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Archeologia
I primi insediamenti preistorici del genere Homo (nello specifico Homo erectus) della Sardegna risalgono al Paleolitico inferiore (450.000-150.000 a.C.) secondo gli archeologi che nel 1979-1980 scoprirono un’industria litica presso il rio Altana a Perfugas, in Anglona. All’interno della grotta Corbeddu, nel Supramonte di Oliena, sono state invece scoperte le più antiche attestazioni della presenza dell’Homo sapiens sull’isola, databili a circa 20 000 anni fa.
Nella seconda metà del IV millennio a.C. si sviluppò la prima espressione culturale di cui si trovano tracce in tutto il territorio isolano, la Cultura di Ozieri. I ritrovamenti archeologici conservati nei più importanti musei isolani hanno messo in risalto quale progresso sociale e culturale conseguirono le popolazioni preistoriche sarde.
Le testimonianze archeologiche della civiltà nuragica, originatasi nell’età del bronzo, sono innumerevoli. Frammentata in cantoni e al centro di intensi scambi commerciali con i popoli che abitavano le coste del Mediterraneo, ha lasciato sull’isola importanti e numerose vestigia. I Fenici frequentarono assiduamente la Sardegna introducendovi le prime forme di urbanesimo. Cartagine e Roma se la contesero lasciandovi tracce indelebili.
Sin dalla nascita dell’archeologia il territorio sardo fu ritenuto di grande interesse per i primi ricercatori. Nel XIX secolo il canonico Giovanni Spano diede inizio all’esplorazione dei maggiori siti, descrivendo poi le sue scoperte nel Bullettino archeologico sardo. Nei primi anni del XX secolo, l’archeologo Antonio Taramelli intraprese una serie di scavi nel sud dell’isola e la sua attività di recupero ed individuazione di nuovi siti continuò per circa trent’anni. Nel dopoguerra Giovanni Lilliu portò alla luce il villaggio nuragico di Su Nuraxi a Barumini, concorrendo ad aprire nuove prospettive e conoscenze sulla storia degli antichi Sardi.
A inizio XXI secolo sono in corso su tutto il territorio ulteriori e numerose campagne di scavi, che potrebbero fornire nuove testimonianze storiche sui periodi meno conosciuti.
Archeologia prenuragica: Le più antiche tracce della presenza umana
Il periodo riguardante la Sardegna prenuragica comprende quella parte della Storia della Sardegna che precede la Civiltà nuragica.
Nell’arco temporale che va dal VI millennio a.C. alla fine del III millennio a.C. si svilupparono sull’Isola diverse culture il cui aspetto peculiare fu la continuità: questa loro continuità caratterizzerà gli sviluppi culturali del Neolitico e dell’Eneolitico sardo.
Durante la nascita e l’espansione del commercio dell’ossidiana le genti isolane risultano ben inserite nella fitta rete dei contatti tra i popoli delle regioni costiere mediterranee; grazie all’insularità e a filtrati apporti culturali esterni, mantennero tuttavia forti elementi di tradizione, seguendo un’evoluzione graduale. I traffici marittimi ebbero inizio probabilmente a partire dal Mesolitico, come testimoniano alcuni ritrovamenti in contesti liguri, e si intensificarono con l’avvento del Neolitico quando la sua diffusione toccò l’apice andando a raggiungere l’Italia centro-settentrionale, la Provenza e la Francia meridionale.
Sempre in quell’arco temporale il vasto fenomeno culturale del megalitismo, che dall’Atlantico raggiunse il bacino del Mediterraneo occidentale, investe in pieno le culture isolane lasciando sul territorio un gran numero di vestigia senza eguali. Questo fenomeno sfocerà – dopo millenarie evoluzioni – nella Civiltà nuragica.
Primi abitanti
Il rinvenimento di officine litiche risalenti al Paleolitico indicano la presenza dell’uomo in Sardegna nel lunghissimo periodo compreso tra i 450.000 e i 10.000 anni fa.
Vari elementi di cultura materiale, costituiti quasi essenzialmente da strumenti ed arnesi in pietra di selce o in calcare, utili alla sopravvivenza dell’uomo, sono stati rinvenuti nel sassarese e nel nuorese, nei siti di Giuanne Malteddu, Interiscias, Laerru, Preideru e Rio Altana.
Secondo i ricercatori, l’ominide denominato Nur, i cui resti son stati rinvenuti nella grotta di Nùrighe, situata nel paese di Cheremule, fu il primo a colonizzare l’attuale territorio isolano circa 250.000 anni fa; sulla base degli studi su una falange dell’ominide, si suppone fosse un pre-neanderthaliano, ma alcuni hanno espresso dei dubbi, ipotizzando una lontananza morfologica dagli ominidi.
Nel periodo dell’ultima glaciazione il livello dei mari era più basso di 130 metri: in quell’epoca la Sardegna e la Corsica formavano una unica grande isola, separata dalla Toscana da uno stretto braccio di mare dove era possibile la navigazione a vista.
I resti più antichi riconducibili alla colonizzazione dell’Homo sapiens risalgono al Paleolitico superiore e al Mesolitico. Le loro tracce sono state rinvenute sia nella Sardegna centrale (Grotta Corbeddu di Oliena) che nella Sardegna settentrionale (Grotta di Su Coloru di Laerru).
Il più antico scheletro umano completo rinvenuto in Sardegna risale al periodo di transizione tra il mesolitico e il neolitico. Ribattezzato “Amsicora“, venne ritrovato nel 2011 a “Su Pistoccu” , nella marina di Arbus, a pochi metri dalla battigia della Costa Verde, nel sud-ovest della Sardegna. La zona è stata oggetto di scavi più volte in passato e ha riportato alla luce altri importanti reperti.
Ipotetica distribuzione geografica delle popolazioni nuragiche.
Civiltà nuragica
La civiltà nuragica, nata e sviluppatasi in Sardegna, abbracciò un periodo di tempo che va dalla piena età del bronzo (1800 a.C.) al II secolo d.C. per buona parte dell’isola, ormai in epoca romana ma, per la parte centro-orientale, in seguito conosciuta come Barbagia, fino al VI secolo d.C. in epoca altomedioevale, in cui ancora esistevano comunità di cultura nuragica indipendenti e dove il cristianesimo si sarebbe imposto solo successivamente.
Fu il frutto della graduale evoluzione di preesistenti culture già diffuse sull’Isola sin dal neolitico, le cui tracce più evidenti giunte sino a noi sono costituite da dolmen, menhir e domus de janas, a cui si aggiunsero i nuovi stimoli e apporti culturali dell’età dei metalli. Deve il suo nome ai nuraghi, imponenti costruzioni megalitiche considerate le sue vestigia più eloquenti e sulla cui effettiva funzione si discute da almeno cinque secoli.
Durante la sua storia millenaria ha avuto continui scambi culturali e commerciali con le più importanti civiltà mediterranee coeve ma nel corso del V secolo a.C., l’entrata in conflitto con l’imperialismo cartaginese prima, e quello romano poi ne decretò il declino. Oltre alle caratteristiche costruzioni nuragiche, la civiltà degli antichi sardi ha prodotto altri monumenti come i caratteristici templi dell’acqua sacra, le tombe dei giganti, le enigmatiche sculture in arenaria di Mont’e Prama e delle particolari statuine in bronzo.
Arzachena, Nuraghe La Prisgiona
Corridoio con volta nel “nuraghe Santu Antine”
Le origini – Le fonti greche
La civiltà nuragica è stata a lungo dipinta come una civiltà chiusa in se stessa, refrattaria ad ogni tipo di contatto culturale con il mondo esterno.
Le evidenze archeologiche hanno, ormai da tempo, dimostrato che le cose stavano in realtà diversamente. La civiltà nuragica infatti non doveva essere affatto isolata e chiusa, ma pienamente inserita nelle dinamiche di scambi commerciali e, più in generale, culturali che caratterizzavano la vita nel Mediterraneo in quel periodo.
Una delle civiltà con cui i sardi nuragici avevano sicuramente instaurato un rapporto di sistematici e intensi scambi commerciali e culturali fu quella dei Micenei, interessati al traffico di metalli.A testimonianza di tali rapporti sono stati rinvenuti in Sardegna diversi e significativi reperti ceramici. Molto noti i frammenti di ceramica micenea rinvenuti nel nuraghe Antigori significativamente ubicato sulla costa meridionale della Sardegna, presso Sarroch, ma anche il cosiddetto ”alabastron” rinvenuto al nuraghe Arrubiu di Orroli.
Altrettanto importante e interessante appare la testina in avorio proveniente da Mitza Purdia (Decimoputzu) raffigurante un personaggio che porta un elmo del tutto analogo a quelli descritti nelle opere omeriche come tipici dei guerrieri achei.
Società
Gli archeologi ritengono che la Sardegna nuragica avesse un’organizzazione di tipo cantonale. Tali entità erano probabilmente formate da varie famiglie (clan) che obbedivano ad un capo e vivevano in villaggi composti da capanne circolari con il tetto in paglia, del tutto simili alle attuali pinnettas dei pastori della Sardegna.
Gli arsenali di armi di vario tipo, rinvenute durante gli scavi, lasciano desumere che quella nuragica fosse una società votata alla guerra e oligarchica, strutturata in modo gerarchico e ben organizzata militarmente.
In tale struttura patriarcale e teocratica – secondo gli studiosi – aveva un’importanza di rilievo la figura degli eroi fondatori quali Norax, Sardus, Iolaos e Aristeus, mitici condottieri ma allo stesso tempo considerati divinità. Una “società di capi“, in cui l’egemonia di alcune famiglie all’interno della comunità era ben consolidata ed il potere, forse all’inizio attribuito con un sistema elettivo, probabilmente divenne stabile ed ereditario.
Bronzetto raffigurante un guerriero, da Padria.
Le raffigurazioni dei bronzetti indicano chiaramente la presenza di “capi-re”, riconoscibili perché spesso reggono uno scettro (bastone da pastore) ed indossano un mantello, interpretati come simbolo di comando.
Il gran numero di bronzetti raffiguranti soldati sono la testimonianza di una classe militare ordinata in vari corpi e gradi (arcieri, fanteria) con uniformi differenziate che fanno pensare a milizie di corpi in cantoni differenti. Per desumere le tecniche di combattimento sono interessanti gli scudi forniti di spade di scorta e di coltelli da lancio, i parastinchi uncinati, i guantoni metallici per la lotta corpo a corpo. Un’attenta analisi fa inoltre riconoscere anche altre entità di casta, come quella costituita dai sacerdoti.
I bronzetti descrivono anche il popolo con figurine di contadini, di donne, di artigiani, di sportivi (lottatori e pugilatori simili a quelli della civiltà minoica) e di musicisti (come il suonatore di flauto doppio, simile alle launeddas, da Ittiri). Dai bronzetti e dalle statue di Monte Prama si desumono informazioni relative all’aspetto ed alla cura del corpo. I maschi portavano un paio di lunghe trecce ricadenti nel lato sinistro e destro del volto. Il capo era invece rasato o coperto da calotte in cuoio. Le donne portavano in genere i capelli lunghi.
I villaggi
I villaggi erano costituiti da capanne aggregate fra loro e realizzate a partire da una base a forma circolare o ellissoidale in pietra, alta non più di 2 metri, coperta sulla sommità da pali, canne e paglia; più raramente sono stati registrati dei casi dove l’intera struttura della capanna, compresa la copertura, era realizzata in pietra. Dal bronzo finale in poi le abitazioni assumono una pianta più complessa, con più vani, e spesso posizionate intorno ad un cortile interno, come a Sant’Imbenia, Sa Sedda e Sos Carros, Serra Orrios o a Barumini. Costruzioni in terra cruda si erano già diffuse durante il bronzo finale e la prima età del ferro come testimoniato da diversi siti, sono attestate ad esempio a San Sperate, Monastir, Su Cungiau ‘e Funtà di Nuraxinieddu, Monte Prama e Sardara.
Ricostruzione di una capanna nuragica
In alcuni insediamenti, come quello di Barumini, sono presenti delle rudimentari fognature. Nell’insediamento di Gremanu è presente l’unico esempio conosciuto di acquedotto nuragico.
I villaggi si trovavano generalmente nelle vicinanze dei nuraghi e dei pozzi sacri. Tra i più significativi esempi di villaggi nuragici si possono citare: Su Romanzesu, Su Nuraxi, Serra Orrios o di epoche più tarde il villaggio di Tiscali.