (Ubaldi scriveva negli anni ‘30) si limita al gioco della difesa immediata contro una forza che ritorna sempre, con una fatica continua la scaccia invece che assorbire lo sfogo che la esaurisce e, per non vedere e per stordirsi nel godimento, la ingigantisce con nuovi errori che ritornano sempre in forma di nuovi dolori.
E così uomini e classi sociali e nazioni si passano l’un l’altro questa massa ingombrante di debito che fa il giro di tutti, passa di generazione in generazione e resta sempre la stessa perché riassorbita da nessuno.
Cristo che muore in croce redimendo con la sua passione l’umanità, è il simbolo grandioso che riassume e convalida questi concetti.”
Se è così non ci libereremo mai dalla sofferenza? Come uscirne?
Soltanto l’evoluzione della coscienza ci libererà dalla sofferenza.
“Se il dolore fa l’evoluzione, l’evoluzione annulla progressivamente il dolore. (…) L’annullamento del dolore si opera coraggiosamente attraverso il dolore” .
Lo sviluppo della coscienza è graduale e mediato dall’esperienza pertanto occorre anche saper subire le reazioni di cause attivate in passato; perché il dolore è sempre effetto di una causa attivata, e in ciò ci aiuta il concepire il dolore non come un male dovuto al caso ma come “una forma di giustizia, come una funzione di equilibrio che insegna all’uomo, pur rispettandone la libertà, le vere vie della vita e lo ‘costringe’, dopo tentativi ed errori, per l’unico cammino possibile: quello del proprio progresso” .
Diversi sono i modi di soffrire: Più è basso il livello di coscienza, più è greve la sofferenza, come testimoniano le tre diverse grida dalle tre croci uguali sul Golgota.
Al livello più basso “il dolore è sconfitta senza pietà, l’essere soffre nella tenebra, solo, pieno d’ira, in uno stato di miseria assoluta, senza luminosità spirituali compensatrici. È il dolore del dannato, cieco, senza speranza.”
È la croce del ladrone nel racconto di Luca; la croce della maledizione, che è disperazione, conseguenza dell’aver agito nella massima ignoranza della Legge.
Ad un livello superiore, “la coscienza si desta, pensa e riflette; lo spirito ha il presentimento di una giustizia, di una compensazione e di una liberazione e spera.
È il dolore tranquillo di chi sa ed espia, è il purgatorio confortato da una fede; la pena si arresta alle porte dell’anima che ha un suo rifugio di pace. La mente analizza il dolore, ne scopre la causa e la legge, e lo accetta liberamente come atto di giustizia che porterà alla gioia; di un tormento fa un lavoro fecondo, uno strumento di redenzione” .
È la croce dell’accettazione, della sopportazione, la croce del “buon ladrone”.
A questo livello di coscienza il dolore ha perso molto della sua virulenza.
Crescendo in consapevolezza il dolore è sempre più confortato dalla speranza, l’anima è sempre più corazzata rispetto agli attacchi. La visione delle cose si amplia, c’è profonda sensazione di giustizia e ottimismo. “In mezzo alle dissonanze dell’ambiente si forma nell’animo un’oasi di armonia”.
Per gradi si giunge alla croce dell’accoglienza e dell’amore dove “il dolore perde il suo carattere negativo e malefico e si trasforma in affermazione creativa, in potenza di rigenerazione, in una corsa alla vita. (…) Il dolore, costringendo lo spirito a ripiegarsi su se stesso, prepara la via alle profonde introspezioni e penetrazioni, desta e sviluppa le sue qualità, altrimenti latenti, ne moltiplica tutte le potenze. (…) L’espansione della vita, costretta verso l’interno, raggiunge realtà più profonde e l’urto del dolore costringe sulle vie della liberazione. (…) (Agli alti livelli di consapevolezza) il dolore non è solo più espiazione che si conforta di speranza: è lo slancio frenetico delle grandi creazioni spirituali. (…) Il concetto di dolore-danno e dolore-male evolve così per gradi in quello di dolore-redenzione, dolore-lavoro, dolore-utilità, dolore-gioia, dolore-bene, dolore-passione, dolore-amore. Vi è come una trasmutazione del dolore nella legge santa del sacrificio. In questo paradiso, il miracolo del superamento del dolore attraverso il dolore è compiuto.”
L’evoluzione della coscienza è l’annullarsi del dolore nella sua causa; scompare ogni violazione della Legge da parte dell’Io in seguito al raggiungimento della loro unificazione con la caduta del disaccordo e lo sviluppo dell’armonia.
“Il male transitorio, lo stridor delle violazioni, l’urto violento tra la libera azione e la legge, si esauriscono nella loro funzione.”
Comprenderà il lettore come nel contesto di tale concezione della sofferenza, che non è certamente quella condivisa universalmente, ci si debba porre il quesito di che cosa possa voler dire: fare terapia.
È opportuno definire che cos’è che cura, qual è l’agente terapeutico e quale spazio può essere riservato all’ipnosi (geniosi).
Intanto va ricordato che i termini terapia e terapeuta derivano dalla parola greca therapeýô che esprime un doppio significato: io servo e io curo (io aiuto), e fu quindi usata nel tempo con significati diversi. In passato si dicevano terapeuti gli esseni ebrei che conducevano vita austera di contemplazione e, più tardi, i cristiani che vivevano nelle solitudini dell’Egitto e, rinunciando ai beni terreni, pregavano e digiunavano in attesa della vita dopo la morte.
Oggi con terapia si indica quella parte della medicina che si occupa della cura delle malattie.
In relazione alla concezione del dolore esposta è terapeutica quell’azione che aiuta il paziente a liberarsi dai suoi condizionamenti costrittivi e a progredire sul sentiero dell’evoluzione di coscienza e non soltanto quell’azione che mira unicamente alla soppressione del dolore in modo indiscriminato, .
Non affermo che il dolore non debba essere soppresso, anzi, ma che non deve solo essere soppresso.
Il terapeuta che orienta la sua azione alla mera soppressione della sofferenza senza farsi carico del suo significato per il soggetto priva il medesimo di uno stimolo fondamentale al suo progresso, rallenta la sua evoluzione; diverso è se lo aiuta a scoprire il senso del suo dolore e a superarlo.
Nel primo caso costringe il paziente nell’ignoranza e lo predispone ad ulteriori attacchi del male, nel secondo caso contribuisce a liberarlo realmente.
L’ipnosi è un dinamismo psicosomatico di notevole potere ed è mia convinzione che debba essere impiegata unicamente con finalità evolutive addestrando il paziente a gestire sempre più consapevolmente la potenzialità ideoplastica della sua rappresentazione mentale, non nell’ottica miope della soppressione del dolore a tutti i costi, ma nella direzione della comprensione e dell’accoglienza degli effetti di cause attivate per ignoranza in passato, aiutandolo a ricostituire l’equilibrio perso ed evitare futuri errori.
Accenno ancora all’agente terapeutico; in sostanza a che cos’è che cura.
La Società Italiana di Psicoterapia Medica ha dedicato il suo XXII congresso nazionale al tema dei: “Fattori terapeutici della psicoterapia”
Molti sono stati gli aspetti discussi: Catarsi; insight; la relazione terapeuta – paziente (setting: rapporto emotivo, empatia); le caratteristiche dello psicoterapeuta; la capacità di ascolto; motivazione del paziente; l’adattamento della psicoterapia alle esigenze del paziente.
Tutti aspetti, nella loro interazione, di grande rilevanza nella terapia ma ancora non dicono qual è il fattore che in realtà cura, producendo cambiamenti e salute.
F.Capra si chiede quale sia l’essenza della psicoterapia e in che modo produca i suoi effetti e, in suo libro , riporta il parere di alcuni psicoterapeuti contemporanei di successo:
per R.D.Laing, (Psichiatra inglese di formazione freudiana), la psicoterapia è essenzialmente un incontro autentico fra esseri umani. Per S. Grof, anch’esso psichiatra, perché la psicoterapia funzioni deve essere attivato nel paziente il potenziale di auto guarigione e una volta che il processo terapeutico sia stato iniziato il ruolo del terapeuta è quello di facilitare le esperienze emergenti e di aiutare i pazienti a superare le resistenze. O.C.Simonton (l’oncologo che dagli anni ‘70 impiega anche la visualizzazione in ipnosi per la terapia del cancro), ritiene che l’idea che, se si rivive il trauma questo viene risolto, sia imprecisa. Per lui la cosa importante non è il fatto di rivivere le esperienze passate, anche se ciò è senza dubbio molto utile, bensì la ricostruzione della realtà che si opera nel rivivere tali esperienze. L’integrazione intellettuale dell’esperienza è una cosa, ma la sua realizzazione pratica è un’altra cosa. Modificando il modo in cui si vive, esprimiamo nella realtà il mutamento delle nostre convinzioni. Questa secondo lui è la parte difficile della psicoterapia; tradurre nella pratica le nostre intuizioni profonde. Fin qui, quanto detto, si trova sui testi.
Nel corso della mia esperienza ho incontrato persone con vissuti straordinari e capacità di riportare i significati dei loro vissuti attraverso metafore e storie dai contenuti profondi e inquietanti.
Riporto a scopo esplicativo un dialogo di una paziente con una dimensione della sua interiorità, da lei definita suo “maestro interiore”, che si rivolgeva nel suo dire anche alla terapia e all’agente terapeutico:
“Attraverso di te anche lui (si riferisce al terapeuta) beve alla fonte della vita, perché te ho scelto come tramite perché la tua parola colpisca e raggiunga il suo cuore; perché una cosa importante consideri e capisca cioè abbandoni il senso quotidiano della vita e degli studi fatti, secondo cui la persona può migliorare e mutare, ma si rafforzi sempre più nell’idea che lo spirito solo può e fa.
Lo spirito solo agisce e pensa e tutto modella e plasma e niente e nessuno possono qualcosa.
Cioè capisca che si deve rafforzare questo pensiero con il tuo esempio.
Tu non capisci molte volte o meglio sei distante, quasi l’opposto di ciò che esce dalla tua bocca e quindi da ciò dovete capire che (nome proprio della paziente) può solo quando tutto dentro sarà in sintonia. Prima è tempo perso cercar di convincerla, e parole vane quelle con cui le si dice pensa così e fai cosà. Tempo perso se (il terapeuta) pensa di essere l’acceleratore nella vita e nell’evoluzione di alcuno, poiché in verità evoluzione non c’è, non c’è tempo, c’è solo la vita che vivendo si capisce e si riconosce.
Certo questo disagio leggero che sente è perché è ancora tanto legato ai frutti di ciò che fa e di ciò che vede fiorire in te. Ma non c’è frutto che non rispetti il suo proprio mese. Quando il fiore ha raggiunto il suo giusto fiorire nel caldo e nel tempo che fa e nel silenzio che c’è, perde i suoi stami e lasciandoli alla brezza, va a dar vita ad altri fratelli.
Ecco la fioritura è sempre mia (dello Spirito), voi non siete che i servi, affinché capiate che ignominioso è servire. Chi serve non può essere libero.
Ecco gli stami sono le parole che escono dalla bocca dello psicologo, quelle di cui lui è messaggero agli altri. Ma non c’è un tempo immediato, non tutto quel che scende dal fiore, che esso abbandona al vento va e trova il terreno da fecondare e feconda. Su questo deve stare attento.
Dunque non avverta l’inutilità delle parole che dice giacché niente è inutile e niente indeciso, niente esce dal mio stupore e dalla mia meraviglia! Niente è a caso, niente è per niente. Ma attendere non spetta a lui. (…) Dunque non si operi più di tanto a far capire, conduca le parole con amore fuori dalla sua bocca, affidandole come gli stami al vento e il vento soffia dove vuole, sono io il responsabile non lui. Dunque non s’accanisca e non s’interroghi sull’inutilità di ciò che fa per gli altri. (…)
Liberate lo spirito, non correggete l’uomo, sarà lo spirito che prendendo le redini lo ringiovanirà e lo convertirà, lo armonizzerà e lo muterà davvero.”
E in altra occasione rivolgendosi direttamente al terapeuta: ”Ciò che conta è il punto di vista, l’imparziale realtà che ti contiene contro la parzialità delle tue vedute. Ricordi il bosco?
Ecco se un arbusto guarda la vita come arbusto e non come bosco, non sarà mai contento di sé e vorrà sempre di più e mai avrà pace per il suo cuore.
Poiché nato arbusto vorrà forgiarsi in un solido albero e albero vorrà toccare con le sue fronde l’amato cielo e lassù ancora vorrà essere cielo stesso, e ancora di più.
Questa è la parzialità della domanda che ti viene posta dai tuoi pazienti e questa è la parzialità dell’umana risposta.
Colui che viene da te vuole innanzitutto “cambiare”
Or bene, e il cambiamento che cos’è se non l’ennesima fuga?
Non c’è modello di normalità cui riferirsi se non alla traccia che il Sé lascia in ognuno, e questa traccia che apre il cuore e svela l’illusione, è appunto la diversità, il vostro guaio.
Altrimenti a che la diversità? A che l’univocità che nella plurimia si esprime? A che la plurimia che è l’unico stesso?
Non commettere dunque più l’errore di voler guarire per poi offrire così molto di meno al tuo paziente.
Il “male” del fratello va guardato come ottima cura per lui per guarire dall’unico vero male, l’illusione.
Allora tu perché pretendi d’essere un guaritore d’anime?
Puoi questo tu davvero? Davvero sei ancora perso in questi giochi infantili che ti fanno più grande di ciò che sei?
Ora il fatto che tutto ciò ingigantisca il tuo ego, credimi mi fa solo sorridere, e certo su questo non ho nulla da aggiungere a ciò che il tuo cuore già sa. Considera solo che così facendo tu ti dai un compito che invero non ti spetta.
Ma ciò che mi interessa è che prendendoti per ciò che non sei nascondi al tuo cuore ciò che realmente sei e dunque realmente puoi dare.
Di sapere chi sei mostri desiderio e hai fame, dunque io ho il pane per te.
Ma guarda fra tante meraviglie quale ti consola di più? Il fatto che qualche tuo paziente esca dalla terapia. Perché? Perché camminerà con le sue gambe? Tu credi? E glielo hai realmente insegnato? O lo hai solo soccorso nelle sue ferite negando così anche a lui di conoscere chi realmente è?
Non fraintendermi. Qualunque sia il tuo intendimento è tuo e come tale buono di per sé! Io non sono venuto a discutere su “che” intendimento ma a porre l’accento stesso sull’intendimento.
Perché ti chiedi di più di ciò che puoi?
Puoi tu guarire (nome della paziente) dalle sue paure o le donne mastectomizzate dal loro prossimo guaio?
Tu puoi spostare il punto d’attenzione e togliere l’intendimento. Non muoverti più per guarire.
Io increspo il mare perché voi, guardando all’orizzonte le onde alte, vi accorgiate e riconosciate del rettilineo calmo, pacato, orizzonte, l’immobile inconsueta stabilità.
Voi puntate la vostra attenzione sulle onde e continuate a giocare col mare che per calmo che sia mai potrà essere immobile in un assurdo gioco di saliscendi che vi vede ora vittoriosi, ora perdenti. Guardate l’orizzonte e lì soltanto fissate il vostro cuore e le onde di loro natura e di loro lena saliranno e scenderanno perché così, finché son onde in seno al mare, fino alla spiaggia devono arrivare.
Muoviti solo perché conoscenza sia! Non avere solo fretta che quel fratello cambi. Poiché se non avrà realmente capito a che sarà servito increspar onde che svelassero il silenzio?
Raccogli in silenzio il tuo cuore, con esso si cheti e si calmi come quando, perso in un sonno denso e profondo, non sa più chi sei e cosa vuoi. Allora, in questo vuoto senza intenzione di guarire ma con l’attesa di chi ascolta senza un fine cui dare avvio e sfogo, ascolta ciò che ti verrà proposto. Sia solo presente in te la compassione.
Ascolta questa storia.
C’era una volta una nonna che aveva un grosso guaio con il suo nipote più piccino. A letto quel bambino, non si capiva perché, ma non voleva andare. Dormiva dunque accoccolato asso-migliando più ad una bestia che ad un cristiano. Il gatto di casa dormiva come lui sul nudo pavimento della casa. Più volte la nonna aveva portato il piccino sopra il letto dopo che si era addormentato, ma lui in un gran sussulto si era svegliato e, piangendo come se lo avessero acciaccato, aveva fatto desistere la nonna dal riprovarci ancora.
Così andarono avanti le cose e il bimbo crebbe sempre nel suo modo strano di dormire, eppure crebbe sano, robusto e forte, e come tutti i bimbi della sua età intelligente.
La nonna, la cui età volgeva ormai all’ottantina, da molto tempo non aveva più alcun pensiero per quel nipote poiché a dire il vero, non considerava più una stranezza che quel bambino dormisse come i gatti.
Una notte si svegliò la nonna e avendo dimenticato il pitale fuori dell’uscio di casa, si alzò per andarlo a prendere e per far ciò dovette passare nella stanza del ragazzo.
Fu così che guardando senza intenzione alcuna, trovò il ragazzo nel letto addormentato.
Stranamente non provò nulla e andò per le sue faccende.
All’alba il ragazzo andò nei campi come sempre e tornato alla sera sua nonna gli domandò se ci fosse qualcosa di nuovo ed egli rispose: “Quello che già sai”
“Intendi dire che ora dormi nel letto” Chiese la nonna.
“Sì – rispose il ragazzo – perché stanotte ti ho udita sprangare la porta e ripassare nella mia stanza”.
Dopo un lungo silenzio il ragazzo disse: “Sai quando ho capito che avrei dormito sul letto?
Quando ho compreso che non ti interessava più, che mi volevi bene così. Nipote strano per te non ero più, e il tuo cuore faceva uno con il mio nel non considerar come diversa o folle o peggio colpevole o solo da mutar questa mia necessità”.
“Era una necessità?” chiese la nonna
“Sì, cos’altro credevi che fosse, forse un capriccio o un malanno?”
“Sì, così ho creduto a lungo” disse la nonna.
“Lo so voi genitori e voi maestri, dato che insegnate avendo in testa come deve essere un figlio o un allievo non riuscite neanche a riconoscere in colui che vi nasce in seno o vi è affidato, la sacra diversità che lo fa invero colui che doveva essere e sarà, pensando che quella cosa che lo rende a voi alieno sia solo un capriccio, un peccato, una mancanza di buona lena, un guaio.
Certo era una necessità affinché io accogliendo con grazia e umiltà nel mio cuore questa strana posizione che il mio corpo voleva e di cui abbisognava, aprissi con essa il mio cuore all’intera vita qual essa in me si voglia vivere e rappresentare senza che il giudizio, ahimè, morale ne adombrasse la sacralità del gioco”.
“Stanotte tornerai?” chiese la nonna.
“Strano davvero è l’umano cuore! Nemmeno di una notte foss’anche solo quella, ti accontenteresti?”
“No, qui ti sbagli tu, che qualcosa anch’io l’ho imparato e non sono davvero più contenta se tu dormi qui o là.
Stanotte un angelo di Dio nel sonno mi ha parlato e mi ha detto: “Nonna, non amare di più il tuo piccino se ora lo troverai a letto. Non lo blandire come non avresti dovuto per questo spronarlo a cambiare o per questo maledire, che davvero nulla ha senso se non di per sé, per quel che muove nel cuore di ogni uomo, poiché, vedi, anche come dormi tu a noi angeli fa davvero tanto ridere.
Vedi, noi che siamo angeli dormiamo in piedi sulle nubi d’oro del mattino in quell’unico attimo in cui il cuore dell’uomo si desta dal sonno e l’ego astuto giunge a dire ‘ecco son desto, ecco una nuova giornata tutta per me’.
In quel momento solo, noi sulle nubi dorate del mattino chiudiamo gli occhi al sonno perché Dio così vuole affinché noi non ci intromettiamo nel gioco dell’umano potere e dell’umano inganno.
E poi dopo che quel comando che getta nell’illusione l’intero giorno è stato dato, ecco noi apriamo gli occhi e torniamo a fare il nostro dovere all’insaputa dell’ego che si è imposto e s’è dettato re delle azioni tutte, e delle dolci astuzie della vita”.
Allora tu con serenità, (nuovamente rivolto al terapeuta) consapevole del fatto che ognuno custodisce in sé la risposta, sii certo tu per primo che tutto parte solo dall’accettazione innocente.
Fai solo attenzione a che l’accettazione sia “innocente” senza cioè vittimismo di chi “sopporti” per conquistarsi Dio e senza il fine spesso inconfessato di poter, così atteggiandosi, avere il “premio”.
Questo ovviamente non potrai pretenderlo né tanto meno insegnarlo poiché non “si accetta”, si è accettazione.
E non pensare di poter insegnare a tutti ciò che è stato scritto poiché se il riso è un ottimo cibo per tutti non è adatto a chi non ha i denti e a colui che per il gusto piccante dei cibi di cui si nutre lo giudicherebbe insulso sminuendone così la fragranza.
Stimola il loro cuore e non dare loro riso e anche masticato che così fa schifo a tutti e poi non se ne potrà più e lo si getterà alle ortiche e ai porci.
Non tutti abbisognano della stessa medicina e anche se essa è una sola, essa materna, si farà acqua per chi ha sete e pane per chi avrà fame.
E ricorda che colui che rifiuta di essere l’artefice dei suoi guai è sempre perché teme la colpa e il giudizio, dunque tu ponili di fronte alla determinazione del loro ego con grazia ed umiltà, che potresti spaventarli e così perderli.
Ricorda: muovi l’amore!! Dai sempre respiro e muoviti con timida mano, ch’essa non mostri mai un dito minaccioso e racconta nell’umiltà ciò che il tuo cuore sente”.
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