Alcune Tesi sulla attuale situazione politica (giugno 2018)

Contributo al dibattito di un socialista libertario
di Gianpiero Landi

Premessa

La situazione politica nel nostro paese – e più in generale in Europa e nel mondo – presenta caratteristiche nuove e per certi versi inedite, che possiamo senz’altro definire drammatiche e inquietanti. Devo dire che personalmente sono estremamente preoccupato, quasi angosciato. Non mi sembra che, rispetto a ciò che sta avvenendo e alle tendenze in atto, da parte del movimento libertario ci sia stato finora un livello di analisi e di comprensione adeguato alla situazione. Questo vale, almeno in parte, anche per quella che definirò “la sinistra radicale diffusa”. Anzi, mi sembra che ci sia in giro un notevole disorientamento e fraintendimento, quando non un vero e proprio accecamento che in molti casi lascia stupefatti (“Assai meno prevedibile era l’entusiasmo per il patto tra Salvini e Di Maio che gran parte dei militanti della sinistra più radicale (anarchici esclusi) ha manifestato”. Luciano Nicolini, “Cenerentola”, giugno 2018, p. 4).

Per fortuna, gli anarchici si sono dimostrati refrattari finora a certe cantonate, ma non è che il loro livello di analisi e di comprensione dei fenomeni in atto si sia rivelato adeguato. A partire da “Umanità Nova”, e lo dico con tutto il rispetto e la simpatia che provo per i compagni della redazione, che con grande generosità e sacrifici pubblicano il giornale tutte le settimane. “Senza governo si vive meglio” può essere una simpatica provocazione, utile a fare capire che niente è scontato e che un altro mondo è possibile, ma se diventa la linea politica degli anarchici, tutto ciò che riusciamo a dire rispetto a ciò che sta succedendo, stiamo freschi. Bisogna capire anzitutto che cosa si muove nella società, e poi elaborare proposte valide anche per il “qui e ora”, capaci di aggregare consenso e contrastare le tendenze che non condividiamo e che consideriamo sbagliate ingiuste e pericolose. Cioè fare politica. Va bene essere “contro la storia”, quando la storia va in direzione contraria ai nostri valori e alle nostre idee, ma dobbiamo evitare di finire “fuori della storia”, del tutto marginali e ininfluenti.

Le note che seguono vogliono essere un contributo all’analisi della fase politica attuale e al dibattito tra compagni. Senza presunzioni, perché nessuno ha la verità in tasca e inoltre tutti abbiamo i nostri limiti ed è bene esserne consapevoli. Ma anche senza reticenze ed eccessivi timori di offendere le sensibilità altrui. In uno spirito fraterno e di rispetto per tutti i compagni.

Per ragioni di tempo e di spazio, esporrò le mie opinioni e le argomentazioni in forma di tesi, in modo forse poco argomentato. Mi rendo conto che per sviluppare in modo adeguato ciascun punto servirebbe un articolo o un libro (quando non una intera biblioteca). Ma per i fini che questo testo si propone – essere di base e di stimolo a una discussione fra gli anarchici e i libertari, in primis i soci della Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” e i compagni vicini ad essa – può bastare. Il resto, se vi interessa, proveremo a  dircelo di persona quando ci incontreremo.

Un’avvertenza: nelle note che seguono si terrà conto quasi esclusivamente della situazione italiana. Sono perfettamente consapevole che il quadro internazionale è altrettanto – se non più – drammatico e che alcune o molte tendenze di cui si parlerà in riferimento al nostro paese sono generali e diffuse anche altrove (e che prescindendone si corre il rischio di non capire). Ma trattare il quadro internazionale – oltre alla difficoltà del compito – ci porterebbe troppo lontano, e si rischierebbe di perdere le specificità del caso italiano.

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Da oggi, come si suol dire, «le chiacchiere stanno a zero». Nel senso che le nostre

parole (da sole) non ci basteranno più. D’ora in poi dovremo metterci in gioco più

direttamente, più “di persona”: imparare a fare le guide alpine al Monginevro, i

passeur sui sentieri di Biamonti nell’entroterra di Ventimiglia, ad accogliere e

rifocillare persone in fuga da paura e fame, a presidiare campi rom minacciati

dalle ruspe. Perché saranno loro, soprattutto loro – non gli ultimi, quelli che stanno

sotto gli ultimi – le prime e vere vittime di questo governo che (forse) nasce.                                            Marco Revelli, Il paese è altrove,“il Manifesto”, 24 maggio 2018

 

1) Le categorie “destra” e “sinistra” sono ancora valide. Personalmente sono convinto che le categorie destra/sinistra, utilizzate per  “leggere” e interpretare le idee, le proposte, le realizzazioni e i comportamenti politici, per quanto in crisi e ritenute da molti superate, restino le più utili. Sicuramente sono più chiare ed esplicative di altre categorie molto utilizzate attualmente, tipo “populismo” e “antipolitica”.  Non che una categoria come “populismo” sia priva di valore e di utilità, ma certo ha un margine di ambiguità e spesso con tale termine si identificano fenomeni molto diversi (dal bolivarismo venezuelano al lepenismo francese, da “Podemos” in Spagna a Orbàn in Ungheria). La questione di che cosa sia esattamente il populismo andrebbe approfondita, ma non è questa la sede per farlo. Tornando a destra/sinistra, si può affermare, con Norberto Bobbio, che essere di sinistra vuol dire essere solidali e volere l’uguaglianza (o perlomeno una maggiore giustizia sociale) tra gli esseri umani. Di conseguenza, essere di destra significa il contrario, cioè essere favorevole o sostanzialmente indifferente al fatto che ci siano e si perpetuino le disuguaglianze (salvo magari piccoli aggiustamenti e qualche modesta misura a favore degli ultimi, per non lasciarli morire di fame). E’ di destra ritenere che le differenze di condizioni e la concorrenza tra gli esseri umani siano “naturali” e anche utili, perché stimolano l’intraprendenza e favoriscono lo sviluppo. Poco importa che poi l’essere di destra sia stato declinato in modi molto diversi, dalla destra militarista e fascista, autoritaria o totalitaria, fino al liberismo estremo e all’anarco-capitalismo. Oggi, quella che prevale in genere, e con cui dobbiamo confrontarci in Italia e in Europa, è piuttosto la “destra sociale”, che spesso fa breccia anche tra le classi popolari perché si interessa dei loro problemi e, almeno in parte, cerca di farsene carico. Si occupa della – e crea una – comunità, ma è una “comunità escludente”, che alza delle barriere e difende solo chi è interno, mettendolo in contrapposizione e in guerra con l’esterno (“l’altro”, il diverso, lo straniero). Ma la destra liberista non è certo scomparsa, e spesso controlla il potere vero.

2) La crisi della sinistra ha radici profonde e strutturali. Le ragioni e le caratteristiche del malessere sociale e della crisi dei valori presenti attualmente nel nostro paese andrebbero analizzate in profondità, ma che esse esistano – e che coinvolgano le più diverse classi sociali nelle varie aree geografiche – è evidente ed è percepibile da tutti. Ritengo che sia più interessante, in questa sede, riflettere su come oggi si indirizza la rabbia di chi sta peggio. Un tempo esisteva la coscienza di classe e il desiderio di riscatto o la rabbia delle classi sociali inferiori – gli sfruttati e gli oppressi – si rivolgeva contro chi stava in alto, i padroni. Soprattutto, si credeva nella possibilità di un mondo nuovo, libero e giusto, e si lottava per realizzarlo, in modo solidale con gli altri. Sto semplificando molto, ma credo che ci siamo capiti. Le dinamiche delle classi sociali in molti paesi del mondo, per buona parte dell’Ottocento e del Novecento, sono state quelle. Oggi non è più così.  Quasi nessuno ormai riesce a immaginare un mondo nuovo e diverso, e crede nella possibilità di una sua realizzazione. La coscienza di classe – complice anche il forte ridimensionamento, la scomposizione e la frantumazione della classe operaia classica – è scomparsa. Gli ideali collettivi, la solidarietà, hanno lasciato il posto all’individualismo e alla competizione. L’ostilità e la rabbia di chi sta nei gradini inferiori delle classi sociali, anziché rivolgersi verso chi sta in alto e ha le maggiori responsabilità di ciò che accade, si indirizza sempre di più verso chi sta peggio, e comunque verso i “diversi”. Primi fra tutti i migranti (ma anche zingari).

3) Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno dimostrato l’esistenza di un forte malessere sociale e un desiderio di cambiamento (male indirizzato). Peccato, infatti, che come espressione del cambiamento siano state identificate – e premiate dagli elettori – le forze politiche sbagliate (dal nostro punto di vista). Una prima osservazione si impone: questa volta la gente a votare c’è andata, piaccia o non piaccia a chi tra di noi ha svolto attività astensionista (non io). L’affluenza è stata del 72,93% (leggermente inferiore a quella del 2013, che era stata del 75,24%,  ma comunque alta per i tempi che corrono e per la media degli altri paesi di democrazia matura). La gente ci ha creduto, ritenendo – a torto o a ragione – che questa volta fosse possibile un cambiamento. Qualcuno, esagerando, ha detto che attorno alle cabine elettorali si respirava “aria di ’48” (con riferimento al 1948, le elezioni politiche più importanti del dopoguerra).  Si è votato “contro”, ma anche “per” (il reddito di cittadinanza; la Flat Tax). Proviamo ad analizzare sommariamente i dati elettorali, in base ai voti espressi.

— Partito Democratico (voti per la Camera: 18,7%) . E’ il grande sconfitto di queste elezioni. Con molte ragioni, il PD è stato identificato con il “sistema”, sempre più inviso e odiato. Certo, è il partito maggiormente identificabile con i “vincoli europei” e la politica economica e fiscale restrittiva che ha peggiorato negli ultimi anni le condizioni di vita e decurtato il reddito della maggioranza degli italiani, ormai stremati. Un ridimensionamento del PD era prevedibile e previsto (soprattutto dopo l’esito clamoroso del Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016), ma una tale “debacle” no. Per il PD votano ancora i pensionati, parte del pubblico impiego e la borghesia illuminata dei centri storici, ma ha perso il consenso degli operai e delle periferie. La responsabilità principale della sconfitta va attribuita a Renzi, ma non dipende tutto da lui. Il fatto è che il PD è un partito “sbagliato” (nato sbagliato). La questione andrebbe approfondita.

— Movimento 5 Stelle (32,7%). E’ diventato il primo partito, con un forte aumento dei consensi più o meno in tutte le regioni ma con esiti quasi plebiscitari nel Meridione. La promessa del reddito di cittadinanza ha fatto sicuramente da traino, soprattutto dove il tasso di disoccupazione è più alto. Il M5S ha intercettato buona parte dei voti di sinistra in uscita dal PD e anche voti di alcuni che alle ultime elezioni si erano astenuti. Si è presentato come una forza “né di destra né di sinistra” e interclassista. Questa è stata la sua forza (permettendogli di diventare il classico partito “pigliatutto”),  ma è anche la sua maggiore debolezza. Da ora in poi i nodi verranno al pettine. Anzi, sta già succedendo. Alle elezioni il M5S, come sempre nella sua storia, si è presentato solo e senza alleati. Anche questo può essere considerato, al tempo stesso, un elemento di forza ma anche di debolezza.

— Lega (17,4%). Con Salvini si è trasformata da “partito del nord” a partito nazionale di stampo lepenista. Questo è stato il capolavoro politico di Salvini, che gli ha permesso di sfondare anche nel centro-sud e ha gettato le basi per i successi attuali.  Alle elezioni la Lega si è presentata in una coalizione di centro-destra, con Forza Italia e FdI. Si prevedeva un forte aumento dei consensi, ma l’esito della competizione con Berlusconi per la leadership all’interno del centro-destra non appariva scontato. Ha vinto Salvini, ed ora è lui il leader. Grazie a questo risultato è iniziata la sua ascesa a “uomo forte” del governo e del paese. A fare da traino la promessa elettorale della Flat Tax (che è piaciuta molto ai ceti produttivi del nord, aldilà della sua evidente iniquità e dei problemi che porrebbe in termini di aumento del deficit di bilancio e di taglio dei servizi), ma anche – dispiace doverlo dire, ma è così – la posizione sull’immigrazione. La Lega ha intercettato buona parte del voto in uscita dal PD, soprattutto al nord e nelle ex-Regioni rosse. Compresi molti operai iscritti alla Cgil. Che il PD meritasse di essere punito potrebbe trovarci consenzienti. Lascia sgomenti, invece, il fatto che chi fino a ieri votava a sinistra trovi naturale orientarsi verso un partito xenofobo e razzista quale è la Lega. Certifica un crollo dei valori di fondo della sinistra a livello di massa, prima ancora e più di una crisi politica.

— Forza Italia (14,0%) e FdI (4,3%). Il centro-destra è risultata la coalizione più forte, ma non ha ottenuto i voti sufficienti per governare da solo. Forza Italia ha ottenuto meno voti della Lega, Berlusconi ha perso la leadership e questo lo ha posto in una condizione di difficoltà. E’ ancora un personaggio potente e ingombrante, ma politicamente è sul viale del tramonto. Tra l’altro è anche anagraficamente vecchio e in FI non si vede nessuno in grado di sostituirlo. Il suo partito rischia di essere assorbito dalla Lega. La terza componente, Fratelli d’Italia, conta in questo momento poco. Tra l’altro, il suo programma è piuttosto simile a quello della Lega, e i due partiti si rivolgono grossomodo allo stesso elettorato. Tutt’al più si nota, in FdI, una maggiore accentuazione patriottarda e sovranista, facilmente comprensibile se si tiene conto delle radici missine.

— Liberi e Uguali (3,4%). Il risultato di LeU è stato molto inferiore alle aspettative dei suoi dirigenti e militanti, anche se sono riusciti a mandare in Parlamento una manciata di deputati e senatori. I promotori speravano che tanti elettori di sinistra, in uscita dal PD perché delusi da Renzi, avrebbero votato per questa lista. Il voto dei delusi che hanno abbandonato il PD è stato invece intercettato soprattutto da M5S e Lega. Sicuramente ha contato il fatto che le liste di LeU fossero zeppe, in posizioni apicali, di riciclati di lungo corso, ormai screditati (D’Alema, Bersani, Vasco Errani…). Anche se non mancavano candidati che personalmente ritengo ancora degni di stima (la Boldrini, Fratoianni). Ma le ragioni sono probabilmente, almeno in parte, più profonde.

— Potere al Popolo (1,1%). Il nome fa rabbrividire, ma si tratta sicuramente di una forza di sinistra più radicale – e meno compromessa – di LeU. Per essere una lista nata tardi, a ridosso delle elezioni, poco conosciuta e senza leader noti al grande pubblico, il risultato può essere considerato apprezzabile, anche se molto al di sotto della soglia di sbarramento. Certo, è stato un voto di testimonianza, ininfluente per quanto riguarda la rappresentanza parlamentare. Lo stesso, a maggior ragione, si potrebbe dire per le altre micro-liste della sinistra radicale (compresa la lista “Per una sinistra rivoluzionaria”, per la quale – per sua ammissione – ha votato Luciano Nicolini). Può fare piacere che in questo paese ci sia ancora qualcuno che ha un programma di sinistra “vera”, ma è difficile pensare che una autentica rinascita parta da qui (se non cambiano molte, forse troppe, cose).

— Forza Nuova e Casapound (1,13%). Il risultato elettorale modesto, molto inferiore alle aspettative dei dirigenti quelle forze politiche, non deve ingannare. I fascisti dichiarati, nel nostro paese, sono in aumento e attivi, con comportamenti spesso aggressivi e/o violenti. Se questa volta non hanno sfondato, dipende quasi solo dal fatto che le loro istanze sono state in gran parte assorbite dalla Lega. Quando FN e Casapound sostengono che la Lega al governo sta attuando il loro programma, non hanno tutti i torti. Il contrasto, culturale prima ancora che politico e fisico, al fascismo sarà uno dei compiti principali che i libertari dovranno necessariamente affrontare nel prossimo futuro (in parte lo stanno già facendo). Comunque, non è che questa volta i risultati elettorali siano stati proprio trascurabili. I voti espressi a favore di Casapound sono stati 372.022, quelli per Forza Nuova (lista Italia agli Italiani) 125.903. Per me, è già un fatto sconvolgente, a cui non riesco ancora alla mia età a rassegnarmi, che una sola persona possa avere quelle idee. Figurarsi quando a farle proprie ci sono più di mezzo milione di italiani.

4) Il nuovo governo nasce nel segno della Lega. E’ Salvini l’uomo forte che detta la linea. Per ragioni di tempo non starò a ricostruire la lunga fase (quasi tre mesi) intercorsa tra il giorno delle elezioni e la formazione del governo Conte. Neppure prenderò in esame il famoso “contratto”, tra M5S e Lega, che pure meriterebbe una analisi puntuale. Mi limito qui a dire che il contratto contiene alcune cose condivisibili (reddito di cittadinanza, riforma della legge Fornero per le pensioni, maggiori tutele per il lavoro precario), altre sbagliate e dannose (Flat Tax, politica nei confronti dei migranti, legittima difesa armata in caso di violazione di proprietà privata). Poco della parte accettabile del programma sarà realizzato pienamente, in questo campo è prevedibile che ci saranno misure parziali e limitate, compromessi al ribasso. E’ mia convinzione che invece molte delle misure “di destra” troveranno attuazione.  Da ciò a cui tutti abbiamo assistito, si possono ricavare comunque alcune riflessioni. E fare previsioni per il prossimo futuro.

Le elezioni ci hanno consegnato due “vincitori”, ma nessuno dei due aveva i numeri per governare da solo. I due “vincitori” alla fine si sono accordati, ma l’accordo – in prospettiva – favorisce solo uno dei: Salvini. Per il M5S questo governo rischia di essere l’anticamera della morte. Sicuramente Salvini se l’è giocata meglio, dimostrando di essere l’unico vero politico di razza in un gruppo di dilettanti. In confronto Luigi Di Maio, il nuovo “capo politico” dei grillini, ci fa la figura di uno sprovveduto emotivamente instabile (si veda, in particolare, la vicenda dell’impeachment per il Presidente della Repubblica). Un’ultima osservazione: ci sono stati momenti in cui è sembrato che un accordo non fosse possibile e che si andasse verso nuove elezioni entro pochi mesi. Non so voi, ma io non sapevo in quei momenti che cosa augurarmi. Le alternative mi apparivano ambedue angoscianti: un accordo ci avrebbe consegnato subito un governo con Salvini ministro dell’Interno (forse frenato dai grillini, ma ci contavo poco); nuove elezioni – questo lo davo per scontato – avrebbero portato a un ulteriore aumento dei consensi per il centro-destra che questa volta avrebbe raggiunto l’obiettivo di una maggioranza parlamentare autosufficiente, e Salvini ce lo saremmo ritrovato Presidente del Consiglio dei Ministri per 5 anni, con le mani ancora più libere. In un caso e nell’altro, un incubo. Esaminiamo brevemente ora il comportamento dei principali protagonisti delle “trattative”:   — Movimento 5 Stelle. Si è trovato subito in difficoltà, perché la “vittoria a metà” ha messo in crisi uno dei suoi postulati: fare da sé e rifiutare le alleanze con le altre forze politiche (la casta). Tornare a votare subito non garantiva una vittoria certa (e neanche un aumento dei consensi, perché molti elettori la seconda volta presumibilmente si sarebbero astenuti; inoltre, sarebbero risultate penalizzate di più le forze politiche identificate dagli elettori come principali responsabili del ritorno alle urne). E poi, Gigino Di Maio ci teneva molto a formare il governo e a diventare, se possibile, il Presidente del Consiglio. Era il sogno della sua vita. Per uscire dall’impasse si è inventato due cose: la teoria dei “due forni” e il “contratto”. In teoria, avrebbe potuto funzionare. Di fatto, è esistito quasi sempre un forno solo: la Lega. Per un breve momento c’è stato un abbozzo di tentativo con il PD, subito stoppato da Renzi (che di quel partito rimane il vero capo, nonostante le dimissioni formali), e la cosa è finita lì. Del resto, ben difficilmente un accordo del genere avrebbe potuto essere digerito da buona parte dei sostenitori dei due partiti, che reciprocamente si odiano cordialmente. Eppure, retrospettivamente, bisogna dire che sarebbe stata l’unica possibilità per evitarci la sciagura di un governo con la Lega. A merito di Di Maio si possono ascrivere solo due cose: l’intransigenza nei confronti di Berlusconi (escluso da ogni trattativa in nome della questione morale e delle condanne in giudizio) e, più di recente, il rifiuto dell’appoggio di FdI (che aveva chiesto di entrare nella maggioranza di governo). Ma Di Maio, se ha coerentemente tenuto il punto su Berlusconi, ha al tempo stesso legittimato la Lega (“di Salvini mi fido”), dandole presso l’elettorato grillino la patente di forza politica onesta e a favore del rinnovamento. Sdoganando la Lega, Di Maio ha reso a Salvini un regalo inestimabile. Triste fine per un movimento che nel 2013 ha cercato di fare eleggere come Presidente della Repubblica Stefano Rodotà. In effetti, il M5S avrebbe avuto bisogno di una legge elettorale (il doppio turno) che gli consentisse di avere da solo la maggioranza parlamentare e di potere realizzare così integralmente il suo programma. Un’alleanza con una forza politica come la Lega sarà invece esiziale per i grillini, che politicamente sono dei dilettanti.

— Lega. Come si è detto, Salvini se la è giocata bene, anzi magnificamente dal suo punto di vista. Pur avendo ottenuto solo il 17,4 per cento dei voti (poco più della metà dei voti andati al M5S), partiva avvantaggiato. Alle elezioni si è presentato con una coalizione, quella di centro-destra. A permettergli di presentarsi come uno dei vincitori non è stato tanto il suo 17,4% ma piuttosto il 37% complessivo della sua coalizione, che si è attribuito. I voti – e i seggi – del centro-destra erano tanti, ma non sufficienti per governare da soli. L’unico modo per formare un governo, dati i numeri,  era un accordo con il M5S. Salvini ha avuto l’abilità di contrattare e ottenere questo accordo per sé e la Lega senza rompere con i suoi vecchi alleati del centro-destra. Berlusconi ha dovuto abbozzare, accettare l’umiliazione del M5S che l’ha trattato come un appestato e non ha voluto trattare con lui. Ma Berlusconi non è affatto contento, tra l’altro teme leggi serie sul conflitto d’interessi e per il suo patrimonio, diffida di Salvini e teme che voglia assorbire Forza Italia, soffiargli il partito. Fossi in Salvini, mi guarderei le spalle perché possono arrivare coltellate. Riconoscere che Salvini è un politico di razza, molto abile sia nella tattica che nella strategia, con grande capacità comunicativa, non significa necessaramente fargli un complimento. Mussolini  è stato un politico e uno statista straordinariamente abile (almeno fino alla decisione di fare entrare l’Italia nella Seconda guerra mondiale), ciò non toglie che fosse un criminale. Le idee di Salvini sono aberranti e lui è un personaggio vomitevole. Il fatto che sia bravo nel suo mestiere lo rende solo più pericoloso.

— Partito Democratico. Del tentativo di trattativa con il M5S, e del suo fallimento, si è detto. Il PD ha scelto di stare all’opposizione e di aspettare, convinto che le contraddizioni tra le due anime del governo prima o poi esploderanno e, soprattutto, che M5S e Lega non riusciranno a mantenere le loro promesse, deludendo così i loro elettori. Può darsi – anzi è molto probabile – che questa previsione si avveri. A mio avviso però il PD si illude se pensa di recuperare così il suo elettorato. Gli elettori delusi dal governo, con ogni probabilità, sceglieranno l’astensione o altri partiti.

— Il Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella è un galantuomo, garbato e moderatamente progressista, che si trovato per il suo ruolo istituzionale a gestire una situazione obiettivamente difficile e complicata. Il suo obiettivo è stato fin da subito quello di permettere che nascesse un governo qualsiasi, possibilmente politico, anche se personalmente era diffidente soprattutto nei confronti della Lega. L’ipotesi di nuove elezioni è rimasta sullo sfondo come ultima ratio, ma Mattarella ha cercato di  scongiurarla in tutti i modi, dando ai partiti vincitori tutto il tempo necessario (ed essi ne hanno approfittato largamente fino ad abusarne, sfiancando l’opinione pubblica con continua incertezza e colpi di scena). Se alla fine il governo Conte è nato, è dipeso anche dal fatto che la maggioranza degli elettori, pressoché di tutti i partiti, erano stanchi della telenovela in corso e non avrebbe voluto tornare alle urne. Tutti i dirigenti politici, in particolare Salvini (l’unico veramente tentato da nuove elezioni anticipate) hanno realizzato che chiunque questa volta si fosse assunto la responsabilità di non avere permesso la nascita del governo avrebbe poi pagato un prezzo cospicuo in termini elettorali, e così alla fine M5S e Lega hanno concluso un accordo. Mattarella si è impuntato solo una volta, rifiutando la nomina di Paolo Savona a Ministro dell’Economia. Non entro nel merito se in base alla Costituzione ne avesse il diritto, o se abbia travalicato dalle sue funzioni. Gli stessi costituzionalisti e i commentatori politici più seri sono ancora divisi in proposito. Mi interessa solo rilevare che, con il suo veto a Savona, che ha rischiato di fare saltare tutto al penultimo giro, Mattarella si è esposto molto, attirandosi temporaneamente le ire di buona parte dell’opinione pubblica. Mattarella però ha tenuto duro e il suo azzardo alla fine è risultato vincente. Poco importa che Savona sia stato poi nominato a capo di un altro ministero. Il messaggio era per Salvini, per fargli capire che non può permettersi proprio tutto, ci sono limiti oltre i quali non può andare. Ora tutti sanno che il Presidente della Repubblica vigila e che non ha intenzione di avere un ruolo puramente notarile, non è disposto a controfirmare tutte le decisioni del governo. Peccato solo che il casus belli sia scoppiato sull’Euro e sugli accordi con l’Europa, di cui Mattarella si è reso garante (per inciso, facendo capire di essere disposto a passare anche sopra la volontà degli elettori). Non una parola invece – da parte di Mattarella – sul razzismo della Lega, su profughi e migranti, sui diritti umani che pure sono tutelati dalla Costituzione di cui il Presidente dovrebbe essere il garante. Avremmo preferito che lo scontro avvenisse su questi aspetti e non sui vincoli europei.

5) Moriremo leghisti (forse). Le elezioni del 4 marzo hanno certificato un innegabile forte spostamento a destra dell’elettorato. Chi ha scelto la Lega, FdI, l’estrema destra fascista, ha scelto una politica di destra in modo consapevole. Per gli elettori del M5S il discorso è più complesso. Per alcuni di essi si è trattato di un equivoco. Secondo alcuni sondaggi, almeno un terzo degli elettori del M5S vengono dalla sinistra (anche radicale) e/o si dichiarano di sinistra. Prima o poi i nodi verranno al pettine e le contraddizioni esploderanno. Chi è di sinistra e questa volta ha votato il M5S “per dare una scossa” (Ivano Marescotti), immagino che ora dopo l’accordo con la Lega viva un forte disagio, per usare un eufemismo. Eppure, ad oggi, solo due consiglieri comunali si sono dimessi polemicamente dal M5S, uno in Campania e l’altra a Bologna (la nostra amica Dora Palumbo), con dichiarazioni per noi apprezzabili. Tutti gli altri zitti. Fino a quando? L’impressione è che il M5S abbia raggiunto e superato il punto più alto della sua parabola, e che da ora in poi inizierà la fase discendente (se graduale o improvvisa con una implosione, non è dato sapere). Quello che è certo è che invece la Lega ha il vento in poppa. I sondaggi di questi giorni dicono che, nelle intenzioni di voto, per la prima volta la Lega ha raggiunto e superato, sia pure di poco, il M5S (29,2% contro il 29,0%). I sondaggi vanno sempre presi con le molle, ma non occorre un grande fiuto politico per capire che la tendenza è quella. Purtroppo, si deve constatare che il consenso alla Lega cresce anche e soprattutto perché a molti piacciono le sparate da bullo istituzionale di Salvini sui migranti e sugli zingari. Sempre i sondaggi, dicono che che due terzi degli italiani approvano la linea del governo sull’immigrazione e che almeno il 50% sarebbe favorevole alla chiusura dei porti. Questo, più di ogni altro elemento, ci dà la misura del livello di imbarbarimento raggiunto dalla nostra società. Tutto lascia pensare che l’ascesa della Lega sia un fenomeno non effimero ma di lungo periodo. Quello che sta per nascere non è certo il “Reich millenario”, ma con l’egemonia leghista dovremo probabilmente fare i conti per diversi anni.  Quando tutti noi eravamo molto più giovani, temevamo di “morire democristiani”. Oggi, che tra l’altro siamo più attempati,  dobbiamo temere seriamente di “morire leghisti”. Poi, certo, la politica ha i suoi cicli e ci sono sempre in essa elementi di imprevedibilità.

6) La questione dei migranti e dei profughi è oggi la più importante. Prima di tutto, è indispensabile avere noi le idee chiare. Per quanto mi riguarda, quella dei migranti – e dei diritti delle persone in generale, in primis il diritto alla vita – è la questione centrale. La cartina di tornasole in base alla quale vanno valutate, prima di ogni altra considerazione, le varie forze politiche. Non è l’unica questione di cui tenere conto, ma oggi è quella principale. Anche per questo, risultano incredibilmente ottuse le speranze e le aperture di credito di alcune persone di sinistra nei confronti del governo giallo-verde. Salvini non ha mai nascosto le sue idee aberranti in proposito. Sono state sottovalutate, e l’attenzione generale è andata piuttosto ad altre cose (l’Europa e l’Euro, il lavoro e il reddito, la corruzione, la difesa dell’ambiente e della salute, etc.). Tutte questioni rilevanti, per carità, su cui ci dovremo misurare e lo faremo. Ma il diritto alla vita e alla dignità di una persona che fugge da guerre, violenze, stupri, persecuzioni (ma anche “solo” dalla fame), viene prima. Almeno per quanto mi riguarda. La mia sensazione – posso sbagliarmi – è che anche tra di noi, intendo i soci della Blab, possa esserci una certa differenza di sensibilità nei riguardi di tale questione. E se esiste tra di noi (ammesso che esista tra di noi), che ci conosciamo bene e collaboriamo insieme e ci stimiamo da decenni, a maggior ragione temo possa esserci nel più vasto movimento libertario e nella sinistra diffusa. Nel corso di una delle ultime assemblee della Blab, in riferimento proprio alla questione dei migranti,  Luciano ha affermato che “in effetti, non è che possiamo accogliere tutti”, e alcuni dei presenti hanno mostrato di approvare. Può sembrare una affermazione di semplice buon senso, ma mi ha lasciato perplesso. Per inciso, questa stessa frase Luciano l’aveva già scritta in un suo testo in “Cenrentola”, e me l’ero mentalmente annotata. Più che perplesso, anzi decisamente inquietato, sono rimasto leggendo qualche mese fa nella stessa rivista, in un articolo di Toni Iero, come sempre peraltro interessante, il brano seguente: “Questa disponibilità nei confronti dell’immigrazione trova conferma nel modo in cui, in Italia, per lungo tempo, si sono lasciate agire alcune Organizzazioni Non Governative. Tali operatori privati hanno traghettato centinaia di migliaia di persone dall’Africa all’Italia. Determinando di fatto, con la loro azione, l’indirizzo della politica immigratoria italiana. In barba a qualsiasi decisione gli italiani volessero assumere al riguardo. Parecchie perplessità gravano sull’origine dei finanziamenti di queste ONG (è stato calcolato che per tenere sei mesi in mare una delle loro imbarcazioni occorrono, solo di spese vive, circa due milioni di euro). Qualche sospetto aggiuntivo è legato al fatto che la maggior parte delle ONG attive nel “salvataggio” dei migranti abbia sede in Germania e in Francia (però gli immigrati li portano tutti in ltalia). Desta perplessità anche l’impegno monotematico verso l’immigrazione: perché questa encomiabile sensibilità umanitaria non è diretta, per esempio, verso i bambini greci, privi di cure e spesso anche denutriti? Come si vede, i dubbi non mancano”  (T. Iero, Spunti per una lettura economica del fenomeno immigratorio, “Cenerentola”, n. 209, febbraio 2018, p. 6). Mi scuso per la citazione piuttosto lunga, ma mi è sembrato opportuno riportarla per intero. Toni Iero non è uno dei soci della Blab, ma è comunque un libertario noto e apprezzato, che collabora da sempre con “Cenerentola” e che da anni alla Blab è vicino, rendendosi disponibile per le sue iniziative. Se un compagno come Iero la pensa in questo modo, forse anche altri nel nostro ambiente hanno opinioni simili. Aggiungo che spesso, quando non è d’accordo con alcune affermazioni contenute negli articoli inviati dai suoi collaboratori, Luciano Nicolini (proprietario e redattore della rivista), interviene e prende le distanze. Questa volta non lo ha fatto. Era distratto e gli è sfuggito?  Ecco, dico subito che se questa è la posizione dei libertari, io non ci sto. Mi riconosco, piuttosto, nella posizione assunta dai compagni della Federazione Anarchica Siciliana che, a quanto mi risulta, affermano coerentemente il principio del diritto delle persone alla libera circolazione e che – essendo oltretutto la terra in cui vivono in prima linea per quanto riguarda gli sbarchi -, hanno difeso “senza se e senza ma” le Ong dagli attacchi di alcuni spezzoni della magistratura  (e ora, a maggior ragione, immagino che le difenderanno dagli attacchi vergognosi del nuovo governo). La mia impressione è che ci possa essere, tra di noi, una possibile diversità di sensibilità sulla questione dei migranti e dei profughi. Non di valori, sia chiaro subito, sui valori sono più che certo che la pensiamo tutti allo stesso modo. Ma avere valori comuni non implica che non possano esserci, appunto, diversità di approccio e di sensibilità. E, magari, non ci siano anche proposte diverse per risolvere i problemi.

Mi rendo conto che la questione dell’immigrazione è estremamente complessa e complicata, e che le affermazioni di principio non bastano. Ci sono in gioco valori a mio giudizio non negoziabili ma anche problemi reali e percezioni più o meno distorte. A maggior ragione, proprio per la complessità del problema, sento l’esigenza di un confronto ampio e approfondito, non limitato al nostro interno. Secondo me, dovremmo farci promotori, insieme ad altri, di un Convegno nazionale sul tema dei migranti e dei profughi, rivolto a tutto il movimento libertario. Tra i relatori, coinvolgerei chi si occupa da anni di questi temi, comprese alcune Ong, intellettuali militanti come Marco Revelli, Amnesty International, Medici senza Frontiere e/o Emergency. Per la sede, penserei a una città medio-grande dell’Italia centro-settentrionale, ben collegata e relativamente facile da raggiungere. Che cosa ne pensate?

7) Siamo nella merda, ma dobbiamo essere consapevoli che potrebbe finire ancora peggio. La situazione è angosciante, ma si sa che al peggio non c’è mai un limite. Se qualcuno tra noi auspica ancora – e lavora per – un crollo del sistema, nella convinzione che ciò apra la strada a un mondo migliore, è meglio che si ravveda. Se il sistema liberaldemocratico in cui abbiamo finora vissuto collassa, il futuro che ci aspetta non è il “Sole dell’Avvenire” ma “Alba Dorada”, un regime fascista apertamente autoritario e totalitario. Se non si capisce questo, si rischia di diventare utili idioti dei fascisti. Teniamoci ben stretta, piuttosto, la nostra Costituzione, almeno fino a quando (se mai quel giorno arriverà), il vento della storia cambierà e sarà possibile andare verso orizzonti ancora più avanzati. Secondo me dovremmo tenerci stretta anche l’Unione Europa, che pure avrebbe bisogno di essere profondamente riformata (trasformata da Europa dei tecnoburocrati e degli egoismi nazionali in Europa sociale, autenticamente federalista e solidale).

8) I libertari devono mantenere la loro autonomia, ma servirebbe una sponda istituzionale. Purtroppo, sotto questo profilo, il panorama intorno a noi è desolante. Uno dei drammi maggiori di questo paese è che manca un partito di sinistra (o anche solo di centro-sinistra) che sia al tempo stesso decente e credibile, in grado di scalzare dal potere la destra. Questo PD è invotabile e ormai privo di capacità attrattiva (almeno finché non si libererà di Renzi, e non è detto che sarebbe sufficiente). Alla sinistra del PD si vede al momento solo una nebulosa frammentata di partitini destinati probabilmente a restare fortemente minoritari (anche se non necessariamente ininfluenti). So che il mio auspicio di una sponda politica e parlamentare per le istanze di sinistra rischia di scatenare, nel nostro ambiente, polemiche a non finire. Vi invito, però, a rifletterci senza preclusioni. Auspico inoltre che non si inneschi una discussione sul tema dell’astensionismo e della partecipazione alle elezioni. Il tema è importante, io ho le mie idee in proposito e non le ho mai nascoste, in un altro momento ne possiamo parlare, ma ora le questioni urgenti sono altre. Chi mi conosce sa che da molti anni preferisco definirmi “socialista libertario”, e che condivido molte delle critiche – e delle proposte di “revisione” – rivolte circa un secolo fa da Francesco Saverio Merlino all’anarchismo classico. Ciò non mi ha impedito finora di sentirmi parte del movimento libertario, e di trovare sempre negli anarchici i miei compagni di ideali e di lotta politica (anche se per la verità, da molti anni, il mio impegno più che all’attività militante e al sociale si è rivolto soprattutto alla conservazione della memoria e alla ricerca storica). Gli ultimi avvenimenti, la situazione politica generale che stiamo vivendo, a me sembrano dare ragione alla mia convinzione che alcuni postulati dell’anarchismo tradizionale vadano rivisti e aggiornati. Ma non discutiamo di questo ora, per favore. Posso benissimo ammettere che non è attraverso le elezioni che può nascere una società quale noi la vogliamo, formata di persone autonome ed uguali, autenticamente libera autogestita e giusta. Ciò non toglie che anche un anarchico classico possa riconoscere la validità di un concetto elementare: il voto e gli equilibri politici possono modificare in meglio e soprattutto in peggio – in maniera anche significativa – le condizioni delle persone, dei gruppi, delle categorie e dei ceti sociali. Gli effetti del voto possono essere a volte anche drammatici, determinando la vita o la morte delle persone. Decidere perfino della pace o della guerra. Scusate se è poco.

Mi piace riportare anche l’opinione dello stesso Malatesta, sicuramente uno dei massimi  rappresentanti riconosciuti dell’anarchismo classico, che nel 1897 – mentre era in pieno svolgimento la sua celebre polemica con F.S. Merlino – in un articolo in cui riaffermava con estrema determinazione il tradizionale astensionismo degli anarchici, aggiungeva questa importante considerazione: “Merlino si meraviglia che noi ci siamo rallegrati del trionfo dei socialisti. La meraviglia ci sembra strana davvero. Noi ci rallegriamo quando i socialisti democratici trionfano sui borghesi, come ci rallegreremmo di un trionfo dei repubblicani sopra i monarchici, ed anche di uno dei monarchici liberali sopra i clericali (…). Il bene e il male sono cose relative; ed un partito per quanto reazionario può rappresentare il progresso di fronte a uno più reazionario ancora. Noi ci rallegriamo sempre quando vediamo un clericale che diventa liberale, un monarchico che diventa repubblicano, un indifferente che diventa qualche cosa: ma da ciò non deriva che dobbiam farci monarchici, liberali o repubblicani noi, che crediamo di star più avanti” (E. Malatesta, Poche parole per chiudere la polemica, “L’Agitazione”, a. I, n. 6, 18 aprile 1897).

9) Quella che dobbiamo affrontare, più ancora che una lotta politica, si configura come una battaglia di civiltà. Se ciò che ho scritto all’inizio è vero, quello che sta accadendo a livello politico ha radici profonde e strutturali. A essere in crisi è il nostro mondo, i valori in cui ci siamo sempre riconosciuti. Se non realizziamo questo, se non ne prendiamo atto veramente e in modo pienamente consapevole, la partita è già persa in partenza. Invece, c’è molto che possiamo e dobbiamo fare. Anzitutto, non dobbiamo farci prendere dallo sconforto e mantenere i nervi saldi. Dobbiamo partire dal presupposto che ciascuno di noi non è solo, e che anche se sembra che siamo pochi ci sono altri che la pensano come noi. E che tanti altri condividono almeno alcuni dei nostri valori di fondo. La questione è culturale e pre-politica, prima ancora che politica. Dovremmo introdurre e imporre nel dibattito pubblico le categorie pre-politiche del “decente” e “indecente” (“degno” e “indegno”). Dovremmo anche aprire delle rubriche apposite nei nostri giornali e siti, valorizzando le persone e la associazioni che compiono gesti “decenti” (talvolta dei veri e propri atti di eroismo) e stigmatizzando gli “indecenti”.  Salvare vite umane in mare è decente, respingere i profughi e accordarsi con paesi dove vengono torturati (Libia) è indecente. Mentre scrivo, negli Stati Uniti Trump, che sembrava godere nonostante tutto di un consenso maggioritario, è in difficoltà e sotto accusa perché il caso dei bambini figli di migranti, separati forzatamente dai genitori e chiusi in gabbie, sta scuotendo le coscienze e provocando un’ondata di indignazione. Dobbiamo impegnarci di più nell’educazione delle giovani generazioni. Dobbiamo riuscire a contrastare la narrazione della destra, che oggi sembra vincente, e sostituirle una narrazione nostra diversa. Combattere e smontare la retorica del “prima gli Italiani”.  Opporci al “cattivismo” imperante, al “machismo”, alla rozzezza, al bullismo di giovani e adulti, all’inciviltà in tutte le sue forme. Affermare che chi rivendica come motivo di vanto di essere “cattivo”, e si comporta di conseguenza, dovrebbe semplicemente vergognarsi. E che una società che irride i “buoni” ed esalta i “cattivi” è una società che ha invertito i valori di fondo della convivenza civile, rappresenta il trionfo del “mondo alla rovescia”. Dobbiamo contrastare in ogni occasione l’uso del termine “buonismo”, utilizzato con sufficienza e in senso derisorio. Difendere il rispetto, la tolleranza e anche la cortesia nei rapporti umani, perfino incoraggiare le buone maniere. Rilanciare alla grande, in tutte le città e  centri minori, una campagna “Welcome Refugees”, con atti concreti di solidarietà e misure rivolte alla integrazione e alla “contaminazione” con i locali (parlando con le persone, guardandole negli occhi e ascoltando le loro storie). Poi certo, non si può trascurare il piano strettamente politico.

10) Per una azione politica efficace serve una strategia. Questo è un punto fondamentale, ma è anche uno dei più difficili da affrontare. Confesso di non avere ricette pronte o proposte compiute (qualcun altro le ha?). Mi limito a indicare brevemente alcuni elementi, sperando che altri possano emergere dal dibattito tra di noi. Partirei da due presupposti secondo me essenziali: 1) Prima di tutto occorre capire sul serio le trasformazioni in atto. Bisogna fare lo sforzo di analizzare e studiare, andare a fondo e non accontentarsi delle spiegazioni superficiali. 2) Dobbiamo essere consapevoli che i modi tradizionali dell’agire politico anarchico (le assemblee, i volantini, le manifestazioni), per quanto possano essere ancora talvolta utili, non bastano più. Va ripensato tutto. Detto questo, elenco alcuni elementi secondo me utili per abbozzare una strategia valida per il compito che ci attende:

  1. a) bisogna chiamare all’appello i libertari, motivarli e organizzarli (anche solo per realizzare questo ci dovremo scontrare con la tradizionale frammentazione del movimento, e con la sua refrattarietà agli impegni e al lavoro comune; scontiamo un ritardo e delle tare storiche);
  2. b) stabilire chiaramente un ordine di priorità, e concentrare le forze sulle questioni veramente fondamentali in questa fase; tutto ciò che non ha attinenza in qualche modo con la questione principale (fare fronte alla barbarie montante, arginare la deriva di destra e la crisi dei valori di solidarietà e di giustizia sociale per tutti), va accantonato almeno temporaneamente. Sotto questo profilo partiamo piuttosto male: che dire ad esempio di “Umanità Nova”, che – con tutto quello che sta succedendo – nel n. 18 del 3 giugno 2018, se ne esce con l’intera prima pagina (e parte della seconda) dedicata al tema urgentissimo e di estrema rilevanza del…copiare a scuola!? Se gli anarchici si sono posti l’obiettivo di apparire agli occhi della gente come dei marziani, alieni provenienti dallo spazio che poco o nulla sanno e capiscono del nostro pianeta, rischiano di riuscirci alla perfezione.
  3. c) insieme e a fianco dei libertari vanno orientati, motivati e spronati all’azione coloro – e sono ancora tanti – che senza essere anarchici, condividono molti dei nostri valori umanitari, solidaristici e/o libertari. Senza, da parte nostra, esclusivismi e puzze al naso; occorre anzi rispetto per culture politiche diverse dalla nostra. Sulla questione dei migranti, ad esempio, possono crearsi sintonie e alleanze di fatto con ampi settori del mondo cattolico. Sugli zingari e contro le schedature su base etnica ci può essere oggettivamente di aiuto la posizione assunta da esponenti autorevoli della comunità ebraica (a partire dalla senatrice a vita Liliana Segre, una stupenda persona, a cui dobbiamo essere tutti grati per il suo intervento in Senato durante il dibattito per la fiducia al nuovo governo).
  4. d) finora ho parlato dei “persuasi”, ossia coloro che già condividono in tutto o in parte le nostre idee, o perlomeno sono in sintonia con noi su alcuni valori basilari. Noi però dobbiamo sapere parlare anche a coloro che persuasi non lo sono, e anzi hanno opinioni e comportamenti abbastanza o molto distanti dai nostri. Il primo compito, quello più urgente e che – almeno sulla carta può dare più facilmente risultati positivi – è cercare di recuperare i tanti che fino a ieri si riconoscevano nella sinistra e condividevano parte dei nostri valori. Come già si è detto, c’è molto disorientamento in giro. Vanno recuperati in particolare i tanti di sinistra che hanno votato il M5S, e che ora probabilmente non sanno più che cosa fare e che cosa pensare. Le contraddizioni tra le idee fondanti del M5S e il programma elettorale del M5S da un lato, e l’azione concreta di questo governo dall’altro, è chiaramente destinata ad acuirsi. Dobbiamo sapere fare leva su queste contraddizioni e sul disagio e delusione che ne deriverà. Ma non dobbiamo, secondo me, neppure rassegnarci a lasciare al monopolio delle destre gli operai, i giovani precari e le periferie. Qui servirebbero persone, tra di noi, capaci di sporcarsi le mani e lavorare nel sociale, in modo serio e continuativo.

Il programma fin qui delineato è decisamente molto ambizioso. Forse troppo, se guardiamo alle nostre forze e alle attuali condizioni del movimento. Ma è ciò che servirebbe, a mio avviso, in questa  fase storica. Anche se non esistono garanzie di successo, ci vogliamo almeno provare?

 

Castel Bolognese, 21 giugno 2018

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Alcune Tesi sulla attuale situazione politica (giugno 2018)ultima modifica: 2018-08-21T21:06:16+02:00da gp_landi