Secondo estratto dal capitolo Piazza.

Un estratto dal capitolo Piazza, il primo del mio romanzo L’uomo che affittava i libri

…studiare lingue dell’est insieme alla giovane badante ucraina di Giovanna, l’anziana madre del calzolaio del paese, cambiò opinione, decise di vendicarsi nel pieno rispetto del criterio femminile della vendetta: contraccambiare, seppur in ritardo, gli anni senz’altro sprecati dentro quel legame vissuto in maniera corretta, dove sono bastati capelli biondi, occhi chiari, pelle color sbiadito per buttare anni, onore. Tiziana era splendidamente mediterranea, sempre, sopratutto adesso mentre s’avvicinava ancheggiando nel tubino.

“Salve. Ha un manuale serio su come conquistare le donne?”

“Donna Tiziana,” provava sempre soddisfazione nel chiamarla in quel modo dal sapore antico, allo stesso tempo definitivo nel distinguerla e a lei faceva piacere esserci chiamata. “s’esistesse, avrei solo quel libro in affitto, oltre al motocarro vuoto.” Al sorriso d’entrambi aggiunse: “Penso d’indovinare, non lo cerca per lei ma per i suoi concittadini.”

Ecco un uomo sprecato per questo posto.” Concluse la frase con un altro sorriso poi, dopo averlo salutato, si diresse verso la farmacia. Se il corso della vita non avesse raggiunto quell’idilliaco momento dove le ondate di testosterone s’erano trasformate in debole risacca e il ragionamento preso potere, forse preludi della pace dei sensi, sarebbe partito lancia in resta alla conquista di quella Gerusalemme del desiderio. Veramente un gran bel sedere, concorde giudizio dei maschi presenti, tutti intenti nel seguirne il movimento.

Riprese il viaggio nella sua Africa personale, dove in quel momento soggiornava l’immaginazione.

Si spostò di poco sulla poltroncina, un raggio di sole, caldo quasi all’eccessivo, passava fra l’angolo della palazzina e il lampione; penetrava prepotente nella piazza dove gli edifici si mostravano in sintonia col resto del paese, semplici, privi di fronzoli, di certo nel sapore della discrezione: il comune, distinto dalle bandiere appese, la farmacia, l’unico negozio escluso l’alimentari-tabacchino-giornalaio-ferramenta ecc. ecc, il bar, poi la chiesa, con la facciata abbellita solo dalla classica scalinata ripida nel…

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Estratto capitolo 11

…troppo tempo passato quando il cameriere iniziò a preparare i tavoli per il pranzo, scrutandoli ogni tanto per decidere s’era il caso di portargli il menù, non avevano intenzione di mangiare ma neanche di rientrare così decisero per una passeggiata intorno al lago, uno stretto sentiero lo circondava completamente, permettendo il passaggio d’una sola persona alla volta, ogni tanto allargandosi in minuscole spiagge dove i pochi presenti si dedicavano con impegno all’unica attività svolta e consentita: la pesca alla trota.

Poco più di mezz’ora a passo lento ed il tragitto era compiuto, si ritrovarono alla partenza e nei pressi del già notato piccolo capanno in pannelli di tronchi di legno, adesso aperto e dove un maturo addetto controllava permessi ed affittava canne da pesca, in quel momento stava pazientemente parlando con un ragazzino e la sicuramente madre, non sentivano i discorsi però si capiva dai timidi gesti che il giovane voleva pescare senza esserne capace e la donna lo era ancor meno; la pazienza dei vecchi è incredibile, un giovane, supponente, avrebbe affittato la canna e lasciato i due a cavarsela, lui chiuse bottega, prese l’ancora bambino per una mano, canna, retino ed un sacchetto nell’altra, ed insieme scesero la ripida china verso la riva, dimenticandosi entrambi della mamma che li seguiva a distanza, verrebbe da dire rispettosa. La semplice scena aveva un qualcosa di proprio, il sapore di un gusto dimenticato.

S’appoggiarono al muretto che separava sentiero da ristorante ad osservare.

Lo sguardo del ragazzino girava incessantemente dentro il circuito lago-canna-volto dell’istruttore, era un misto di entusiasmo, nell’ascoltare e sistemare le mani secondo le indicazioni, interesse, nel seguire il competente armamento dell’attrezzo senza staccare gli occhi, incredulità, nell’osservare lenza, amo e piombo viaggiare veloci attraverso l’aria, pura gioia nel sentirli colpire la superficie con un assordante flebile tonfo e vederli affondare nel liquido come fossero gli ultimi ed indispensabili ingredienti d’un filtro magico messo a bollire nel calderone.

Improvvisamente ogni cosa s’arrestò, le foglie smisero di cadere, la terra di girare e le persone di respirare, tutto quanto era concentrato sul giovane, immobile a bordo lago a tenere la canna come fosse parte di se, con lo sguardo fisso sul punto di confine fra aria e liquido e con il tutto inerte passarono le ore, i giorni, i mesi, gli anni senza che nulla accadesse, in realtà pochi minuti ma questo doveva sembrare al ragazzino, poi la lenza cominciò a vibrare, prima piano, quasi impercettibilmente, poi indubbiamente e con lei vibrarono le mani; ebbe inizio la perenne lotta fra preda che tirava, di lato, di fronte, di nuovo di lato, poi mollava per reiniziare nuovamente alla ricerca della salvezza e predatore fermo nella sua intenzione mentre la canna si scuoteva con prepotenza, si piegava, si stendeva ed il mulinello girava recuperando lenza, manovrato con grande perizia dalle nuove…

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Descrizione de “L’uomo che affittava i Libri”

Non poteva più sopportare la sua vita, come l’aveva creata, come si svolgeva. Allora lascia tutto, anche le certezze, ed inizia a girare per i paesi con il suo motocarro carico di libri. Girando scoprirà le tante realtà della vita di cui aveva solo sentito parlare ma che, se vissute da vicino, possono lasciare il segno. Un uomo alla ricerca d’una dimensione, per trovare quello che non cerca.
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Introduzione di “L’uomo che affittava i libri”

Per far capire cos’è “L’uomo che affittava i libri” bisogna partire da cosa non ènon è un libro che parla di compagnie, biblioteche, anelli, misteri e codici, non è un giallo e non parla solo d’amore, non è una serie, una trilogia, un prequel od un sequel, è semplicemente un libro che racconta una storia semplice con un linguaggio non sempre semplice ma comprensibile, di quelle che tanti vivono od hanno vissuto, è un libro che, attraverso gli occhi del protagonista, vuole guardare un poco, leggermente, dentro l’anima delle persone, dentro la natura umana, sopratutto i suoi difetti raccontati, parafrasando il cinema, attraverso i gesti, pensieri, comportamenti di tante comparse e di un attore anonimo quasi fino alla fine.

Il racconto, prendendo spunto dagli eventi, dagli atteggiamenti, dalle situazioni che fanno così parte della vita quotidiana da essere quasi invisibili, vede un dirigente di mezz’età, colto dal rifiuto per la sua vita, lasciare il lavoro alla ricerca d’una sconosciuta dimensione ideale e trasferirsi nella vecchia casa di famiglia, in campagna, nella località La Fontana; acquista anche un motocarro destinato alla pressa, lo carica dei suoi libri, fino ad allora mai letti, ed inizia a girare per i piccoli paesi del circondario, fermandosi nelle piazze con la scusa d’affittare i libri ma con l’intenzione di leggerli e presuntuosamente cercare di diffonderli. Così conosce nuove vecchie realtà, ragiona sui sentimenti, sulle sue sensazioni e viene in contatto con tante caratteristiche umane: rabbia, credulità, indifferenza ma conosce anche l’amicizia, emozione quasi mai provata e l’amore, attentamente evitato nel suo prima.

Sviluppata in un breve periodo della sua maturità, la storia viene narrata in due parti alternate: con il racconto del quotidiano, dove vive la semplice normalità mai provata, a volte sgradevole, ed una serie di episodi quasi tutti singoli, ambientati nelle varie piazze, dove diventa il filo d’unione e per lo più involontario spettatore e vive le storie di cui viene a conoscenza nel suo girovagare con diverse reazioni, mentre assapora pienamente la quotidianità anche quando questa non è, fino all’epilogo dai lui mai immaginato.

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Un estratto del capitolo “Luciano”