Vidi il film quando ero novizio, ce l’ho propose il maestro di noviziato nella settimanale serata del film-forum.
In quel momento vivevo il mio noviziato tranquillamente, serenamente sotto la guida di un saggio maestro, quindi la visione, seppur mi colpi in generale il mio pensiero cadde sulla figura di Guglielmo (francescano) e Adso (benedettino) e il loro rapporto tra un maestro e sul novizio. Era la fine del noviziato e quindi ringraziavo Dio di avermi donato un maestro che aveva saputo leggere nel mio cuore e accompagnato nei due anni di discernimento religioso.
Del mio Maestro di Noziato, posso dire, con molta franchezza ho ricevuto tanti insegnamenti e consigli che mi sono serviti per tutta la vita religiosa e non. Ancora oggi lo ricordo con stima, affetto amicizia. Ci diceva: “prima di essere buon religiosi dovete essere uomini”.
Il suo insegnamento era molto semplice: Dio sopra tutto un continuo dialogo con lui e l’ospitalità (il carisma dell’istituto inteso come cura dei malati) prima nei nostri cuori e poi alle cure della nostra professionalità
Il nome della rosa era uno dei tanti film che avevamo visto nella serata dedicata alla visione di un film visto tutti insieme (Maestro e novizi) e che la mattina dopo ci incontravamo per riflettere e portare la nostra esperienza di vita religiosa con le tematiche proposte dai film visti.
Il noviziato stava per finire, chi era ammesso alla professione semplice, e questo lo decideva in primis il Maestro che ci aveva accompagnato in questi anni, con il contributo dei nostri insegnanti e il parere favorevole del Consiglio Provinciale
Passaggio molto importante in cui si ci preparava con grazia spirito e una settimana di ritiro spirituale. Il noviziato si trovava in uno dei Castelli Romani, facevo parte di un istituto di vita attiva (cioè, religioso si ma con un carisma da vivere: assistenza ai malati). Per la settimana di ritiro andammo in un altro paese sempre facente parte dei Castelli romani in un istituto dedito alla preghiera all’ascolto e al silenzio.
Per ogni giorno si ascoltava una conferenza, proposta da un relatore sempre diverso e il resto della giornata si meditava, pregava e si ascoltava la voce di Dio oltre alle solite preghiere rituali: lodi mattutine, celebrazione Santa Messa, colazione, ascolto conferenza, meditazione, celebrazione ora media pranzo, riposo, ancora silenzio e ascolto o comunque chi voleva poteva comunicare con il Maestro, Vespro (lodi serali) cena, meditazione compieta e riposo notturno.
Questo per tutti i giorni, mentre il venerdì era dedicato alla penitenza: quindi relazione sul peccato, il perdono e la misericordia ed era prevista la Confessione. All’interno del Convento vi erano presenti 3 confessori ed io ne scelsi uno, senza nessuna preferenza…
Mi fece accomodare nella sua stanza, non so perché nella sua stanza, lui seduto dietro la scrivania su un lato della scrivania un crocefisso alto forse 1 metro e mezzo rivolto verso il penitente e il penitente inginocchiato su un inginocchiatoio ed ebbe inizio la Confessione. Visto l’occasione importante per la mia vita spirituale, presi la situazione molto sul serio e decisi di confessarmi a cuore aperto, per fare “pulizia” del mio passato e aprire la mia vita al futuro con cuore pulito e predisposto ad accogliere il dono dei voti religiosi che il Signore mi avrebbe donato, dopo due giorni.
Dopo una confessione, sincera, pulita, aperta gli confessai anche che nonostante lo sforzo non ero riuscito a superare l’azione della masturbazione, visto anche la mia giovane età… Il sacerdote un gesuita spagnolo, sgranò gli occhi e con tono di voce molto fermo e serio, mi disse: “Figliolo non sei degno di fare il grande passo della tua vita… ti sconsiglio di ricevere la professione semplice a cui ti stai accingendo a ricevere…” Silenzio di qualche minuto da parte mia, guardavo Cristo sull’enorme Croce, guardavo il suo volto sofferente e nella mia testa mi frullava di tutto… non so come riuscii ad aprire la bocca e a proferire: Padre è possibile interrompere la Confessione? “Certo, figliolo, ma non posso assolverti…”, “Padre, non mi assola ma ho intenzione di interrompere la Confessione”, diedi un ultimo sguardo al volto di Cristo, mi alzai, uscii dalla stanza.
Rimasi turbato… per la non assoluzione e per la mia non dignità a presentarmi a ricevere la professione religiosa. Passai tutta la mattinata a riflettere, pranzai, mi riposai e il mio cuore era ancora turbato e mi chiedevo cosa fare. Dopo due anni di preparazione a livello religioso con il Maestro e l’equipe degli insegnanti e con il dovuto sostegno del padre spirituale, con la celebrazione della professione semplice si faceva la promessa dei voti religiosi “povertà, castità, obbedienza e nello specifico nostro, l’ospitalità” con la vestizione dell’abito religioso, pensavo di aver raggiunto una tappa importante della mia vita.
Invece, mi fu interrotto, in fondo da uno sconosciuto, anche se in quel momento rappresentava Cristo, il mio animo passava dall’umiltà, all’arroganza, dall’accettazione alla ragionevolezza… alla fine decisi di parlare con il mio Maestro.
Gli raccontai tutto e soprattutto il fatto che avevo interrotto la confessione per il fatto che il sacerdote non poteva darmi l’assoluzione in quanto mi capitava “ancora” di masturbarmi e che mi aveva consigliato di interrompere il cammino religioso e quindi la professione semplice e di conseguenza fare promessa di povertà, castità, obbedienza e ospitalità.
Mentre parlavo al mio Maestro passeggiavamo nei viottoli di questo silenzioso parco… a questo punto il Maestro si fermo si rivolse verso di me e di conseguenza anche io mi fermai e mi rivolsi verso di lui. Mi disse: “Mimmo, la vita religiosa è un cammino e tu sei all’inizio… La perfezione e dei Santi e neanche loro a volte la raggiungono… noi siamo uomini e non potremo mai essere perfetti. Vai da un altro sacerdote confessati… e vivi serenamente questo momento”, mi abbraccio forte e si allontano da me. Rimasi qualche minuto fermo lo vidi allontanare e dopo un po’ mi diressi verso un altro sacerdote per confessarmi.
La domenica partecipammo insieme ai miei confratelli .alla celebrazione della prima professione religiosa. Il celebrante dopo la nostra promessa dei voti religiosi ci impose l’abito e pronuncio questa formula: “Tu Domenico da questo momento sarai Fra Mimmo, ricevi la benedizione nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”. Con la formula di rinuncia del proprio nome, si rinunciava al passato per ricominciare una nuova vita. Alcuni confratelli cambiarono nome, come rinuncia al passato ma era facoltativo. Io non rinunciai al nome al nome proprio Domenico (anagrafico), ma usualmente venivo chiamato Mimmo e mi fu dato il nome Fra Mimmo. Questo passaggio è molto importante per quello che mi successe qualche giorno dopo.
Quindi da “novizi” diventammo “scolastici”. Cambiammo convento e di conseguenza anche Maestro. Ci trasferimmo al nuovo convento la domenica sera stessa, dopo i festeggiamenti con i nostri confratelli, parenti e amici. IL cambiamento l’ho vissi serenamente fino al venerdì successivo quando il venerdì sera dopo cena fu fissata una riunione con il nuovo Maestro, il nuovo Priore (ma in effetti e secondo la nuova Costituzione dell’Ordine), il Superiore, ma lui vecchio stampo adorava ancora farsi chiamare Priore e con il Padre Provinciale.
Noi, neo scolastici e con gli altri scolastici, piccoli come pulcini, tra le tantissime cose che ci dissero: tennero a dirci che il nuovo stato, imponeva nuove regole e nuovi comportamenti. Una postilla fu dedicata a me. Prese la parola il Priore, dicendo: Reverendissimo Padre Provinciale, riteniamo opportuno proporle la modifica del nome di Fra Mimmo in Fra Domenico in quanto più consono allo stato di un religioso e su questo è d’accordo anche il Reverendo Padre Maestro…”. Il Padre provinciale che la domenica della professione semplice era presente anche lui, anzi lui presiedeva la celebrazione e nelle cui mani promettevamo: povertà, castità, obbedienza e ospitalità, cosi si espresse: “Padre Maestro è della stessa opinione per padre Priore in merito alla questione avanzata”, “Si reverendissimo Padre Provinciale” e senza nulla chiedermi, io smarrito e disorientato me li guardavo… “Fra Domenico da questo momento ti chiamo con il nuovo nome e invito gli altri a fare altrettanto, inoltre comunica la decisione presa a quelli che continuano a chiamarti con il vecchio nome, comunicagli il cambiamento e invitali a chiamati con il nuovo nome”.
La seduta fu sciolta: Buona notte e il Signore sia con voi… Buona notte e il Signore sia con voi… e ognuno, poi diretto alla cappellina del convento per una ultima preghiera del giorno e un saluto al Santissimo Sacramento”, poi ognuno alla spicciolata nella sua “cella”, ricordo che io rimasi di più a pregare, espressi al Signore la mia contrarietà e alla fine in camera a dormire.
Il nome della rosa è un romanzo scritto da Umberto Eco ed edito per la prima volta da Bompiani nel 1980.
Già autore di numerosi saggi, il semiologo decise di scrivere il suo primo romanzo, cimentandosi nel genere del giallo storico e in particolare del giallo deduttivo. Tuttavia, il libro può essere considerato un incrocio di generi, tra lo storico, il narrativo e il filosofico.
L’opera, ambientata sul finire dell’anno 1327, si presenta con un classico espediente letterario, quello del manoscritto ritrovato, opera, in questo caso, di un monaco di nome Adso da Melk, che, divenuto ormai anziano, decide di mettere su carta i fatti notevoli vissuti da novizio, molti decenni addietro, in compagnia del proprio maestro Guglielmo da Baskerville. La vicenda si svolge all’interno di un monastero benedettino dell’Italia Settentrionale, ed è suddivisa in sette giornate, scandite dai ritmi della vita monastica
Il romanzo oltre ad un successo di vendita e di critica, ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Strega del 1981, ed è stato inserito nella lista de “I 100 libri del secolo di Le Monde“.
Dal romanzo è stato tratto l’omonimo film nel 1986, affidato alla regia di Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery nei panni di Guglielmo e Christian Slater nel ruolo di Adso.
Il romanzo narra di una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Una serie di morti di religiosi all’interno dell’Abbazia. Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo su qualche quaderno di appunti prima di interrompere i rapporti con la persona che gli aveva messo il manoscritto tra le mani. Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo portò a recuperare alcune conferme, oltre alle parti mancanti del testo, l’autore passa quindi a narrare la vicenda di Adso da Melk.
È la fine di novembre del 1327. Guglielmo da Baskerville, un frate francescano inglese, e Adso da Melk, suo allievo, si recano in un monastero benedettino sperduto sui monti dell’Italia settentrionale. Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i francescani — sostenitori delle tesi pauperistiche e i delegati della curia papale, insediata a quei tempi ad Avignone.
I due religiosi (Guglielmo è francescano e inquisitore “pentito”, il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato dall’imperatore di partecipare al congresso quale sostenitore delle tesi pauperistiche. Allo stesso tempo l’abate è timoroso che l’arrivo della delegazione avignonese possa ridimensionare la propria giurisdizione sull’abbazia, e preoccupato che l’inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui, allora decide di confidare nelle capacità inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio, cui i monaci — tra l’altro — attribuiscono misteriose cause soprannaturali.
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa a Guglielmo altre morti violente si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo, e quella di Berengario, aiutante bibliotecario alle cui invereconde profferte aveva ceduto il giovane Adelmo. Anche altri monaci troveranno la morte nell’abbazia, mentre i delegati del papa disputano con i francescani delegati dall’imperatore sul tema della povertà della Chiesa cattolica.
Guglielmo a un certo punto scopre che le morti sono tutte riconducibili a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca, vanto del monastero (costruita come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante).
In un’atmosfera inquietante, alternando lunghe digressioni storico-filosofiche, ragionamenti investigatori e scene d’azione, Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale (l’ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele), che tratta della commedia e del riso, e scoprono che le pagine del libro sono avvelenate in modo da uccidere chi lo sfoglia. Alla fine, il venerabile Jorge, dopo la morte del bibliotecario Malachia, tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto dalle pagine avvelenate. Guglielmo però lo sfoglia con le mani protette da un guanto, e allora il vecchio monaco, in un eccesso di fanatico fervore, divora le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno possa leggerle. Mentre Guglielmo e Adso tentano di fermarlo, Jorge provoca un incendio che nessuno riuscirà a domare e che inghiottirà nel fuoco l’intera abbazia. Adso e il suo maestro partiranno infine da quelle macerie, in cui il giovane tornerà anni dopo, trovando la solitudine più totale, in quello stesso luogo che era stato teatro di omicidi e intrighi, veleni e scoperte.