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La Feltrinelli
Scrittore
Un estratto dal capitolo Piazza, il primo del mio romanzo L’uomo che affittava i libri
…studiare lingue dell’est insieme alla giovane badante ucraina di Giovanna, l’anziana madre del calzolaio del paese, cambiò opinione, decise di vendicarsi nel pieno rispetto del criterio femminile della vendetta: contraccambiare, seppur in ritardo, gli anni senz’altro sprecati dentro quel legame vissuto in maniera corretta, dove sono bastati capelli biondi, occhi chiari, pelle color sbiadito per buttare anni, onore. Tiziana era splendidamente mediterranea, sempre, sopratutto adesso mentre s’avvicinava ancheggiando nel tubino.
“Salve. Ha un manuale serio su come conquistare le donne?”
“Donna Tiziana,” provava sempre soddisfazione nel chiamarla in quel modo dal sapore antico, allo stesso tempo definitivo nel distinguerla e a lei faceva piacere esserci chiamata. “s’esistesse, avrei solo quel libro in affitto, oltre al motocarro vuoto.” Al sorriso d’entrambi aggiunse: “Penso d’indovinare, non lo cerca per lei ma per i suoi concittadini.”
“Ecco un uomo sprecato per questo posto.” Concluse la frase con un altro sorriso poi, dopo averlo salutato, si diresse verso la farmacia. Se il corso della vita non avesse raggiunto quell’idilliaco momento dove le ondate di testosterone s’erano trasformate in debole risacca e il ragionamento preso potere, forse preludi della pace dei sensi, sarebbe partito lancia in resta alla conquista di quella Gerusalemme del desiderio. Veramente un gran bel sedere, concorde giudizio dei maschi presenti, tutti intenti nel seguirne il movimento.
Riprese il viaggio nella sua Africa personale, dove in quel momento soggiornava l’immaginazione.
Si spostò di poco sulla poltroncina, un raggio di sole, caldo quasi all’eccessivo, passava fra l’angolo della palazzina e il lampione; penetrava prepotente nella piazza dove gli edifici si mostravano in sintonia col resto del paese, semplici, privi di fronzoli, di certo nel sapore della discrezione: il comune, distinto dalle bandiere appese, la farmacia, l’unico negozio escluso l’alimentari-tabacchino-giornalaio-ferramenta ecc. ecc, il bar, poi la chiesa, con la facciata abbellita solo dalla classica scalinata ripida nel…
…quasi acquattato nell’erba alta, procedeva con lentezza, risolutezza, fissava di continuo, pronto allo slancio, la preda intenta ad abbeverarsi la probabile ultima volta. Tutto era immobile, anche l’aria, solo il millimetrico procedere della fiera distingueva il movimento da un’immagine fissa, quando, come per…apparve Don Giacomo Barberio.
Don Giacomo avrebbe diritto al titolo di miglior cliente, se pagasse qualche volta ma da buon sacerdote cercava d’ottenere senza pagarne il costo; in genere ci riusciva, sostenuto addirittura dalla comprensione delle circostanze nei suoi cosiddetti fornitori. Il prete potrebbe aspirare alla carica di santo ancora prima del tempo grazie ai miracoli realizzati: aveva ristrutturato la semplice chiesa in bilico fra rovina e crollo con le volontarie donazioni dei fedeli, definite da tanti rapine a volto scoperto; non contento delle offerte, aveva fatto impugnare sempre ai fedeli frattazzi e cazzuole, obbligandoli a impastare il cemento offerto spontaneamente dalla cementifera, dopo la decima o quindicesima visita, poi aveva messo mano ai locali dell’oratorio, sempre mediante il volontario aiuto dei fedeli, infine aveva ricavato due stanze dalla vecchia stalla espropriata a un parrocchiano molto devoto, per usarle come deposito dei generi destinati ai poveri. Il vero miracolo era che ci fossero ancora fedeli.
Abbastanza piccolo, occhiali spessi, capelli neri, buona parte lo avevano abbandonato, vestiva secondo l’ispirazione del mattino, talare o jeans; era stato visto sfacchinare con indosso la veste oppure svolgere gli uffici in borghese. Sembrava fosse appena sceso da cavallo, senza parlarci non avrebbe fatto grande impressione ma stava proprio qui la sua forza, la voce, possedeva quel qualcosa, forse il modo, che attirava, catturava, convinceva, soprattutto convinceva.
Giunto al motocarro restituì la ventina di libri affittati la volta precedente e ne prese altrettanti, li faceva leggere, d’obbligo, ai ragazzi dell’oratorio prima di permettere l’uso del campetto da calcio, un capitolo al giorno seguito…
INCIPIT
Il motocarro montava con fatica nella stretta via fiancheggiata da un lato da basse case color bianco vecchio, vecchie case dalle imposte bucherellate, scheggiate dai molti anni o dalla mancanza di buon mantenimento e, all’opposto, dal muro troppo basso persino come panchina, messo lì più che altro allo lo scopo di poter dire anche in questo luogo esiste la civiltà edilizia.
Per quanto gli fosse concesso schivò un gatto…
Booktrailer del mio libro. L’uomo che affittava i libri.
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La Feltrinelli
…troppo tempo passato quando il cameriere iniziò a preparare i tavoli per il pranzo, scrutandoli ogni tanto per decidere s’era il caso di portargli il menù, non avevano intenzione di mangiare ma neanche di rientrare così decisero per una passeggiata intorno al lago, uno stretto sentiero lo circondava completamente, permettendo il passaggio d’una sola persona alla volta, ogni tanto allargandosi in minuscole spiagge dove i pochi presenti si dedicavano con impegno all’unica attività svolta e consentita: la pesca alla trota.
Poco più di mezz’ora a passo lento ed il tragitto era compiuto, si ritrovarono alla partenza e nei pressi del già notato piccolo capanno in pannelli di tronchi di legno, adesso aperto e dove un maturo addetto controllava permessi ed affittava canne da pesca, in quel momento stava pazientemente parlando con un ragazzino e la sicuramente madre, non sentivano i discorsi però si capiva dai timidi gesti che il giovane voleva pescare senza esserne capace e la donna lo era ancor meno; la pazienza dei vecchi è incredibile, un giovane, supponente, avrebbe affittato la canna e lasciato i due a cavarsela, lui chiuse bottega, prese l’ancora bambino per una mano, canna, retino ed un sacchetto nell’altra, ed insieme scesero la ripida china verso la riva, dimenticandosi entrambi della mamma che li seguiva a distanza, verrebbe da dire rispettosa. La semplice scena aveva un qualcosa di proprio, il sapore di un gusto dimenticato.
S’appoggiarono al muretto che separava sentiero da ristorante ad osservare.
Lo sguardo del ragazzino girava incessantemente dentro il circuito lago-canna-volto dell’istruttore, era un misto di entusiasmo, nell’ascoltare e sistemare le mani secondo le indicazioni, interesse, nel seguire il competente armamento dell’attrezzo senza staccare gli occhi, incredulità, nell’osservare lenza, amo e piombo viaggiare veloci attraverso l’aria, pura gioia nel sentirli colpire la superficie con un assordante flebile tonfo e vederli affondare nel liquido come fossero gli ultimi ed indispensabili ingredienti d’un filtro magico messo a bollire nel calderone.
Improvvisamente ogni cosa s’arrestò, le foglie smisero di cadere, la terra di girare e le persone di respirare, tutto quanto era concentrato sul giovane, immobile a bordo lago a tenere la canna come fosse parte di se, con lo sguardo fisso sul punto di confine fra aria e liquido e con il tutto inerte passarono le ore, i giorni, i mesi, gli anni senza che nulla accadesse, in realtà pochi minuti ma questo doveva sembrare al ragazzino, poi la lenza cominciò a vibrare, prima piano, quasi impercettibilmente, poi indubbiamente e con lei vibrarono le mani; ebbe inizio la perenne lotta fra preda che tirava, di lato, di fronte, di nuovo di lato, poi mollava per reiniziare nuovamente alla ricerca della salvezza e predatore fermo nella sua intenzione mentre la canna si scuoteva con prepotenza, si piegava, si stendeva ed il mulinello girava recuperando lenza, manovrato con grande perizia dalle nuove…