VENTITRE’ SETTEMBRE

VENTITRE’ SETTEMBRE

Trentatré anni dopo la morte di Giancarlo Siani cosa è cambiato?

 

Ventitré settembre 1985, il giornalista de “Il Mattino” Giancarlo Siani viene ucciso dalla Camorra. La sua colpa? Aver indagato sui rapporti tra criminalità organizzata campana e politica locale.

Erano passati cinque anni dal terremoto che colpì l’Irpinia. Siani scoprì che la Camorra era interessata agli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto. Stava per pubblicare un libro a riguardo. Ma ciò non avvenne.

Fu ucciso a Napoli, appena giunto sotto casa, mentre era ancora dentro la sua Citroën Méhari. Venne assassinato, per depistare le indagini, lontano dalla città nella quale lavorava come corrispondente de “Il Mattino”, Torre Annunziata.

Ci vollero dodici anni per catturare i responsabili, grazie all’aiuto di due pentiti.

Prima pagina de “Il Mattino”, 24 settembre 1985.

Ventitré settembre 2018, qualcosa è cambiato da allora?

Sebbene personaggi come Roberto Saviano, attraverso i suoi libri, abbiano contribuito a riportare a galla una verità da sempre sepolta da paura e omertà, la realtà è che la situazione non è cambiata. O meglio, non abbastanza.

Durante quest’anno, la revoca o la concessione della scorta a uomini che combattono la criminalità  organizzata è stata al centro del dibattito pubblico. Grande attenzione ha avuto la “querelle” tra Salvini e Saviano: a suon di tweet il leader della Lega ha espresso la volontà di togliere la scorta all’autore di Gomorra, suo grande detrattore.

Tale vicenda ha destato molto clamore, ma, purtroppo, ci sono stati casi passati in osservati ai più, che meritano una riflessione profonda.

Il trentuno luglio il prefetto competente stabilì  che Sergio De Caprio, il capitano “Ultimo” che arrestò Totò Riina, non aveva più bisogno di protezione. L’avviso ufficiale è arrivato il 3 settembre e ad oggi non è stato fatto niente di concreto a riguardo, nonostante le parole di Rita dalla Chiesa e di diversi esponenti della classe politica.

Recentemente si è tornati a parlare di Benedetto Zoccola, imprenditore anti-camorra che, a Mondragone, nel casertano, si è opposto al racket. Dopo aver fatto arrestare un boss locale e altre settanta persone, Benedetto è stato lasciato solo. I militari che sorvegliavano la sua abitazione non ci sono più e la scorta gli è stata assegnata limitatamente a spostamenti sul territorio campano (Mondragone dista poche decine di kilometri dal Lazio).

Tali vicende non sono tollerabili. Uomini con un coraggio tale andrebbero premiati e soprattutto protetti. C’è bisogno di una campagna di sensibilizzazione a riguardo, e di un dibattito che coinvolga scuole e quindi ragazzi. Film come Gomorra non hanno trasmesso abbastanza. Se ne ricordano le frasi “cult”, iconiche, ma non se ne coglie il vero significato.

Nelle zone d’Italia nelle quali la criminalità organizzata è meno capillare pochi capiscono l’importanza della lotta alla Mafia, alla Camorra, alla ‘Ndrangheta. Soprattutto i ragazzi, che un domani dovranno essere pronti a combattere il fenomeno criminale che come un cancro ricco di metastasi si sta ormai diffondendo in tutto il Paese.

Ciò che varia è la presenza sul territorio: al sud la mafia è molto più tangibile, fatta di nomi e cognomi che tanti sanno e che pochi rivelano. Al ricco nord la situazione è diversa: la criminalità organizzata si sposta ai “piani alti”, gestisce grandi opere (vedasi l’Expo) si infiltra nelle curve delle grandi squadre (come nel caso del Milan).

Tuttavia la situazione è in continua evoluzione e spesso si sente parlare di pizzo e racket anche al Nord: nel 2016 a Milano l’8% dei negozianti ha dichiarato di pagare il pizzo, e i dati sono in aumento. Quest’anno nell’astigiano è stato scoperto un giro di armi e droga, controllato da tre cosche della ‘Ndrangheta, che coinvolgeva quasi tutto il Piemonte. Proprio per questo motivo non si dovrebbe mai più sentir parlare di scorte revocate o ridotte. Per questo motivo in tutta Italia si dovrebbe capire che il problema della criminalità organizzata è il più grande del Paese.

Ventitré settembre 2018, Giancarlo Siani è morto da trentatré anni. Uomini come lui non dovrebbero mai più essere lasciati soli.

 

-Gabriele Cuomo

La “Stairway to Heaven” di Matteo Salvini.

LA “STAIRWAY TO HEAVEN” DI MATTEO SALVINI

Cosa c’è dietro al successo del leader della Lega?

 

E’ sotto i riflettori della politica italiana, è acclamato, criticato, odiato, tutti ne parlano, persino il Time gli ha dedicato la sua prestigiosa copertina : sto ovviamente parlando di Matteo Salvini.

Il neo ministro degli interni è senza alcun dubbio l’uomo del momento, ma cosa si cela dietro ad un successo di tale portata?

Facciamo un passo indietro e torniamo nella Milano degli anni novanta, è proprio lì che  Matteo Salvini inizia la sua lenta e inesorabile ascesa , la sua “Stairway to Heaven”(scala verso il paradiso), parafrasando il celebre pezzo dei Led Zeppelin.

Nel 1990 si iscrive alla Lega Nord, diventandone militante l’anno successivo; sono gli anni della lotta per l’indipendenza padana, delle polemiche contro l’Italia a suon di “Roma ladrona”, degli attacchi ai meridionali, dei discorsi roboanti di Umberto Bossi, suo grande mentore.

Inizia così la “gavetta” dell’attuale Ministro degli Interni, che diventa consigliere comunale a Milano nel 1993, poi inizia l’attività giornalisitica per Radio Padania nel 1997, aumentando sempre di più il proprio prestigio sul territorio lombardo.

Matteo Salvini ad un comizio dei “Giovani Padani”, 2006.

 

Il salto di qualità avviene nel 2004: Salvini diviene deputato del parlamento europeo e infine nel 2006 vicesegretario nazionale della Lega Nord.

Il resto è storia recente: il declino di Bossi, lo scandalo dei rimborsi elettorali e, nel 2012, la tanto attesa carica di segretario nazionale. Matteo Salvini ha voluto fortemente diventare ciò che è ora, e dobbiamo riconoscergli il merito di esserci riuscito.

Sebbene sia stato al centro di molte polemiche, dai cori razzisti (e vergognosi) contro i napoletani, alle dichiarazioni sugli immigrati, Salvini, sfruttando anche la crisi della ormai vecchia classe politica, è riuscito a creare intorno a sé un grande consenso, che sta superando anche quello del suo rivale, e ora alleato, Luigi Di Maio.

Quali sono le caratteristiche che rendono il leader leghista così dirompente a livello mediatico?

Innanzitutto Salvini usa un “trucco” ormai collaudato da vari regimi del passato: focalizzarsi su un “nemico” comune, in questo caso, gli immigrati.

In questo modo il consenso sale, il popolo si compatta ed elegge il suo leader a paladino che lotta titanicamente contro il nemico.

Chiaramente l’immigrazione è una tematica che va affrontata, tuttavia appare evidente che Salvini l’abbia strumentalizzata a suo piacimento, costruendoci sopra la campagna elettorale che lo ha reso Ministro degli Interni.

Altra caratteristica che lo rende popolare è la sua vicinanza al popolo, il suo prendere come punto di riferimento la vita quotidiana. Salvini ha capito in cosa ha sbagliato la vecchia classe politica: essersi allontanata dai problemi concreti dei cittadini, alimentando un dibattito che troppo spesso riguardava tematiche lontane dalla realtà di tutti i giorni.

La sua bravura, unita al clima di crisi che si respira in Italia ormai da parecchi anni, hanno fatto diventare il suo partito, guardando i recenti sondaggi elettorali, il più popolare nel nostro Paese.

Il leader del Carroccio è riuscito anche nell’impresa di raccogliere un buon consenso al Sud, da lui per anni criticato e insultato, all’epoca in cui il suo partito ancora si chiamava Lega Nord.

Ma i tempi, si sa, cambiano, e la memoria viene meno: adesso Salvini è il “capitano” (così viene chiamato) di tutti gli Italiani. Resta da vedere se il neo Ministro saprà fare meglio del tanto criticato Matteo Renzi, protagonista in tempi recenti di un’altrettanto prodigiosa ascesa e di una miserabile caduta.

Del resto si sa, a grandi vittorie seguono sempre grandi sconfitte.

Gabriele Cuomo